UN RICORDO DI PIETRO SECCHIA
di Arnaldo Bera
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Venticinque anni fa, nel luglio del 1973, decedeva il compagno Pietro Secchia.

 Era nato ad Occhieppo Superiore (Biella) nel dicembre del 1903. Una figura leggendaria nel Pci e nella Resistenza italiana.
La causa della morte: postumi da avvelenamento, che si manifestarono subito dopo il suo ritorno dal Cile, dove era stato inviato dalla direzione del Pci in occasione delle celebrazioni del 50° anniversario del Partito Comunista Cileno. Un giudizio di Secchia sulla situazione cilena: «grave, ma non disperata".
L'undici gennaio 1972, subito dopo il suo rientro in Italia, a Roma, ebbe una grave crisi e venne ricoverato in clinica.
I medici chiamati al suo capezzale, alcuni emeriti professori come Ettore Biocca, docente di parassitologia all'Università di Roma, diagnosticarono un avvelenamento provocato da «ingestione di veleno ad altissimo livello scientifico che non lasciava traccia alcuna".
La Direzione del Pci ne venne subito informata, ma non si seppe mai per quali motivi tacque del fatto. Non venne mai data alcuna notizia ufficiale. Come mai? Perché questo silenzio?
Come è noto, poco tempo dopo in Cile ci fu il colpo di stato fascista di Pinochet con l'aperto appoggio dell'organizzazione
spionistica degli Usa (Cia).
La crisi da avvelenamento venne superata in clinica. Dopo molti giorni Secchia riprese lucidità e lentamente anche il desiderio di riprendere l'attività con i suoi studi e scritti sulla storia del Pci e della Resistenza. Un'opera fondamentale fu l'Enciclopedia della Resistenza.
L'avvelenamento aveva prodotto tuttavia un danno irreversibile, che doveva portarlo alla morte.
Poco prima della morte, avvenuta nel luglio 1975, scriveva all'Editore Mazzotta  "ho terminato il lavoro per il volume La Resi- stenza accusa,  ma mi sono sottoposto ad uno sforzo quale i miei medici proibiscono assolutamente".
In un incontro successivo nella sua casa dì Roma:
"Vi consegnerò la prefazione, ma non sarà lunga, entro giugno o luglio e se per coincidenza non ci sarò più, vedete un po' di arrangiarvi ricordandovi che prima di diventare uomo di lettere ero un uomo d'azione".

E ne aveva ben ragione! Quando venne liquidato politicamente nel 1954 (di questo ne parleremo più avanti) egli fu costretto a diventare uomo di lettere.
Deve essere però subito chiaro che non è possibile ricordare degnamente Pietro Secchia con delle brevi ed insufficienti note come queste considerando l'attività ed i ruoli del compagno Secchia in oltre 50 anni di attività politica.

Si renderebbe necessario uno studio molto serio ed approfondito, soprattutto perché su Secchia venne stesa una pesante
coltre di silenzio quando addirittura le sue politiche non vennero rovesciate ed in nome del "rinnovamento" gli vennero addossate responsabilità e scelte politiche "settarie, operaistiche, staliniste", coprendo così quel revisionismo politico ed  ideologico che doveva portare alla completa liquidazione del Pci e alla distruzione di un patrimonio politico enorme costruito in anni di duro lavoro e di sacrifici enormi.

L'undici marzo 1972 quando Secchia era  in convalescenza scoppiava l'affare Feltrinelli.
Il 20 marzo scriveva a Del Bo presidente della Fondazione G.G.Feltrinelli "ho lasciato oggi la clinica, sono ancora in convalescenza ed anchese scrivo sono ancora in difficoltà ma non voglio ritardare ad esprimerti i sentimenti di amicizia e
solidarietà. Sono convinto che si tratta di un assassinio".
Più tardi nel suo discorso di commemorazione al Senato mise in luce il grande contributo dato da Giangiacomo Feltrinelli alla cultura italiana.
Questi due episodi, l'avvelenamento di Secchia e l'assassinio di Feltrinelli, confermavano se vi fosse stato ancora bisogno, quali metodi venivano e vengono usati dalle organizzazioni segrete Usa.

