IL PARTITO E IL DIBATTITO
Alleanze e identità comunista
di Antonio Costa*
La giusta - e permanente, in ogni situazione- ricerca di una politica
di "alleanze" che non oscuri le motivazioni di una militanza, deve sempre
fare i conti con l' esigenza di misurare tale ricerca con ciò che
è fondamentale sempre per un partito operaio: il rafforzamento della
sua influenza politica tra i lavoratori. Se si ottunde un tale nesso, soprattutto
in una forza politica che non vive una fase di espansione, i rischi divengono
immediatamente leta li. Nel vecchio PCI, ad esempio, l' ossessione dello
stare "al centro del conflitto politico" è stata la foglia di fico
dell' abbandono del collegamento organico con i bisogni delle masse popolari
e delle lotte conseguenti che ne scaturivano. In una situazione qualitativamente
diversa e opposta, nell'attuale Rifondazione comunista, un elemento diversivo
rischioso è quello che collega un tema vero come quello delle forme
nuove di partecipazione politica a quello errato - in questa fase- di un
sempre imprecisato nuovo soggetto politico, un soggetto politico,
peraltro, mai escludente una sua soggettività politica generale
e quindi di un suo specifico momento generale di direzione. L' elemento
è rischioso in quanto la battaglia di Rifondazione comunista e altri
che non vorranno definitivamente abbandonare il terreno della lotta di
classe, è oggi a un punto critico che evidenzia contenuti ineludibili.
La battaglia cioè si vince se lentamente ma inesorabilmente potranno
avanzare tra le masse popolari nuovi convincimenti circa la possibilità
e la necessità di una lotta per il socialismo.
Soggettivamente i rifondatori comunisti hanno recuperato la cultura
della criticità alla società nella quale viviamo. Il problema
è ora l' estensione a una parte decisiva del movimento dei lavoratori
di tale possibilità o necessità. Non possiamo però
credere che i nostri punti di analisi siano scontati nell'orientamento
di massa, ecco perché la battaglia è di contenuto, di indirizzo
politico generale. Solo se tale indirizzo ridiventerà vincente
si potranno porre anche problemi di schieramento politico. Andiamo al sodo.
Oggi alla socialdemocrazia o al partito americano viene mantenuta la possibilità
di esercizio del potere politico. Un potere peraltro ben delimitato e controllato
dal ruolo egemonico svolto nella società dal grande capitale e dagli
intellettuali che lo servono. La socialdemocrazia deve continuare a fornire
in cambio la base di massa, politica ed elettorale, di cui il sistema ha
bisogno. La socialdemocrazia o partito americano non è più
(come poteva esserlo ai tempi del vecchio riformismo) una variante del
socialismo, ma la sua negazione. La socialdemocrazia non si propone più,
affatto, la trasformazione del sistema capitalistico, non propone
più la via di un miglioramento delle condizioni nell'ambito di questa
società, come obiettivi parziali lungo la via del socialismo, ma
come elementi di correzione o anche di rafforzamento del sistema. Sia chiaro,
non si vuole qui riesumare vecchie teorie sul tradimento dei capi, caso
mai si vorrebbe correggere qualcosa della concezione leninista che vedeva
fenomeni di opportunismo o riformismo come fenomeno di "aristocrazia operaia".
Si tratta invece di sottolineare la permanente ambivalenza della condizione
generale dei lavoratori, tra i quali vi è sempre una tendenza alla
lotta nell' ambito della società per migliorare le condizioni e
una spinta invece alla negazione radicale e al rovesciamento della società.
Solo la coscienza di classe (Marx) e la dottrina rivoluzionaria (Lenin)
diventano elementi di valutazione generale nei rapporti di classe e danno
uno sbocco socialista alle tendenze permanenti e spontanee operanti tra
i lavoratori. Ma tutti ci rendiamo conto dell' impatto di queste affermazioni
con l'arcisicurezza dei capitalisti e dei loro servitori che ritengono
di aver vinto definitivamente la loro battaglia contro le società
corporative. Il capitalismo, il suo dinamismo, coltiva la frantumazione
e la marginalità della classe operaia. Il capitalismo che è
stato capace di trasformarsi: una rivoluzione tecnologica già attivata
e un'altra - progettata - che vorrebbe dare il colpo finale a ogni suggestione
di organizzazione collettiva della società. E allora tutti siamo
richiamati alla dura realtà dei rapporti di forza tra le classi.
