da Rinascita a.II, nr.12, dicembre 1945 Pietro Secchia |
Presentiamo qui, come supporto documentario, un significativo
articolo che Pietro Secchia pubblicò nel dicembre 1945 sulle
colonne di Rinascita (a.II nr.12). Secchia era già di fatto il responsabile
nazionale del settore Organizzazione del PCI, in particolare per le doti
che aveva dimostrato durante tutta la lotta di liberazione nazionale, come
commissario politico delle Brigate Garibaldi e come membro autorevole della
direzione milanese del partito. Sarà però con il V Congresso
(29 dicembre 1945 - 6 gennaio 1946) che gli sarà formalmente conferito
l’incarico e questo articolo, nella forma di breve saggio, condensa
la sua esperienza al riguardo. La citazione iniziale di Stalin , abbastanza
celebre e controversa, viene considerata punto di partenza e non d’arrivo;
la linea politica giusta: ma quale linea politica può considerarsi
‘giusta’? Il lavoro organizzativo decide tutto, compresa la sorte della
linea: ma quale e che tipo di lavoro organizzativo?
E dunque innanzi tutto guai a staccare organizzazione
e linea politica: l’una non vive senza l’altra. E guai a credere che l’arte
dell’organizzazione possa surrogare la creatività e l’iniziativa
individuale e collettiva , perchè quella si nutre di queste. Se
l’organizzazione è rigida, diventa una camicia di forza rispetto
alle modifiche che la prassi politica incessantemente pone; così
come è vero che il procedere alla cieca rende sterile ogni
linea politica. Gli esempi sono tratti dalla recente storia del PCI: un’organizzazione
adeguata durante il periodo clandestino (per ‘compartimenti stagni’, inevitabili
per sfuggire alle maglie della repressione poliziesca) non lo è
più in connessione con la necessità di edificare il partito
radicato nel popolo del dopoguerra. Radicamento possibile anche e, forse,
soprattutto, per l’incessante cura alla formazione dei quadri. Dalle sezioni
retaggio dell’organizzazione del vecchio partito socialista alla strutturazione
in cellule: da queste alle cellule di fabbrica fino alla coordinazione
delle cellule dei villaggi e dei comuni; nella parabola organizzativa
del PCI, Secchia vede la sfida che la trasformazione sociale pone all’intelligenza
comunista. [Fe.D.]
Quando la giusta linea politica è fissata,
il lavoro d'organizzazione è ciò
che decide
di tutto, compresa la sorte della linea politica
stessa, della sua realizzazione o del suo insuccesso.
STALIN
La migliore delle linee politiche può essere destinata all'insuccesso,
se un partito non dispone di un'organizzazione capace di applicarla e di
realizzarla.
L'organizzazione non è fine a se stessa Essa deve essere lo
strumento più efficace per la realizzazione della politica del Partito,
per la mobilitazione delle larghe masse popolari, per il raggiungimento
degli obiettivi che di volta in volta il partito si pone. L'organizzazione
non può e non dev'essere dunque concepita come cosa a sè
stante, ma come uno strumento politico. Nulla si può realizzare,
neppure la più semplice delle iniziative politiche se non per mezzo
dell'organizzazione.
Impossibile perciò fare una netta distinzione tra politica e
organizzazione. Non si può ad esempio ritenere che vi possa essere
una situazione od una località ove politicamente si va bene, se
in quella località o situazione le cose vanno male organizzativamente.
Così non può essere un buon organizzatore il semplice
praticista, il tecnico, lo specialista che non si interessa di politica.
e che non unisce costantemente al lavoro pratico, organizzativo, lo studio.
La pratica costante giova molto, ed è vero che l'uomo pratico acquista
materialmente le cognizioni di un determinato numero di soluzioni e sa
trovare il rimedio a molti difetti ordinari di una organizzazione. Però
se quest'uomo non sa elevarsi sino a trovare il nesso, il legame della
politica con l'organizzazione, sino a comprendere quali sono le esigenze
di una determinata linea politica e gli obbiettivi che essa si propone,
egli saprà regolarsi in condizioni uguali a quelle di cui ha già
esperienza, ma non saprà regolarsi nei casi dissimili e cioè
nelle infinite circostanze di situazioni e di condizioni, nelle diverse
fasi di sviluppo della vita di un partito.
