IN PRIMO PIANO
UN PARTITO COMUNISTA DI MASSA
per rifondare il senso della
politica
stralci dall'intervento conclusivo di Fausto Bertinotti, segretario del PRC, al convegno di Chianciano (5-6 febbraio 2000) sul partito e la sua organizzazione
Care compagne e cari compagni,
in questo nostro dibattito abbiamo riscontrato
un disgelo in atto nei movimenti sociali e nello stesso tempo abbiamo osservato
l'enorme disparità di forza tra la prospettiva di alternativa e
la conservazione.
Questi elementi ci consentono tuttavia di
avanzare un'ipotesi politica, che potrei sintetizzare in una formula semplice:
"invece
si può", cioè si può fare altrimenti rispetto
all'ordine delle cose presenti. (..)
abbiamo di fronte a noi delle scadenze gravi
e importanti, come quella del referendum sulla legge elettorale. Nel caso
di una vittoria dei proponenti del referendum si realizzerebbe un blocco
reale della democrazia, con l'affermazione di un sistema maggioritario
integrale, nel quale si confronterebbero solo le forze affini al mercato,
con l'esclusione della presenza nelle istituzioni delle forze critiche
e antagoniste.
In questo modo il secolo che si apre potrebbe
addirittura diventare quello che segna la distruzione della politica come
trasformazione della società e della democrazia come concreta organizzazione
della medesima. (..)
"Provare e riprovare", questo diceva Antonio
Gramsci, non certo per affermare un basso pragmatismo, ma per sostenere
che un progetto politico può solo avanzare su esperienze concrete.
(..)
Dobbiamo perciò fare i conti con tre
grandi cambiamenti che sono intervenuti nella società e nel senso
comune.
In primo luogo siamo di fronte ad un cambiamento
profondo della società in tutti i suoi aspetti. Non siamo solamente
in una condizione diversa rispetto ai nostri padri, siamo in una situazione
completamente mutata rispetto a quando noi stessi abbiamo cominciato a
fare politica. La globalizzazione in atto è un gigantesco processo
politico che produce delle grandi novità. Quella principale è
che l'innovazione nella tecnologia e nell'organizzazione della vita produttiva,
il suo accelerato dinamismo, per la prima volta si divaricano da un progresso
sociale. Così noi conosciamo una rivoluzione capitalistica e insieme
una regressione della civiltà.
Noi siamo cresciuti in una condizione esattamente
opposta, in cui potevamo ragionevolmente pensare di piegare l'innovazione
in direzione del progresso sociale, realizzando un compromesso dinamico
tra i processi di ristrutturazione capitalistica e i fenomeni di emancipazione
sociale. Ora la situazione è diversa: il lavoro salariato, nelle
sue varie forme, resta comunque centrale in questa rivoluzione capitalista,
e lo si vede anche dall'insistenza con cui il capitale cerca lavoro a basso
costo oppure, nel caso italiano in particolare, insiste per la libertà
di licenziamento. In sostanza il capitale sempre di più considera
il lavoro una variabile dipendente dal mercato. Però assistiamo
allo smembramento delle fabbriche, delle unità produttive, delle
concentrazioni operaie, insomma ad una disintegrazione del lavoro dipendente.
Il rapporto tra produzione e riproduzione sociale è cambiato. Prima
il sistema capitalistico tendeva ad integrare le forze del lavoro, per
cui poteva essere funzionale ad esso un sistema democratico e persino il
dispiegarsi in forme non traumatiche della lotta di classe, oggi invece
esso ha sostituito al progetto di integrazione quello di disintegrazione
delle figure sociali contrapposte e in sostanza vuole vincere senza convincere.
Da qui nasce l'attacco alla democrazia: non
solo perchè essa rappresenta un costo insopportabile in questa strategia,
ma perchè non si vuole che le classi si riconoscano come tali.
E' stato detto, stupidamente, che il comunismo
è incompatibile con la libertà. Non solo dobbiamo contestare
a fondo questa analisi, ma dobbiamo affermare che è il moderno capitalismo
ad essere incompatibile con la democrazia e con la libertà.
Da qui deriva per noi un compito politico
difficile, perchè, venendo meno le elementari regole del gioco,
rischia di esserci sottratto il terreno stesso della lotta.
Oggi la ribellione è necessaria, ma
non basta. (..)
In secondo luogo, conosciamo una crisi della
sinistra senza precedenti. Alla fine di questo secolo ci portiamo appresso
le domande di liberazione che l'ha interamente attraversato. Ma le risposte
a questo sono assi diverse e divaricate. Guardiamo ad esempio alla traiettoria
intellettuale dei democratici di sinistra: il loro congresso ha rappresentato
un'indubbia novità, infatti oggi essi si collocano su un campo diverso
da quello di provenienza. E' inutile misurare oggi la loro distanza dalle
idee comuniste: il loro approdo è ormai quello in una cultura liberale.
Si può porre allora una domanda: perchè
Rifondazione comunista non fa la scelta di occupare il terreno, oggi completamente
scoperto, che sarebbe proprio di un partito socialdemocratico?