Diceva Secchia a questo proposito: "abbiamo appreso abbastanza in questi anni dei metodi di lotta di certi organismi di sicurezza internazionale, i quali non indietreggiano davanti ad alcun delitto [ ...] Ci stupisce che dopo tante denunce documentate sull'operato della Cia vi sia ancora chi dimentica e ciò proprio nel momento in cui dovrebbe ricordarsene".

ALCUNI CENNI BIOGRAFICI

Dunque ricordando Secchia mi limiterò solo ad alcuni episodi storici e biografici della sua vita.

Già segretario del Fgci di Biella, 1920/1921, nel 1924 rappresenta i giovani comunisti al quinto congresso dell' Internazionale Comunista a Mosca e nel 1926 è già membro del C.C. del Pci.

In questo periodo ha già conosciuto il carcere tre volte, venne poi arrestato dall'Ovra nel 1931 e condannato a 17 anni di carcere dal Tribunale speciale. Si può dire che passò il resto della sua gioventù nelle galere fasciste e poi al confino di Ponza e Ventotene.
Venne liberato dopo la caduta del fascismo nell' agosto del 1943. Difatti il governo Badoglio solo dopo forti pressioni e mani festazioni fu costretto a liberare anche i comunisti.
Insieme a Longo nell' Italia del Nord - Milano - diede vita alla resistenza ed alla costruzione delle Brigate Garibaldi di cui divenne commissario generale.
Subito dopo la guerra di liberazione nazionale ricoprì incarichi ai vertici del Pci: membro della Direzione e della Segreteria Nazionale, responsabile della commissione di organizzazione. A lui fu affidato il compito della costruzione di un "Partito di tipo nuovo di massa e di lotta".

Eletto al Senato della Repubblica fece sentire fortemente la sua voce in difesa delle lotte della classe operaia e dei lavoratori, denunciando le violenze ed i soprusi della Polizia quando ministro dell'Interno era Mario Scelba.
È memorabile il suo discorso al Senato nell'aprile del 1951.
In quel periodo le provocazioni contro i partigiani e gli antifascisti erano all'ordine del giorno. Essi subivano arresti e violenze in tutto il Paese, i comunisti venivano indicati come nemici pericolosi. Il ministro della Difesa Pacciardi li fece licenziare negli arsenali militari; nelle fabbriche, come ad esempio alla Fiat, per i comunisti ed i sindacalisti più impegnati vennero creati dei reparti confino. Anche nelle campagne i salariati agricoli subirono rappresaglie politiche dure e licenziamenti.
Insomma il fascismo era caduto, ma il padronato, i capitalisti erano tornati ad imporre i vecchi metodi e le forme peggiori di sfruttamento sui luoghi di lavoro.

Il Pci, che era stato decisivo sotto la guida di Secchia e di Longo alla testa della lotta di liberazione per la conquista della Costituzione repubblicana, doveva nuovamente difendere strenuamente i diritti e le conquiste dei lavoratori e battersi per il rispetto e l'applicazione della stessa Costituzione.

Un peso determinante ebbe in questo periodo il Pci nel dare vita ad un vasto, forte movimento in difesa della Pace e per la messa al bando delle armi atomiche. Per iniziativa dei comunisti e dei socialisti nacquero i comitati della Pace. In Italia vennero raccolte milioni di firme sotto l'appello di Stoccolma.

Nel 1948 venne sviluppata una grande lotta nel paese, in Senato ed alla Camera, dai parlamentari comunisti e socialisti per impedire l'adesione dell' Italia all'Alleanza Atlantica.
Il Pci era diventato con la forte organizzazione voluta da Secchia, decisivo nella lotta dei lavoratori. Manteneva aperta la spe- ranza della conquista di una società nuova, di "una democrazia progressiva" non più schiacciata dai potenti gruppi capitalisti che in Italia avevano potuto ricostruire grazie alla Dc  il loro potere. Proprio quelle forze che nel nostro Paese avevano già dato vita al fascismo.

