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IL NECESSARIO PROCESSO DI RICOMPOSIZIONE DELLE SOGGETTIVITA' COMUNISTE

 

Per i comunisti non si tratta  di costruire un accorpamento in vitro su base ideologica tra quanti in Italia si definiscono di sinistra, ma di mettere in moto un processo ricompositivo che partendo dai soggetti politici attualmente esistenti  reimpianti la sinistra di classe nella costituzione materiale del nostro paese

 

 

----- editoriale del collettivo della rivista Aurora, nr.3/06 -----

 

 

La lettura politica del risultato elettorale consegna ai comunisti uno scenario di estrema complessità nel quale inserire il necessario processo di ricomposizione delle soggettività comuniste e, più complessivamente, della sinistra espressione del movimento operaio e ambientalista.

Un quadro complesso che - paradossalmente - può aiutare tale processo, in quanto costringe i gruppi dirigenti del Partito della Rifondazione Comunista, del PdCI,  della Sinistra DS a scelte nette e ad assunzioni di responsabilità non più rinviabili.

E che, si parva licet, costringe la nostra stessa rivista – in quanto parte integrante ed attiva di tale processo – ad interrogarsi profondamente.

Il ciclo politico che ha caratterizzato l’Italia dalla fine degli anni ’80 - inizio anni ’90 - segnato dalla crisi del capitalismo italiano - impersonificato da Silvio Berlusconi, non può essere liquidato come una parentesi nella storia di questo paese: non si tratta solo di un fenomeno di sovversivismo di parte delle classi dirigenti italiane maggiormente legate alla fedeltà atlantica sulla scorta della filiazione ed appartenenza del Cavaliere alla Loggia massonica della P2 ed alla omogeneità del proprio programma col piano di rinascita democratica del venerabile Licio Gelli, ma affonda le proprie radici in una materialità regressiva della composizione di classe della società italiana – dove il peso della rendita immobiliare e finanziaria ed il declino dell’apparato produttivo ha posto sostanzialmente fine a fenomeni di mobilità sociale che avevano caratterizzato l’Italia -, consegnandoci la necessità di una analisi più avvertita delle dinamiche sociali di questo paese. Se è sconfitto Berlusconi, non parimenti è sconfitto il berlusconismo.

Berlusconi ha rappresentato socialmente, sotto certi aspetti, gli interessi e la cultura della piccola borghesia, del vasto mondo dell’illegalità e criminalità diffusa ed organizzata ed ha saputo conqiustare sul richiamo populista anche settori  delle classi popolari, fuori o contro le regole del gioco su cui si era sviluppata la grande borghesia all’interno dello stato italiano e del progetto politico europeista.

Non casualmente contro di lui si è schierato il grande capitale europeo con i suoi giornali, dall’Economist al Corriere della Sera: ed è questa scelta che ha impedito la riconferma del governo di centrodestra e la stabilizzazione “eversiva” del quadro politico italiano.

La resistenza delle forze di movimento come quello della pace, per la legalità e della stessa mobilitazione sociale dei sindacati alle politiche del governo di centro destra non sarebbero state da sole sufficienti per la sconfitta elettorale del governo di Silvio Berlusconi: questa considerazione numerica costringe a riflessioni più avvertite rispetto all’evoluzione del quadro politico e sociale.

Una riflessione che investe la crisi delle storiche e tradizionali espressioni della rappresentanza politica e sociale: dai partiti , passando per le organizzazioni sindacali fino ad arrivare a Confindustria, il cui vertice non è sembrato in grado di orientare in maniera efficace i propri associati.

Constatazione che costringe a riflettere sulla debolezza delle classi generali italiane quali la borghesia e il movimento operaio, consegnandoci la necessità di una analisi delle vicende politiche che hanno segnato il processo di unificazione del paese riprendendo le riflessioni di Gramsci sulle caratteristiche “antropologiche” dell’uomo italico. Una riflessione che segnala l’assenza nelle vicende italiane sia di rivoluzioni di carattere sociale e politico come quelle inglesi e francesi, sia – e forse fondamentalmente – religiose come quella protestante ed evangelica.

La Chiesa cattolica ha infatti costituito - prima e maggiormente sul piano culturale ed antropologico che su quello politico - il vero appoggio di cui ha goduto il governo di centrodestra.