Penso che questa prospettiva sia stata completamente
bruciata dalla crisi del riformismo classico derivante dalla ristrutturazione
capitalistica. Di fronte alle contraddizioni di fondo, alla insopportabilità
delle medesime per la vita umana, che da quest'ultima sono indotte, si
può solo rispondere con la rifondazione di un'idea comunista. (..)
In terzo luogo, siamo di fronte a una rottura
di quel senso comune e unitario che viveva nella storia del movimento operaio
di questo nostro paese. Domandiamoci con franchezza: cosa vuol dire essere
di sinistra o comunisti oggi? In tempi passati molta gente votava a sinistra
per una sorta di accumulazione storica di senso comune. Oggi, anche recenti
sondaggi, ci dicono che una parte rilevante dei nostri elettori decide
di votare per noi solo negli ultimi 15 giorni o all'ultimo momento delle
elezioni.
Quel mondo della sinistra di cui parlava Pasolini
si è frantumato. Facciamo un esempio: nel passato quante propensioni
razziste che pur vivevano sotto traccia nel popolo, erano impedite dal
fatto di essere di sinistra. E ancora: nell'individuazione netta e precisa
di un avversario di classe, si individuavano più facilmente le responsabilità
del proprio disagio individuale, anziché riversarle su altri che
pure lo subiscono.
Oggi invece assistiamo, nel nostro campo,
ad una separazione tra area votante e area militante. Tutti questi elementi
hanno a che fare con una profonda insicurezza sociale. Vi è una
crisi di identità.
Contro questa insicurezza dobbiamo costruire
la certezza di un percorso, di un cammino comune. Dobbiamo costruire un'osmosi
con i movimenti. Mao Tsetung, in una famosa massima, diceva che conta di
più insegnare a pescare e distribuire pesci. La penso allo stesso
modo, con in più la necessità di operare una sorta di scambio:
il partito deve imparare oltre che insegnare.
Abbiamo dato del partito che vogliamo una
definizione che difendo: nuovo partito comunista di massa. (..)
Si può e si deve discutere sul concetto
di "massa". Noi vediamo nel permanere e nell'allargarsi dello sfruttamento
e dell'alienazione la necessità del superamento di questa società.
Siamo di fronte ad una disgregazione del lavoro e delle figure sociali
che lo compiono, ma questo conferma esattamente la previsione di Carlo
Marx per cui il potere del capitale deriva non solo dalla trasformazione
del pluslavoro in plusvalore, ma dalla finalizzazione al profitto dell'insieme
delle attività condotte nella società. In questo modo si
realizza una dimensione assoluta della mercificazione dell'attività
umana in ogni campo, che contrappone il lavoro alle persone. Dobbiamo perciò
reindagare il concetto di "massa", scoprendo le nuove caratteristiche sociali
e soggettive delle persone che la compongono e le loro variegate ragioni
di contrapposizione al capitale. (..)
Abbiamo di fronte la battaglia referendaria.
La sentenza della corte costituzionale non cancella il veleno che rimane
nell'operazione politica, che consiste nel congiungere la liberalizzazione
dei licenziamenti con la modifica in senso maggioritario della legge elettorale.
Così si vuole colpire il mondo del lavoro e allo stesso tempo deprivarlo
della sua rappresentanza politica. Dobbiamo perciò boicottare i
referendum, la loro logica, determinare la loro sconfitta. (..)
In conclusione, desidero indicare, senza nessuna
pretesa di completezza, tre terreni di impegno immediati che ci possono
far fare un concreto passo in avanti.
Il primo è quello di mettere a valore
tutto quello che già abbiamo, come ad esempio il nostro quotidiano
"Liberazione" di cui forse troppo poco qui si è parlato, e che invece
è uno strumento fondamentale; infatti noi dobbiamo utilizzare tutti
i mezzi, nel campo delle comunicazioni, da quelli più poveri, a
quelli, se ci riusciamo, più ricchi.
Il secondo è quello di costruire una
strumentazione per il nostro lavoro: penso proprio alla definizione di
un manuale per mettere in condizione chiunque di noi, a partire dal semplice
militante o simpatizzante di fare un volantino, un comizio, di organizzare
una manifestazione.
Il terzo è quello di proseguire il
lavoro di inchiesta: sono convinto che l'inchiesta e la formazione siano
punti nevralgici e strategici nella costruzione di un nuovo e moderno partito
comunista di massa. Dobbiamo incoraggiare in tutto il corpo del partito
un lavoro continuo di lettura dei testi e della realtà, di inchiesta,
di autoformazione e di informazione. Dobbiamo fare tutto questo per costruire
una attiva partecipazione alla vita del nostro partito.
E' questo il modo che ci permette una nuova
selezione dei gruppi dirigenti, promuovendo quelli che hanno la capacità
di produrre cambiamento.
scrivete a linearossa@virgilio.it
ritorna al sommario del nr.14 (gennaio-febbraio
2000)