Una dura realtà che si affronta e si supera con le ragioni non tutte
nuove, ma quanto resistenti, degli ideali del socialismo. La riaffermazione
della superiorità globale delle idee del socialismo e del tratto
iniziale di strada che esse hanno compiuto nei decenni di questo secolo
malgrado che l'esperienza storica si sia mossa, diversamente dall'ipotesi
marxista, non dai punti alti dello sviluppo, ma con la rottura della
catena imperialista nei punti deboli. Un capitalismo costretto a dare certe
risposte in parti limitate del mondo mentre più in generale il debito
soffocante ed esplosivo dei paesi in via di sviluppo (condizione del benessere
delle aree più forti del sistema) generava e genera contraddizioni
esplosive. E la miseria mondiale entro lo sviluppo capitalistico si salda
ora in modo crescente alle contraddizioni dei paesi sviluppati, proprio
nel pieno della globalizzazione. Lo sviluppo capitalistico si dimostra
più che mai incompatibile con la piena occupazione. Torna a costituirsi
l'esercito di riserva da impiegare per spezzare il potere contrattuale
dei lavoratori. Non si tratta solo dei disoccupati a pieno titolo, ma dell'
ancor più insidioso esercito di precari che tende a costituire la
grande maggioranza di tutte le nuove assunzioni. Si acutizza la contraddizione
fra l'utilizzazione del progresso tecnico e della ricerca scientifica da
parte del capitale e il progresso sociale e la condizione dei lavoratori:
in un'epoca nella quale si affermano possibilità di grandiose trasformazioni
a vantaggio dell'umanità, il progresso scientifico e tecnico
nelle mani del padronato diventa uno strumento di sfruttamento e oppressione.
La "mondializzazione" capitalistica non solo non elimina ma aggrava gli
squilibri, sia quelli territoriali, sia fra i diversi settori della produzione.
In questo quadro, il rifugiarsi anche da parte socialdemocratica
sul ritornello delle libertà e della democrazia conculcate dai comunisti
appare davvero miserevole sin quasi all'insulto. Certo, la democrazia
politica borghese rimane un progresso storico e sociale indiscutibile,
che consente ai lavoratori di organizzarsi, maturare politicamente e prendere
coscienza della propria forza. Ma un traguardo davvero alternativo della
nostra era non può essere ormai altro che quello di una democrazia
socialista fondata su un regime che liquidando la ineguaglianza economica
tra gli uomini, attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione dia,
per la prima volta nella storia, un corrispondente contenuto sociale alla
democrazia politica. Anche per questo essere comunisti ha un significato
decisivo per quanto di vecchio e di nuovo vi sia in queste posizioni. Comunista
non è un etichetta applicabile a qualsiasi contenuto. Nella stessa
ricerca del cosiddetto 'eurocomunismo', vale a dire l'indicazione ritenuta
meno
avanzata dell'esperienza passata, ben saldi rimanevano i punti caratterizzanti
la specificità e diversità comunista:
- la definizione di regole per il mercato e le attività economiche, che senza eliminare l'esistenza di imprese private, fossero tali però da consentire di aumentare, in funzione di alcuni obiettivi, l'insieme dello sviluppo economico;
- lo sviluppo della più ampia partecipazione dei cittadini per dare un fondamento più solido agli istituti della democrazia rappresentativa, vale a dire il contrario di tutto l'indirizzo attuale che attraverso leggi elettorali e norme di rafforzamento generalizzato del potere esecutivo portano a lobby e ristretti vertici di partito, sempre più di opinione, sottratti a un vero controllo democratico di base;
- lo sviluppo di una grande battaglia culturale e ideale a fenomeni diffusi e radicati di particolarismi e corporativismi, in nome di valori nuovi di solidarietà sociale, ma anche in nome della democrazia e dell'unità nazionale.
Comunista è stata poi la forza storica che ha cambiato il mondo, ha contrassegnato un'esperienza ultra settantenale di questo secolo, è la base di un potere perdurante in aree di centinaia di milioni di esseri umani, è la molla ideale e la concreta spinta di lotta di tante esperienze in tutti i continenti. Qualsiasi ipotesi di rinuncia al termine (come da parte di un compagno autorevole del PRC è stato evocato) non sarebbe segno di impegno rinnovato, ma di vecchio cedimento. Questa forza (il comunismo, le sue ragioni, i suoi obiettivi - tattici e strategici -) ha bisogno, in Italia, di essere completamente riassunta in un partito anticapitalista e antimperialista, internazionalista e rivoluzionario. Tale processo non può essere avviato - definitivamente - che all'interno del Partito della Rifondazione Comunista. Un partito che, proprio mentre avvia una nuova fase della sua politica di alleanze - la Consulta - per non correre il rischio di essere trascinato (dato il suo ancora fragile radicamento di massa e la sua ancora non completamente definita identità politica e culturale) su quei pericolosi versanti della rinuncia all'azione soggettiva comunista e alla stessa forma partito autonoma comunista (rinunce che caratterizzano alcune aree della "sinistra critica e antagonista") deve - ancor più di prima - sollecitare un proprio disegno di radicamento autonomo e una propria ricerca culturale e politica. Solo in questo modo - rafforzandosi sia sul piano della prassi che della teoria - il PRC potrà "aprirsi" senza rischi alle più ampie politiche di alleanze; solo in questo modo esso potrà essere il cuore e il cervello di un più vasto fronte di "sinistra alternativa" che, avente al suo centro un partito comunista autonomo e propulsore, potrà dispiegare una propria forza critica e conflittuale, costruttrice dell'alternativa.
*Segreteria prov. Prc Milano
articolo apparso sul nr. 8/99 de L'Ernesto
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