La stessa grande, media e piccola illegalità, che nelle sue espressioni moderne derivanti da fenomeni nuovi trova supporto ideologico e organizzativo in radici profonde presenti nel nostro paese, ha svolto un ruolo non secondario nella formazione del consenso al centro destra.

In sostanza il risultato elettorale ci costringe a riflettere non solo sulle modificazioni strutturali di carattere economico e sociale, sugli squilibri centro periferia, sul blocco sociale rappresentato dal berlusconismo, ma anche sul carattere contemporaneo del blocco storico di centro destra.

L’attuale crisi di élite, pubbliche e private, e quindi di classi dirigenti, come suggerisce una interessante riflessione di Mario Tronti, è sintomo, specchio, di qualcosa di più profondo, che non sia una generica crisi della politica, con conseguente degrado delle istituzioni rappresentative, soprattutto parlamento e partiti. Il guasto sta a monte. Il dissolversi del legame di classe, nella cosciente forma organizzata che aveva assunto nel Novecento, ha aperto la via a processi selvaggi di privatizzazione, che nessuno più ha controllato. Neppure la logica del capitale, che pure era alle origine di questi processi, ha saputo razionalizzarli e gestirli.

Il bipolarismo maggioritario introdotto agli inizi degli anni novanta nel sistema politico-istituzionale italiano sulla scorta di tangentopoli non è fatto per collocare ad un polo il capitale e dall’altro il lavoro, ma per escludere l’opposizione di classe dalla rappresentanza politica o per costringerla a schierarsi in modo subalterno all’interno di un polo.

Nello scontro tra due frazioni del capitale i comunisti e la sinistra di alternativa hanno giustamente scelto di combattere il nemico principale in questa fase, rappresentato dal sovversivismo di Berlusconi.

L’Unione è stata fondamentalmente una necessaria e doverosa alleanza per scalzare Berlusconi. Un necessario ed utile compromesso di tipo difensivo.

E’ necessario tuttavia essere consapevoli del carattere di classe - con i relativi condizionamenti e limiti - dell’Unione per poter operare politicamente con lucidità e rigore in una situazione oggettivamente difficilissima, nella quale il rischio del ritorno di Berlusconi, sconfitto di esigua misura, ma certamente non sradicato dal suo insediamento sociale e politico, può essere usato dalla grande borghesia per imporre politiche economiche e sociali antipopolari disgregando in maniera irreversibile le forze che ancora oggi si richiamano al socialismo ed al comunismo.

Se questo accadesse si produrrebbe un ulteriore disorientamento dei lavoratori e delle lavoratrici, molti dei quali, nella crisi, come è già accaduto con i fascismi ed anche in queste elezioni, sarebbero ulteriormente attratti dalle sirene populiste e reazionarie.

Il superamento del bipolarismo – auspicato da commentatori politici autorevoli come Rossana Rossanda - sarà possibile tuttavia solo una volta eliminata definitivamente la prospettiva di una destra politica eversiva attraverso una stabilizzazione a prevalenza centrista del quadro politico, capace comunque di garantire dinamiche sociali in un quadro democratico. Ciò senza dubbio deve passare attraverso l’azione di un governo che tenda a disgregare il blocco storico di centro destra, liberando forze centriste democratiche e non attraverso il dialogo e il compromesso nella illusione di rendere innocua la destra con governi di grande coalizione.

Tale stabilizzazione a prevalenza centrista, ma democratica ed in grado di arrestare il declino produttivo dell’Italia, sarà tanto più possibile quanto maggiore sarà la presa sociale ed elettorale del Partito Democratico, sbocco naturale della evoluzione dei Democratici di Sinistra, all’interno di quella stabilizzazione.

Fondamentale sarà dunque che tale esito derivi dalla disgregazione del centrodestra, mentre una possibile crisi repentina dell’Unione riproporrebbe il pericolo immediato di una risposta reazionaria.

Questo quadro, nel quale i comunisti sono coinvolti, consegna a quanti si pongono la questione di mantenere una sinistra non minoritaria e testimoniale in questo paese, e a maggior ragione a quanti si pongono all’interno di questa prospettiva la riproposizione di una soggettività comunista che si crei per aggregazioni e non per scissioni o crescita su se stessi degli attuali soggetti esistenti, la necessità di scelte non più rimandabili.