Concepita l'organizzazione come lo strumento della politica è
evidente che non vi sono e non possono esserci criteri e metodi organizzativi
fissi. Questi si modificano col modificarsi delle necessità politiche,
dei compiti e degli obiettivi che di volta in volta il partito si pone.
Criteri d'organizzazione senza principi dunque? No. L'organizzazione di
un partito come quella di un esercito, di un'azienda industriale, o di
un istituto scientifico risponde sempre a determinati principi direttivi
che sono in funzione della natura, del carattere di quel partito o di quell'aggregato
qualsiasi tenuto assieme ed operante per mezzo di quella data organizzazione.
Ma i principi per quanto frutto di esperienze pratiche, di lavoro e
di lotte nelle condizioni le più diverse, per quanto frutto di stùdio
e di ricerche, non possono essere, specialmente nel campo organizzativo
che un orientamento, una guida, e soprattutto non devono essere considerati
fissi, immutabili.
Lavorare con un piano è utile e necessario, lavorare con metodo
è indispensabile, ma lavorare schematicamente è oltremodo
dannoso specie sul terreno della organizzazione. Sistemi ottimi ieri, possono
essere del tutto nocivi oggi. Criteri e sistemi d 'organizzazione buoni
per un partito possono essere nocivi se adattati ad un altro partito o
per la natura e composizione sociale diversa o per i compiti diversi che
questo partito si pone a differenza dell'altro o per le diverse condizioni
del paese nel quale operano i due partiti in questione. Non c'è
dubbio ad esempio che i criteri organizzativi del Partito bolscevico dell'Unione
Sovietica, del paese del socialismo, non possono essere schemati-camente
trapiantati in un partito di un paese dove i rapporti di produzione siano
ancora dei rapporti capitalisti. Il partito comunista in Italia è
passato, nel corso dei 25 anni della sua vita, attraverso situazioni profondamente
diverse. Il fatto che malgrado la feroce reazione e la spietata persecuzione
esso si sia costantemente sviluppato e sia diventato uno dei più
forti, se non il più forte partito italiano, lo si deve innanzi
tutto alla sua giusta linea politica, all'essere rimasto costantemente
fedele, nelle situazioni più difficili, alla causa dei lavoratori
e del popolo italiano. Ma la sua capacità di resistenza, di ripresa
e di sviluppo è dovuta anche alla forza della sua organizzazione,
all'aver saputo modificare col modificare della situazione, non solo la
sua linea politica, ma anche i suoi criteri di organizzazione.
Saper adattare le forme ed i criteri d'organizzazione alla situazione
concreta, in modo da prestare il meno possibile il fianco al nemico, in
modo da sferrargli i colpi più possenti con le minori perdite da
parte nostra, questo è ciò che ha saputo fare il nostro partito.
Quante volte abbiamo mutato i nostri criteri e le nostre forme d'organizzazione?
Non è qui il caso di enumerarle. Certo è che i nostri criteri,
i nostri principi d'organizzazione nel 1924 non erano quelli del 1921,
e quelli del 1927-1930 non erano quelli del 1924 e così via. Metodi,
criteri e forme d'organizzazione del periodo della guerra partigiana non
sono e non potrebbero essere quelli di oggi.