LA CACCIATA DELLE SINISTRE DAL GOVERNO

Nel 1947 le forze di sinistra vennero cacciate dal Governo. Secchia manifestò subito un netto dissenso con la decisione presa anche dal Pci di non rispondere con una protesta popolare a questa gravissima scelta politica di De Gasperi.
In quel momento le forze di sinistra, comuniste e socialiste, erano abbastanza forti per rispondere con successo a questo attacco, che di fatto rompeva l'unità antifascista.
Cosa prevalse in quel momento anche nel gruppo dirigente del Pci? Forse una sottovalutazione circa la gravità di quella decisione  e le conseguenze  che poi dovevano derivarne.
Secchia mantenne anche in seguito la sua riserva critica a quella posizione che considerò un errore poi pagato caro da tutto il movimento operaio italiano.
 

L'ATTENTATO A TOGLIATTI

Nel luglio del 1948, pochi mesi dopo la vittoria elettorale della Dc, ci fu l'attentato a Togliatti. Si levò in tutto il paese un possente movimento di protesta.
Toccò ai compagni Secchia, Longo, D'Onofrio e altri tenere in pugno la situazione ed evitare gravissime conseguenze.
Molte, troppe cose anche per questo episodio non sono mai state chiarite. Era evidente che l'attentatore Pallante, siciliano, non aveva agito da solo. Vennero poi alla luce cose gravissime. Il banditismo e la mafia avevano forti legami con gli apparati dello stato e non solo, ma in questo ambiente corrotto apparvero ancora una volta personaggi dei servizi segreti Usa.
In un suo discorso al Senato il compagno Secchia smascherò i falsi e le malefatte del ministro Scelba, ne denunciò la strategia di tensione, le coperture date ai fascisti, le congiure golpiste, gli atti di violenza compiuti nei confronti dei partigiani, ecc.
Era in questo ambiente che era cresciuto, maturato politicamente e da qualcuno armato, Pallante che si era dichiarato fascista.
 

I RAPPORTI INTERNAZIONALI

Nei rapporti internazionali Secchia mantenne sempre una posizione fedele ai princìpi dell'internazionalismo proletario. Dai documenti appare chiaramente quali furono i suoi rapporti con il Pcus,  il suo gruppo dirigente e con lo stesso Stalin, con il quale Secchia ebbe ripetuti incontri di lavoro, in alcuni di essi, almeno quattro, presente anche Togliatti.
Essi furono sempre di rispetto reciproco, con discussioni, confronti, analisi di grande interesse ed anche dissensi su valutazioni di carattere internazionale.
In questi rapporti, senza alcun dubbio pesavano il prestigio, le esperienze, la sua stessa funzione di solidarietà e di aiuto concreto ai movimenti popolari di liberazione dell'URSS. Pesava sicuramente anche la vittoria del suo popolo nella terribile guerra condotta contro il nazismo ed il fascismo ed il grande contributo dato alla liberazione dell'Europa.

L'INCIDENTE A TOGLIATTI E LE PROPOSTE DEL PCUS

Nel 1950 a Togliatti occorse un gravissimo incidente automobilistico che lo portò vicino alla morte.