La costruzione di un soggetto comunista maggioritario oggi passa non solo nella capacità di rigenerare un pensiero comunista e nella costruzione di un percorso aggregativo di forze comuniste, ma anche nella capacità di proposta e  iniziativa politica capace di costruire una sinistra unita baluardo nella difesa della democrazia e alternativa nei confronti di quanti, pur difendendo il quadro democratico, considerano il capitalismo l’unico mondo possibile.

Tale proposta e iniziativa politica non può che avere come dimensione di riferimento l’ambito europeo.

E’ necessario constatare che in questa dimensione da una parte esiste una aggregazione di forze di sinistra che si sono date una organizzazione attraverso la Sinistra Europea (Rifondazione Comunista è una di queste) e dall’altra un insieme di forze di sinistra critiche verso quella organizzazione ma che comunque si sono relazionate con essa facendone parte in quanto osservatrici (il PdCI è una di queste): il processo unitario di costruzione di una sinistra di alternativa non può che passare da una evoluzione di questa esperienza.

Le condizioni per una evoluzione appaiono oggi possibili soprattutto per il fatto che l’ipotesi della grande Rifondazione comunista come unica sinistra e le varie ipotesi di confederazione, di rete, di partito del lavoro, ecc. sono tutte quante risultate non praticabili data la verifica fatta prima le elezioni politiche e dopo il risultato elettorale. Non solo, ma le contraddizioni apertesi all’interno delle stesse forze presenti nella Sinistra Europea (la differente collocazione rispetto al governo dei tedeschi e degli italiani, nonchè il ruolo istituzionale assunto da Bertinotti) fanno sì che si riproponga una riflessione complessiva sulla natura, sugli orientamenti e sulla leadership della cosiddetta Sinistra Europea. Il tutto a favore di una riproposizione non più monolitico-ideologica su cui costruire l’unità della sinistra, ma privilegiando l’aspetto politico-programmatico.

Dunque il rilancio dell’unità della sinistra passa fondamentalmente attraverso una adesione politico-programmatica e non ideologica alla Sinistra Europea.

Adesione politica e programmatica che metta al centro i temi della pace a partire dal ritiro delle truppe dall’Irak, del lavoro – sulla scia della battaglia per l’estensione dei diritti e per la riduzione della precarietà del lavoro all’interno di una ripresa complessiva dell’apparato produttivo del paese, dell’ambiente nei suoi rapporti col profitto d’impresa e con una nuova cultura della finitezza delle risorse.

Il passaggio da una adesione ideologica ad una politica si sostanzia nella legittimità, nella pari dignità ed agibilità di tutte le forze politiche – e più complessivamente di tutte le culture politiche – che si collocano a sinistra del Partito democratico.

Piena dignità politica alla categoria interpretativa dell’imperialismo come lettura della cosiddetta guerra permanente quindi, un giudizio sul novecento e sull’esperienza comunista non liquidatorio e subalterno alle ideologie borghesi e liberali, una ripresa e redifinizione del concetto cardine dell’analisi marxiana come quello di classe a fronte del suo superamento e dissoluzione nel concetto di individuo, la liceità teorica e pratica di una posizione pacifista e pacifica ma non per questo ascrivibile all’ideologia della non-violenza.

Questo è l’orientamento con cui far evolvere l’attuale Sinistra Europea. Un orientamento che affronti tali questioni con chi gia fa parte di questa organizzazione, ma soprattutto con quella parte che oggi si colloca come osservatrice al fine di sviluppare una posizione di aderenti a tutti gli effetti.

I Comunisti Italiani sono chiamati dunque a  orientare la propria azione nell’ottica di una riaggregazione della sinistra e delle esperienze comuniste in una prospettiva di apertura e di presenza forte nella società italiana. Risulta chiaro che l’obbiettivo non può più essere quello di una crescita su se stesso giocando di rimessa sulle contraddizioni dell’attuale collocazione del Partito della Rifondazione Comunista.

Rifondazione Comunista è obbligata a percorrere la via della costruzione di una casa comune della sinistra dove vi sia la pari dignità e l’agibilità di varie forze politiche, sociali, culturali, se non vuole ridursi a forza marginale nell’ambito dell’Unione nella funzione di raccolta e integrazione molecolare delle forze che il passaggio da Ds a Partito Democratico libererà nella sinistra DS da una parte e dall’altra dalla crisi che di volta in volta subiscono i movimenti.