Talvolta il ritardo nel modificare metodi e criteri d'organizzazione
fu duramente pagato dal partito. Le tendenze conservatrici ed i ritardi
nelle innovazioni in un'organizzazione industriale si pagano con spreco
di energie, di denaro, con la sconfitta nei con-fronti della concorrenza
e con un ritardo nello sviluppo della tecnica. In un'organizzazione politica
od in un esercito questi ritardi si pagano a prezzo di sofferenze e di
sangue e con la perdita sia pure transitoria della influenza, il che in
certe condizioni può decidere di una battaglia, del successo o dell'insuccesso
di una linea politica.
la superiorità politica ed organizzativa del Partito comunista
nei confronti degli altri partiti antifascisti si rivelò apertamente
agli occhi di tutti, specialmente nel periodo della guerra di liberazione
nazionale. Forte dell'esperienza di lavoro e di lotta accumulata durante
vent'anni di illegalità, il Partito comunista, più inten-samente
e largamente di ogni altro, seppe condurre la guerra contro i tedeschi
ed i fascisti col minor numero di perdite.
I partiti che da vent'anni avevano rinunciato, o quasi, a qualsiasi
attività in Italia, privi di una seria esperienza, di lavoro organizzativo
e cospirativo, non erano in grado di fare un passo senza cadere nella rete
del nemico, non erano in grado di sferrare un colpo senza offrire una larga
superficie vulnerabile alla reazione nemica.
Nessuno può contestare al Partito comunista italiano d'aver
partecipato alla guerra di liberazione col più gran numero di combattenti,
di partigiani e di gappisti, tutta l'organizzazione di partito è
stata per diciotto mesi mobilitata sul piano della lotta armata.
Eppure le nostre perdite in rapporto a quelle di altri partiti sono
state relativamente assai minori.
Durante i diciotto mesi il centro del partito ed il Comando generale
delle Brigate d'Assalto Garibaldi furono continuamente (senza interruzioni)
collegati con i triumvirati insurrezionali, con i comitati fede-rali, con
i Comandi militari di regione e di zona e con i Comandi operativi delle
Brigate Garibaldi e del Corpo Volontari della Libertà. Questi collegamenti
erano tenuti da corrieri, da staffette, da ufficiali di collegamento, uomini
e donne, giovani e anziani i quali tra-sportavano stampati, giornali, ordini,
direttive, armi, munizioni e materiale diverso. Tonnellate e tonnellate
di merce furono trasportate durante i diciotto mesi. Tutti questi collegamenti
facevano capo a dei centri regionali e da questi alla direzione del Nord
a Milano. E mai una sola volta i nostri centri regionali politici e militari
e la nostra direzione a Milano furono colpiti in punti vitali dal nemico.
Non solo, ma le nostre bande divennero ben presto brigate, si trasformarono
in divisioni, raggiunsero e superarono di molto i centomila combattenti.
E l'organizzazione di partito passò da cinquemila iscritti nel luglio
1943 a circa centomila al momento dell'insurrezione. Tutto questo lavoro
fu possibile grazie alla dedizione, all'abnegazione, allo spirito di sacrificio
di centinaia e centinaia di compagni, ma grazie anche alle esperienze,
alle capacità organizzative acquisite in lunghi anni di lotta, grazie
soprattutto alla giustezza della linea politica del Partito ma grazie anche
alla cura di ogni dettaglio del nostro lavoro organizzativo.
Il conservatorismo è nocivo ad un'organizzazione come la ruggine
in un ingranaggio. Ma non si devono neppure introdurre importanti innovazioni
nell'organizzazione con facile leggerezza. L'organizzazione non è
un passatempo, un divertimento consistente nel mutar di posto a delle pedine,
non è un giuoco e neppure. un campo sperimentale. L'organizzazione
è un mezzo, uno strumento serio inteso a raggiungere uno scopo serio.
Non bisogna mai lasciarsi andare a delle improvvisazioni e prima di
decidersi a delle radicali riforme nel campo dell'organizzazione non basta
constatare che il vecchio criterio, il vecchio sistema non risponde più
alle esigenze, ma occorre studiare ed in certo qual modo assicurarsi che
il nuovo che si vuoi introdurre sia non solo un poco migliore, ma sia tanto
migliore da rispon-dere ai risultati politici che vogliono ottenere e da
compensare il danno che la spezzata tradizione neces-sariamente apporterà.