Appena superata la crisi Togliatti incaricò Secchia di aprire un'inchiesta "su tutti, nessuno escluso". Come mai? Perché? Cosa sospettava Palmiro Togliatti?
Rimase comunque vivissima la preoccupazione anche nel Pcus per questo episodio;  già con l'attentato del 1948 il Pcus aveva
manifestato una forte critica ai compagni italiani per non aver salvaguardato come necessario la vita e la salute del compagno Togliatti.
I dirigenti del Pcus avanzarono una proposta ai compagni del Pci e cioè di esaminare la possibilità di utilizzare il compagno Togliatti alla guida di un nuovo organismo internazionale, l'ufficio Informazioni, che era appena stato creato.
Ciò non significava affatto il ritorno alla organizzazione di una nuova internazionale. La terza era già stata sciolta nel 1943, con la guerra ancora in corso. Si trattava solo della creazione di un organismo di coordinamento tra i maggiori, più forti Partiti comunisti e fra questi quello francese ed italiano.
I compagni del Pcus temevano un serio, grave peggioramento della situazione internazionale, lo confermava un rilancio della aggressività militare Usa con reali e concreti pericoli di guerra (persino la minaccia dell' uso delle armi atomiche in Corea).

L'aggravarsi dei pericoli di guerra presupponeva gravi misure restrittive delle libertà per i comunisti nei paesi capitalisti e per sino l'arresto del compagno Togliatti, per cui la sua utilizzazione all'estero lo metteva al riparo dai rischi, oltre che assicurare una guida di grande prestigio per l'Ufficio Informazioni.

La Direzione del Pci esaminò la proposta del Pcus ed in linea di massima la approvò dando incarico ai compagni Secchia e Co lombi di discutere a Mosca la questione, presente il compagno Togliatti.
Partecipava all'incontro anche Stalin. Togliatti non accettò la proposta, proponendo a sua volta il suo ritorno in Italia per preparare il VII congresso nazionale del Pci e quindi la sua eventuale, graduale sostituzione. Questa fu la decisione presa, una decisione che non aveva accontentato nessuno e probabilmente aveva lasciato un segno negativo nei rapporti tra Togliatti e Secchia.
Dopo la morte di Stalin la direzione del Pcus sollecitò un incontro molto riservato con la Segreteria del Pci.
Venne deciso dalla stessa di inviare a Mosca il compagno Secchia.
Ci fu un incontro con Molotov, il quale informò Secchia sulla situazione che si era determinata dopo la morte di Stalin. Molotov disse che la situazione sotto la direzione di Stalin era diventata pericolosa per gli stessi dirigenti del Pcus e che loro stavano mettendo mano a seri radicali mutamenti per riparare ai gravi errori commessi soprattutto negli ultimi anni quando Stalin andava manifestando anche segni di squilibrio mentale.

Secchia, che era riuscito a portare in Italia anche alcuni documenti, informò di tutto Palmiro Togliatti. A quanto si conosce Togliatti non dimostrò grande preoccupazione per cui non venne presa nessuna misura di orientamento per preparare il Pci gradualmente ad affrontare la nuova situazione.
Per questi motivi le rivelazioni ed i documenti del XX congresso del Pcus provocarono nel Pci notevoli sbandamenti.

La questione relativa ai metodi di direzione ed alla collegialità non lasciava certamente indenne il Pci come d'altronde altri Parti- ti comunisti.
Vale la pena di ricordare che in una lettera di Secchia a Togliatti, con la quale venivano riconosciute ampiamente le grandissime capacità e l'intelligenza di Togliatti, venivano puntualmente criticati i metodi instaurati anche nel Pci con cui veniva esaltata l'infallibilità del Segretario generale.

1954 - L'AFFARE SENIGA

Nel 1954 avvenne un fatto grave che doveva colpire anche nel fisico il compagno Secchia.
Un funzionario addetto alla vigilanza dei compagni della Direzione del Pci lo tradì.
Giulio Seniga, un suo stretto collaboratore, approfittando della sua assenza da Roma, si impossessò di una ingente somma di denaro, di alcuni documenti e scappò.

