Il capitalismo sta attraversando una crisi mondiale più
profonda forse di quella degli anni 1930. Sappiamo con Marx (e anche con W.
Benjamin) che essa può portare al socialismo, ma anche, diversamente da quel
che credeva il determinismo positivistico della II Internazionale, fiducioso
nel necessario e inevitabile avvento del sol dell'avvenire, alla "comune
rovina delle classi in lotta", ad un regresso generale della civiltà:
socialismo o barbarie rimane l'alternativa di fondo della nostra epoca.
Alle origini del comunismo contemporaneo - quello che si
sviluppa nella teoria a nella pratica di Lenin e Gramsci, per citare solo due
tra le figure più luminose - vi è la consapevolezza del ruolo ineludibile del
soggetto rivoluzionario comunista. Senza comunisti organizzati, senza partito
comunista, le contraddizioni - oggi così manifestamente esplosive - del
sistema capitalistico, non si risolvono automaticamente nel socialismo. I
comunisti - è ancora il Manifesto del 1848 a dircelo - non sono certo
l’unica forza anticapitalista (e vi è anche un anticapitalismo regressivo),
non sono gli unici che si battono contro l'ineguaglianza e le ingiustizie
sociali, ma sono la forza che opera consapevolmente nella prospettiva
strategica di superare (nel senso hegeliano di Aufhebung)il
capitalismo nel modo di produzione fondato sulla proprietà sociale a sulla
pianificazione socialista - la sola capace di superare l'anarchia della
produzione capitalistica. I comunisti sono l’antagonista storico, non
contingente e non casuale, del capitalismo. Di ciò le classi dominanti
borghesi sono ben consapevoli: l'anticomunismo è un dato permanente della
società capitalistica (perciò non ci si deve meravigliare se Berlusconi lo
evoca, anche se la forza comunista in Italia non è mai stata, dopo il 1945,
così ridotta). Esso e stato ed è praticato in modi diversi, dall'attacco
frontale e diretto alla strategia più sottile - così ben analizzata da Gramsci
nei Quaderni a proposito del trasformismo e della rivoluzione passiva
- di decapitare ideologicamente e politicamente i comunisti, di "morfinizzarli",
trasformandoli da antagonista storico del capitale in appendici subalterne ai
partiti borghesi. Per questo, la capacità di agire sul fronte della "battaglia
delle idee" non è meno importante e necessaria della capacità di promuovere,
organizzare, dirigere le lotte sociali.
La storia degli ultimi 30 anni - dopo che il movimento
comunista in Italia a nel mondo aveva marcato fino alla metà degli anni 70
importanti successi, suggellati dalla vittoria dei viet-cong contro lo zio Sam
- è segnata da un virulento attacco anticomunista sul piano politico a su
quello ideologico-culturale, al quale i comunisti non hanno saputo
contrapporre strategie adequate, si che, dopo il lavorio di erosione
degli anni 80, si è abbattuta la valanga del 1989-91, con la controrivoluzione
capitalistica in Urss e nell'Est europeo e la Bolognina di Occhetto. Ma la
valanga dell'89 non travolge tutto, i comunisti provano, nel mondo e in
Italia, a resistere, riorganizzarsi, ricostruirsi. Con comprensibili
difficoltà, incertezze, passi falsi, cadute. Il Prc sorto in Italia 18 anni
fa, se ebbe il grande merito di contrapporsi alla derive e di raccogliere
forze anticapitaliste e comuniste, non volle però fare seriamente i conti con
la storia del movimento comunista italiano e internazionale, preferendo "pragmaticamente"
(ma a un pragmatismo che si paga a caro prezzo) semplificazioni, mitizzazioni
e facili slogan, fino alla deriva bertinottiana, che rompe con la tradizione
comunista e col marxismo e apre le porte all'ultimo - in ordine di tempo -
tentativo trasformistico di diluire il partito comunista in una sinistra
arcobaleno.
Una delle ragioni non secondarie delle diverse scissioni del
Prc, di cui la più consistente e significativa, ma non certo l’unica, dette
origine nel 1998 al Pdci, e della notevole "diaspora' comunista, è in questo
deficit di elaborazione e formazione teorica, che ha reso la direzione
politica cieca e oscillante tra la Scilla dell’opportunismo riformistico e la
Cariddi del massimalismo estremistico, lì dove la migliore tradizione
comunista del 900 sapeva individuare, grazie alla cassette degli attrezzi di
Marx e alla leniniana "analisi concreta della situazione concreta", la giusta
rotta the faceva effettivamente avanzare il movimento operaio. Ora che, con
fatica e difficoltà, ma con la determinazione imposta dalla consapevolezza
della gravità della situazione e della necessità storica di un forte partito
comunista capace di tenere bene la rotta nelle tempeste capitalistiche, siamo
impegnati ad unificare i comunisti in Italia, dobbiamo saper recuperare quella
grande tradizione comunista a sviluppare i suoi insegnamenti per le sfide che
ci attendono.
aprile 2009