Quando nel 1924 noi abbandonammo il principio d'organizzazione su base
territoriale per applicare quel sul a base del luogo di produzione
(cellule di fabbrica), sapevamo che il danno che poteva derivare dalla
rottura della tradizione, dell'abitudine dei com-pagni a riunirsi tutti
assieme nella sezione, sarebbe stato largamente compensato dallo sviluppo
del partito, dall'aumento della sua influenza e delle sue ramifica-zioni
nelle fabbriche. Il partito di massa dei lavoratori, il partito della classe
operaia, doveva trovare un si-stema d'organizzazione capillare che gli
permettesse di toccare, collegare, unire ed' attivizzare il numero più
grande di lavoratori, che desse la possibilità all'avanguardia della
classe operaia di assolvere alla sua funzione dirigente.
Il sistema d'organizzazione sulla base delle cellule di fabbrica aveva
già al suo attivo una grande, positiva esperienza: quella del partito
bolscevico, la cui politica era stata coronata dal più grande successo
storico.
Troppo facile sarebbe, quando un criterio organizzativo si dimostra
insufficiente, deficiente o superato adottarne un altro qualsiasi; magari
l'opposto. Vi fu ad esempio un periodo nella vita illegale del partito
in cui si costatò che il massimo accentramento facilitava e rendeva
assai più gravi i colpi della polizia. Il criterio d'organizzazione
con funzionamento collettivo (i comitati) centralizzato (collegamento di
tutte le cellule in settori e dei settori nel comitato federale) per mezzo
di riunioni regolari dei diversi organismi, faceva sì che quando
la polizia riusciva ad afferrare un anello della catena, per mezzo del
pedinamento, della provocazione e della tortura, più d'una volta
riusciva ad impossessarsi di tutta o di parte notevole della catena. Per
cui ad un certo momento si ritenne necessario passare al criterio del massimo
decentramento. Non più riunioni collettive, ma legame indi-viduale,
non più collegamenti di cellule in settori, ecc., ma tanti nuclei
viventi nella stessa città o zona, l'uno indipendentemente dall'altro,
non più comitati, ma individui responsabili.
L'applicazione di questo criterio nella sua forma più estrema,
rivelò ben presto nella pratica dei difetti altrettanto gravi quanto
i danni che prima ci arrecava la reazione poliziesca. Si marciava verso
la polverizza-zione del partito, verso la sua disintegrazione in tante
piccole unità indipendenti l'una dall'altra Dalla mancanza di unità
organizzativa., dalla mancanza di vita collettiva, dalla mancanza di discussione
si sarebbe potuto passo passo arrivare alla mancanza di unità di
direzione, alla mancanza di vitalità politica.
L'esperienza dimostrò che la giusta soluzione del problema non
stava nell'adottare semplicisticamente un criterio d'organizzazione opposto,
ma piuttosto nel conciliare le esigenze di un'organizzazione unitaria centralizzata
e funzionante collettivamente, con le esigenze di carattere cospirativo.
Si trattava cioè di trovare un equilibrio, la giusta misura.
Oggi che il Partito comunista è diventato e sta di-ventando
sempre più il partito nuovo, il partito del popolo italiano, il
partito che organizza che accoglie non solo una ristretta avanguardia della
classe operaia, ma strati sempre più larghi di lavoratori, di contadini
e di intellettuali, oggi che al partito si pongono compiti nuovi, compiti
di governo e di direzione di istituzioni pubbliche nelle provincie e nei
comuni, il funzionamento della sezione acquista un'importanza che nel passato
non aveva. Ma sarebbe un errore ritenere che la soluzione stia nell'abbandonare
il sistema d'orga-nizzazione sulla base di cellula d'officina e di strada.
