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Crisi, resistenze, guerra imperialista. Necessità dei comunisti
di Andrea Catone
editoriale de L'Ernesto nr.1/2 - 2011
La grande crisi capitalistica in cui siamo tuttora immersi, non può
lasciare immutati, ad onta del conservatorismo delle classi dominanti, i
rapporti di forza tra le classi. Quando parliamo di classi ci riferiamo non solo
ai rapporti interni al singolo stato nazionale, ma anche ai rapporti su scala
mondiale, tra stati imperialistici dominanti e stati dominati, tra “centro” e
“periferie” del mondo. La grande crisi esplosa nel 2007 può segnare una svolta
decisiva nel “lungo ‘900” capitalisticamente dominato dagli USA (cfr. il saggio
di Vl. Giacché), può segnare il declino dell’impero statunitense, rispetto ad
altri soggetti che sono emersi prorompentemente sulla scena mondiale – si pensi
prima di tutto alla Repubblica Popolare Cinese – le cui economie in questi anni
di crisi hanno continuato a svilupparsi a ritmi elevati e sostanzialmente
inalterati e il cui peso e ruolo nell’economia mondiale non può essere
trascurato da nessuno.
Questo processo, in cui si ridisegnano i rapporti di forza mondiali, può
provocare terremoti e tsunami ben più sconvolgenti di quelli che hanno colpito
ora il Giappone, come suggerisce Fidel Castro (Los dos terremotos). Se la grande
crisi è irrisolta, se le enormi iniezioni di liquidità nel sistema hanno solo
spostato e rinviato il problema, trasferendolo al debito sovrano e aggravandolo,
allora l’instabilità è la cifra del nostro tempo. Con tutto ciò che essa
implica, di possibili cambiamenti sociali radicali e di politiche reazionarie
violente, di sviluppo progressivo della civiltà o di barbarie, di rivoluzione o
di guerra.
Ciò che sta accadendo in queste settimane in Nord Africa è lo specchio della
duplicità contraddittoria di questo tornante della storia: si muovono qui
ribellioni popolari che potrebbero avere – dipende dalla direzione politica e
dal livello di organizzazione cosciente delle masse - un esito rivoluzionario, “democratico-nazionale”,
antimperialista (cfr. Hammami), come in Tunisia, ma si muovono anche forze
imperialiste che, proprio nel centesimo anniversario dell’invasione italiana,
operano consapevolmente – tutti insieme e in concorrenza tra loro, nella
migliore tradizione imperialista - per squartare la Libia, paese centrale per il
Mediterraneo, ma anche “terrazza sull’Africa”, il continente che, per la
ricchezza delle risorse, da un lato, e per la fragilità politica di gran parte
dei suoi stati (disegnati dal colonialismo) è ora, e sarà sempre più, al centro
della lotta mondiale tra potenze per la sua spartizione [per una comprensione di
base è ancora molto utile Geostoria dell’Africa di Manlio Dinucci, Zanichelli,
2000].
Dovrebbe essere chiaro ormai che gli “insorti” libici – quale che sia la loro
coscienza soggettiva (tra essi troviamo ex ministri e alti funzionari della
Jamahiriya) – sono lo strumento di cui si servono le forze imperialiste per
mettere le mani sul paese, non solo per le sue importanti risorse energetiche,
ma per la sua collocazione geografica strategica per il Mediterraneo e per
l’Africa.
Per “ricolonizzare” la Libia, in meno di un mese è stato approntato uno
strapotente apparato mediatico, diplomatico, militare, per molti versi analogo a
quello che 12 anni fa, demonizzando Milosevic, bombardò a tappeto la Serbia con
la “guerra umanitaria” della NATO (Diana Johnstone). Chossudovsky chiarisce i
motivi dell’aggressione occidentale, nonché della contesa interimperialistica
sull’Africa, in particolare tra USA e Francia, la quale non a caso è oggi in
prima fila nel riconoscimento diplomatico degli insorti di Bengasi, dove
dichiara di voler spostare la sua ambasciata in Libia: un sicuro passo avanti
per alimentare la guerra civile in corso e balcanizzare il paese, con diverse
analogie con il riconoscimento da parte di Germania e Santa Sede, delle
repubbliche separatiste di Slovenia e Croazia (gennaio 1992), che dette fuoco
alle polveri della carneficina in Jugoslavia.