Non si riuscì mai a comprendere quali erano state le vere ragioni di quel gesto. Chi aveva tenuto mano a Seniga e quali potevano essere gli obiettivi che si proponeva chi con lui aveva organizzato l'operazione?
Per esempio, si seppe dopo che Seniga era venuto a conoscenza che Secchia stava prendendo decisioni che lo toglievano dagli incarichi che ricopriva. Come lo seppe e da chi? Ancora; Seniga sapeva bene che con il suo gesto dava un colpo mortale alla posizione che Secchia aveva nel Partito. Ancora dopo pochi giorni, quando si riuscì a stabilire un contatto tra Secchia e Seniga a Cremona, nella sede delle Federazione del Pci, dopo un tempestoso colloquio tra i due, alla presenza del sottoscritto e del segretario della federazione, Percudani, Seniga ormai privo di argomenti con i quali dare una spiegazione politica al suo gesto, sembrava aver capito la gravità del suo gesto e promise di riparare a tutto. Dopo un successivo colloquio a Volongo, il paese di Seniga, questi tradì nuovamente scappando.
Venimmo a conoscenza che Seniga aveva rapporti e collegamenti con un gruppo dell'Alfa Romeo e con dirigenti socialdemocratici a Milano e in Svizzera dove durante la Resistenza era espatriato dopo la caduta della repubblica dell'Ossola e dove aveva avuto rapporti con i Servizi segreti inglesi che allora si occupavano dei lanci alle formazioni partigiane. Con questo episodio veniva dato un argomento a coloro che nella Direzione del Pci dissentivano e criticavano le posizioni del compagno Secchia e che miravano a toglierlo dagli incarichi politici che esso aveva nel Pci (Vice segretario generale del Partito e responsabile della commissione d'organizzazione).
Venivano messe in difficoltà quelle forze politiche che nel Partito erano orientate su posizioni di classe marxiste - leniniste. Veniva così liquidato uno dei dirigenti del Pci rimasti fedeli ad una linea rivoluzionaria.
Anni dopo la morte qualcuno come Miriam Mafai non ebbe vergogna di scrivere che Secchia "sognava la lotta armata", quasi che egli fosse stato un ispiratore teorico del terrorismo degli anni di piombo.
Offendevano così anche la memoria di un grande dirigente comunista, che non aveva solo sognato, ma combattuto per una linea rivoluzionaria che altri avevano abbandonato.

L'ESCLUSIONE DALLA DIREZIONE DEL COMPAGNO SECCHIA

Il 16 dicembre 1956 in una riunione del C.C. del Pci appena eletto dal VIII Congresso nazionale Togliatti presentò le proposte per la elezione dei nuovi organi dirigenti. Esse escludevano Secchia ed altri vecchi compagni dalla Direzione del Partito.

Per la prima volta, credo nella storia più recente del Partito, tali proposte vennero contestate apertamente. Si pronunciarono contro i compagni Alberganti, Bera, Brambilla, Sclavo, Vergani, Robotti, Bonazzi, Carrà, Montagnana, Parini.
Le reazioni dei cosiddetti rinnovatori furono dure, in particolare quelle di Amendola e Pajetta, i quali gridavano "ecco il fronte del conservatorismo che non ha parlato al Congresso".
Ciò avveniva nello stesso momento in cui era stata lanciata la campagna del cosiddetto "rinnovamento" del Pci. Con le conclusioni dell' VIII Congresso del Pci, quello per intenderci della "Via italiana al socialismo" che doveva poi diventare la via della più pesante capitolazione e sconfitta del Pci e dello stesso movimento operaio, veniva dato corpo a quelle scelte politiche che portarono alla piena adesione alla Nato, al compromesso storico, agli appelli rivolti ai lavoratori chiedendo loro altri sacrifici per ridurre il costo del lavoro e quindi aumentare sempre più i profitti del grande capitale, ecc.
Era la politica delle illusioni che avrebbe dovuto aprire al Pci la strada al governo, non dalla porta di servizio (Amendola) ma da quella centrale!

Il compagno Secchia, ormai tagliato fuori dai massimi organi dirigenti del Partito, ma pieno di energie, aveva solo 52 anni, non si estraniò dalla lotta politica dedicandosi all'attività di storico. Ne uscì una ricca produzione di alto valore culturale.