Intanto le stesse cellule di fabbrica e di strada sono diventate degli
organismi i cui iscritti superano di molto quelli delle vecchie sezioni
socialiste del 1919-1920. In secondo luogo il sistema di organizzazione
per cellule non solo garantisce al partito i più larghi contatti
con le masse. lavoratrici, ma permette la partecipazione del numero più
grande di compagni alla vita ed all'attività del partito. Quanti
giovani elementi che passerebbero inosservati in una grande assemblea di
sezione, si rivelano nelle cellule come elementi capaci di sviluppo e di
assolvere a funzioni di direzione politica.
Tuttavia la situazione di oggi, il carattere odierno del partito, gli
obiettivi che stanno davanti a noi rendono necessaria, specie nei villaggi,
anche la vita di sezione. E in quei comuni ove erano sorte quattro, cinque
sezioni (una per frazione) già si è sentita la necessità
di raggrupparle, di ridurne il numero, di coordinare la loro attività.
Perché i problemi del comune, siano essi problemi amministrativi,
politici, di ricostruzione o culturali non possono essere risolti
che in forma organica e tenendo conto delle esigenze. di tutto
il comune.
Di qui la necessità per il partito di adottare criteri e forme
d'organizzazione diverse e multiple.
La cura dell'uomo è l'elemento essenziale nell'arte dell'organizzazione.
Un partito è fatto di uomini e bisogna prendere gli uomini come
sono. Bisogna cercare bensì di migliorarli e di educarli, di dare
ciò che ad essi manca, ma frattanto è necessario lavorare.
Un organizzatore politico non dev'essere solo un uomo dotato di facoltà
di osservazione e di analisi, capace di scorgere, abbracciare e coordinare
i dettagli, deve non solo possedere energia, dinamicità, resistenza
al lavoro, ma deve possedere quella conoscenza, quella capacità
di comprensione dell'elemento umano del quale è composta un'organizzazione..
L'organizzatore politico deve possedere queste qualità in misura
maggiore che non l'organizzatore industriale il quale esercita la sua funzione
solo in parte su cose vive. L'organizzatore politico non esercita la. sua
volontà su delle macchine, su della materia inerte o su degli uomini
che assolvono ad una funzione meramente meccanica ed in certo senso passiva
ma lavora invece con degli uomini che agiscono e reagiscono in piena coscienza
Saper scoprire le qualità che esistono in ogni indi-viduo, saper
ben utilizzare queste qualità, studiare i pregi e le insufficienze
di ogni compagno, saper collocare ognuno al posto che meglio risponde alle
sue attitudini, questo è uno dei compiti fondamentali dell'organizzatore.
E' un luogo comune l'affermazione che noi dobbiamo badare esclusivamente
all'interesse del partito, prescindendo da quelle che possono essere le
inclinazioni individuali. E' questo un criterio d'organizzazione del tutto
errato che dà risultati negativi in qualsiasi campo dell'attività
umana. L'uomo rende quanto più il lavoro che esso compie risponde.
non solo all'obiettivo supremo per il quale esso agisce e lotta (che può
essere obiettivo politico, scientifico, o di produzione) ma anche in quanto
quel lavoro soddisfa le sue attitudini e la sua inclinazione ad una particolare
attività'. Questo principio organizzativo. vale anche per i comunisti.
Perchè se è vero che i comunisti subordinano alla causa,
per cui lottano ogni vanità, ogni soddisfazione, ogni ambizione
personale è anche vero che i comunisti sono uomini normali come
tutti gli altri uomini, molti di essi temprati dalla lotta e dal sacrificio,
ma pur sempre uomini con le stesse esigenze, con gli stessi difetti e le
stesse qualità degli altri uomini.
La formazione e lo sviluppo dei quadri è il compito fondamentale
di un'organizzazione, l'utilizzazione di tutte le forze di cui il partito
dispone, saper aumentare giorno per giorno queste forze ed il loro rendimento,
riuscire ad indurre ogni compagno a migliorarsi quo- tidianamente e ad
impegnare tutta la sua volontà tutte le sue energie fisiche ed intellettuali
nell'interesse del partito, nella realizzazione della linea politica del
partito: in questo consiste essenzialmente l'arte dell'organizzazione.
PIETRO SECCHIA