È più che evidente che alle potenze imperialiste USA-UE-NATO non sta per nulla a
cuore la sorte della popolazione, né la “democrazia” (appoggiano molti regimi
reazionari, a partire dall’Arabia Saudita), e che esse stanno cinicamente
soffiando per alimentare la guerra interna alla Libia – guerra civile e tribale
– per poter intervenire militarmente. Non hanno degnato di uno sguardo la
proposta di mediazione e soluzione pacifica del conflitto avanzata dal
presidente venezuelano Hugo Chavez e dai paesi dell’ALBA, spingono invece perché
vi sia la soluzione più violenta, con la richiesta intransigente che il
demonizzato Gheddafi lasci il campo, con le buone o con le cattive. È questo
anche un modo per derubare lo stato libico degli ingenti beni depositati nelle
banche europee e USA.
La parola del compagno Fidel Castro si è levata cristallina sulla vicenda
libica, con diversi e puntuali interventi (cfr. Cubadebate e lernestoonline)
denunciando, sin dal 21 febbraio ciò che oggi appare chiarissimo: El plan de la
OTAN es ocupar Libia.
Siamo direttamente chiamati come comunisti, che attingono dal leninismo gli
strumenti fondamentali per analizzare l’imperialismo dei nostri giorni, a
costruire un fronte di lotta contro l’aggressione alla Libia, contro l’uso di
basi, mezzi, uomini, sotto qualsiasi forma o pretesto essi avvengano. C’è un
enorme lavoro da fare controcorrente, contro la fabbrica del falso che sforna
quotidianamente menzogne mediatiche per organizzare il consenso alla guerra e
contro l’ideologia dell’“imperialismo umanitario”, alle quali gran parte della
“sinistra” (quella che disconosce l’imperialismo, che vede la democrazia come
valore astratto dal processo storico, che è antistoricista e non distingue tra
“cesarismo” progressivo o regressivo, come Gramsci nei Quaderni del carcere
invitava a fare) è totalmente subalterna, quando non si tratta di una vera e
propria lobby amerikana in Italia.
Il comunismo moderno nasce con i bolscevichi, col rifiuto della guerra
imperialista, con la rottura con la II Internazionale i cui principali partiti
avevano appoggiato i rispettivi governi guerrafondai. La questione della guerra
imperialista è per i comunisti una discriminante fondamentale: da un lato gli
imperialisti, dall’altro i popoli oppressi. Questa discriminante appare con
chiarezza sulla scena mondiale: da un lato il gruppo dell’ALBA bolivariana - e
certo non a caso, per diverse analogie di questi paesi “periferici” e dipendenti
sinora dagli USA, che li consideravano “cortile di casa” e i paesi del
Nord-Africa; dall’altro il blocco, unito e diviso ad un tempo, USA-UE-NATO.
La grande crisi, le resistenze e opposizioni sociali, l’aggressione
imperialistica alla sovranità e integrità della Libia, richiedono che si
intensifichino anche in Italia - in cui l’incapacità programmatica e politica
dell’opposizione parlamentare e la ancora frammentata e incerta opposizione
sociale tengono in vita il governo Berlusconi - gli sforzi per la ricostruzione
del partito comunista, in modo da riappropriarci dello strumento di direzione e
organizzazione politica indispensabile. Come si è visto nei paesi arabi, la
crisi genera resistenze e lotte, la ruota della storia non si ferma, ma la sola
spontaneità, senza organizzazione consapevole – per dirla ancora con Gramsci –
non porta cambiamenti sostanziali.
Il documento politico pubblicato a febbraio sul manifesto e che qui
riproduciamo, ripropone la questione comunista nelle condizioni storico-concrete
del nostro paese. È una necessità storica la ricostruzione nel nostro paese di
una forza comunista, sono i problemi e le sfide epocali di questo tornante della
storia a richiederlo. Sta ora alla volontà, all’impegno, all’abnegazione di
quanti hanno piena consapevolezza della posta in gioco, alla disponibilità a
superare particolarismi e piccoli tornaconti, liberandosi di pratiche
opportunistiche, operare perché questo necessario strumento del partito riprenda
ad operare potentemente nella società. La lezione di vita dei militanti
comunisti negli anni eroici della nascita del PCdI e della lotta antifascista –
cui abbiamo voluto dedicare, in questo 90° anniversario, uno speciale inserto de
l’ernesto – è un salutare viatico.