Nel 1970, nella prefazione al libro L'azione svolta dai comunisti durante il Fascismo 1926-1932 scriveva proprio a proposito del rinnovamento revisionista "Certuni hanno salutato il XX ed il XXII Congresso del Pcus non tanto perché si rivelarono i delitti commessi e le gravi violazioni alla legalità socialista, non tanto alla spinta che essi imprimevano al 'disgelo' al ritorno di una reale vita democratica quale noi anziani avevamo conosciuto in seno ai Partiti comunisti, ecc., ma perché ritennero che aprissero un periodo di completa revisione del marxismo e del leninismo. Si fecero avanti certe spinte di coloro che intendevano liquidare i gravi errori ed i delitti ormai irreparabili di certi periodi dell'epoca staliniana, certi metodi di direzione allora introdotti, il dogmatismo e l'infallibilità dei gruppi dirigenti e dei rispettivi segretari generali. (Evidentemente Secchia si riferiva a Togliatti, come conferma del resto una sua lettera inviata a Togliatti già nel novembre del 1954 proprio sui metodi di direzione). Ciò che taluni intendevano liquidare erano le posizioni di principio e pratiche, l'internazionalismo proletario ecc. Il vino nuovo si disse all'epoca del VIII Congresso, non può essere versato nelle botti vecchie. E sia, anche se tra tante botti non ero certo la più vecchia né avevo mai stagionato nelle cantine di Stalin".

La reazione di alcuni compagni della Direzione del Pci in particolare quella di Pajetta, in alcuni colloqui fu dura e venne chiesto a Secchia se con questo intendeva rompere con il Partito.
Secchia rispose che rivendicava il diritto di esprimere le proprie opinioni come altri dirigenti del Pci facevano ormai da anni utilizzando pubblicazioni borghesi.

IL TESTAMENTO

Il compagno Secchia aveva ripetutamente ribadito e poi confermato nel suo testamento che il materiale del suo archivio e soprattutto i quaderni non dovevano essere consegnati alla Direzione del Pci.
Diceva "sparirebbe tutto, andrebbero a finire in qualche fondo di magazzino e questo non dobbiamo permetterglielo". Infatti non lo abbiamo permesso. Il figlio Vladimiro, il fratello Matteo ed il sottoscritto sono riusciti a far rispettare le sue precise indicazioni testamentarie.

Non fu una cosa facile, non mancarono pressioni pesanti da parte di alcuni membri della direzione, in particolare Pajetta e Colombi e da parte dello stesso Cossutta, per mettere le mani sopra l' archivio con l'obiettivo preciso di impedirne la pubblicazione.

Alla fine dopo lunghe trattative venne trovato un accordo: l'erede diretto, Vladimiro Secchia, avrebbe ceduto in comodato per trent'anni alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli l'archivio, disponibile per la consultazione a tutti coloro che avrebbero voluto studiare ed approfondire la conoscenza della vita del Pci del movimento operaio, dell' antifascismo e della Resistenza.

Il compito di vagliare il materiale e di decidere la sua pubblicazione fu affidato ad una commissione formata da: Vladimiro Secchia, Matteo Secchia, Arnaldo Bera, Ambrogio Donini, Alessandro Vaia, Arturo Colombi, Giorgio Napolitano Giuseppe del Bo (presidente della Fondazione), Leo Valiani e Paolo Spriano. Il compito della stesura definitiva dell'opera fu affidato a Enzo Collotti, al quale rinnovo il mio più vivo ringraziamento per la serietà e la capacità dimostrata nella stesura del libro che venne pubblicato nel 1978.

Questi sono i fatti, per cui deve essere smentito che il compagno Secchia avesse già preso la decisione di consegnare direttamente alla Fondazione Feltrinelli. Questa decisione maturò dopo la trattativa con la Direzione del Pci come è vero che nella testata del libro sparirono i nomi della commissione riportati più sopra.
 

ripreso da  IL CALENDARIO DEL POPOLO, nr.628 - febbraio 1999


 


IN RICORDO DI ARNALDO BERA


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