La sinistra DS d'altronde non potrà accettare la speculare ipotesi di fare la sinistra del Partito Democratico o di essere inglobata in modo subalterno nell’attuale versione della sezione italiana del Partito della Sinistra Europea, ma dovrà porsi come un soggetto politico collettivo ed autonomo teso a ridefinire le modalità di costruzione della nuova casa comune della sinistra italiana.

La componente “Essere Comunisti” di Rifondazione da una prevalente caratterizzazione di azione interna di contrasto della maggioranza nella logica politica della componente di partito è obbligata a sviluppare una iniziativa politica in positivo nei confronti dell’intero partito valorizzando la disponibilità della maggioranza bertinottiana a ridiscutere ed a cambiare di segno alle modalità con le quali si è andata fino a qui identificando la costruzione della Sinistra Europea, rinegoziandone le caratteristiche  e partecipando al confronto che dovrà aprirsi fra i soggetti oggi osservatori.

E’ evidente che se l’iniziativa primaria attiene ai gruppi dirigenti delle forze politiche che abbiamo richiamato, tale processo deve investire una pluralità di soggetti e soprattutto deve marciare nel fuoco della battaglia politica e delle dinamiche sociali: non si tratta quindi di una fusione fredda tra gruppi dirigenti, ma di una proposta politica che parta da soggetti strutturati in grado di dare credibilità e omogeneità ad una operazione di ricomposizione più ampia, che parli ai Verdi ed ai vari movimenti che hanno segnato la resistenza sociale e politica di questo paese. Che parli soprattutto al mondo del lavoro ed alle sue rappresentanze sindacali in una fase di forte movimento e di “scollamento” nei rapporti fra identità sociali e rappresentazione politica dei corpi sociali medesimi.

Un processo riaggregativo dei comunisti che abbia il respiro necessario al ruolo ed alla funzione politica e storica che ha da sempre caratterizzato il movimento comunista internazionale può vivere solo in questo mare: i comunisti dovrebbero esserne i più inflessibili e decisi costruttori.

Per i comunisti non si tratta quindi di costruire un accorpamento in vitro su base ideologica tra quanti in Italia si definiscono di sinistra, ma di mettere in moto un processo ricompositivo che partendo dai soggetti politici attualmente esistenti - misurandosi con le dinamiche della politica nazionale ed europea con un’ottica maggioritaria – reimpianti la sinistra di classe nella costituzione materiale del nostro paese. Solo questo renderà paradossalmente positiva una stabilizzazione a prevalenza centrista del quadro politico italiano: solo se a fronte del prosciugamento del mare e delle forze eversiva non corrisponderà l’implosione e vaporizzazione della sinistra espressione del movimento operaio.

Certo, anche se questo è il principale terreno politico di iniziativa dei comunisti, rimane comunque tutta aperta la questione comunista. La riflessione, la rigenerazione, la riaggregazione dei soggetti rimane la questione centrale, da non considerare disgiunta dalla iniziativa politica come impegno per la costruzione dell’unità della sinistra - così come l’impegno per le battaglie in campo-, dove gli argomenti, le riflessioni e le proposte nella battaglia facciano vivere la problematica comunista nel contesto in cui queste si svolgono.

Oggi siamo all’interno di una batrtaglia decisiva per sconfiggere la devoluzione in difesa del quadro democratico.

All’interno di questa battaglia necessita difendere ed esaltare i temi della Costituzione repubblicana che, trattando dei rapporti sociali di produzione, esaltino quei punti che i comunisti introdussero come possibilità di ulteriore sviluppo della lotta per il superamento del libero mercato capitalistico.

Alcuni articoli come il 41 e 42 della Costituzione trattano temi che vanno in questa direzione.

L’iniziativa privata è libera ma essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. La legge, inoltre, determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

La stessa proprietà privata è sì riconosciuta e garantita dalla legge, ma la stessa legge nel determinare i modi di acquisto e di godimento ne può fissare  i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. 

Questi sono argomenti frutto della forza del movimento comunista e socialista italiano e dell’esperienza della Resistenza. E’ anche su questi articoli, se non soprattutto, che si basa e si sorregge tutta l’impalcatura della nostra Carta.

E’ anche nel vivo di queste battaglie che possiamo riproporre e rendere visibili le nostre elaborazioni intorno alla questione comunista.

 

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