Editoriale Lavoro Politico nr.18 – dicembre 2006
pubblicato su "Il Calendario del Popolo", nr.716__febbraio 2007
L’elzeviro
CONFEDERAZIONE LABURISTA E PARTITO COMUNISTA
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Ferdinando Dubla -----
La costituzione in Italia di un Partito Democratico, fusione dall’alto
di un ceto politico DS-Margherita, centrista ed elettoralista nelle forme e nei modi della sua
organizzazione, per un tempo limitato libererà energie nuove a sinistra. Lo
spazio politico non è soltanto di geometrica rilevanza: sarà lo spazio sociale
ad occupare la scena, con la conflittualità tra bisogni
popolari e risposte della classe dirigente, tra assetti politici e società
civile. Nuove alchimie di leggi elettorali avranno questo scopo precipuo: l’assenza
di rappresentanza all’alternativa di sistema.
Ma non basterà: perché è il sistema stesso a costruire la sua alterità
strutturale, con le contraddizioni irrisolte e un malessere diffuso, in
particolare nel mondo del lavoro.
Qui è il punto dirimente: il
lavoro, motore dello sviluppo materiale, rischia di finire come tema subordinato
rispetto al teatro politico del bipartitismo, sempre prevalente nell’immagine
che rimandano i mass-media e i poteri che li
controllano, rispetto ai corposi interessi di classe.
In questo scenario, si palesa
evidente il corto respiro di un’aggregazione chiamata
Sinistra Europea, un allargamento, ma non troppo, di una Rifondazione non più
comunista. E quando una forza politica cambia non solo il suo progetto
originario (sempre rinnovabile e aggiornabile strategicamente in base alle
analisi di fase), ma la sua stessa natura e i fondamenti ideali, nonché i valori di riferimento, è destinata a diventare
altro, ad un’autoliquidazione, seppure progressiva,
come in Italia insegna proprio la parabola del PCI-PDS-DS-PD.
Il progetto della ricostruzione di un partito comunista di massa in
Italia ha preso strade diversificate e non lineari,
frutto purtroppo di una sconfitta vissuta prima che politicamente,
culturalmente dai marxisti d’occidente: la sindrome della sconfitta permanente
piuttosto che la coscienza della perdita di una pur importante battaglia
storica sul versante del potere politico. E oggi quel
progetto deve essere rilanciato nelle opportunità del presente.
Il presente è le configurazioni che assume il
mondo del lavoro, del non-lavoro e del lavoro precario, che non trova adeguata
rappresentanza politica (e sindacale) in una coerente linea di massa. Per i
comunisti non rilanciare il loro progetto di autentica
rifondazione principalmente su questo sarebbe imperdonabile: essi nascono per
dare voce e potere alle masse lavoratrici, crescono con l’emancipazione e le
forme organizzate di questa. Semmai essi devono porsi la questione centrale nel
tornante storico italiano: mantenere l’autonomia nell’unità della
sinistra occupando un produttivo spazio politico. L’avversario di classe
vuole i comunisti testimoniali e residuali, dediti a dibattere sofisticherie
ideologiche, inefficaci e solo “folcloristici”. Se ne tenga conto. Il
pragmatismo opportunista è un pericolo corrosivo che discende da risposte senza
respiro strategico rispetto a esigenze sociali
provocate dal sistema, che diventa così invincibile. Di contro, il massimalismo
parolaio o tutto ideologico si sviluppa con l’incapacità a misurarsi con le
sfide dei nuovi assetti del capitale e dei suoi rapporti con il potere politico
a livello internazionale e periferico. Fu
anche con lo spirito della lotta sui “due fronti” che Gramsci
indicò anche metodologicamente una strada nelle note su “americanismo e
fordismo” e cioè l’analisi materiale di una società dinamizzata dalle complesse interrelazioni che avevano il
loro epicentro nel mondo del lavoro, con una tendenza strutturale invariata (lo
sfruttamento, la ricerca del massimo profitto) ma un’articolazione flessibile
della sua morfologia che tendeva a costruire egemonia a partire dalla fabbrica
investendo le sfere del sociale e del politico che reagivano dialetticamente sulla stessa struttura materiale dei
rapporti di produzione.(1)
Dunque si agisca
conseguentemente: costituire il lievito di un moderno laburismo, che più di
ieri non può fare a meno dell’impianto marxista, così come la comprensione
della ‘globalizzazione’ non può fare a meno del
respiro interpretativo del leninismo, se non vuole infrangersi nelle secche dei
problemi localistici e di piccolo cabotaggio. All’interno
stesso di una Confederazione di sinistra i comunisti devono portare non
pregiudiziali ideologiche, ma l’analisi strutturale profonda
per la liberazione dall’imperialismo e dal capitalismo. La loro memoria storica
va fatta palpitare nella soluzione ai problemi del presente, non può essere
sempre e solo una perorazione difensiva astratta a rimorchio e in coda agli
attacchi di avversari (o anche di alleati “per
necessità”) che possono avvalersi di strumenti mediatici potenti e pervasivi.
In Italia è il PdCI a farsi carico di una
proposta unitaria per la sinistra, incardinata su un moderno laburismo.
L’appoggio al governo di centro-sinistra non è avulso dai risultati che
l’azione politica riesce a produrre a favore delle masse lavoratrici, seppure
bisogna tener conto di un diretto condizionamento dei poteri forti sulle scelte
dell’esecutivo; ma gli stessi poteri considerano la presenza dei comunisti in
maggioranza come un pericolo costante, e politicamente lavorano per un’ipotesi
centrista che tagli “gli estremismi” (cioè l’azione condizionatrice dei comunisti e dei cosiddetti ‘radicali’
proprio sui temi del lavoro e del salario), non disdegnano le vecchie mene
reazionarie occulte e campagne propagandistiche di stampa orchestrate a
tavolino (si spiegano così gli attacchi a Diliberto
sulla manifestazione romana per
Un maggiore spazio politico il PdCI potrà conquistarlo solo se si porteranno risultati
tangibili e con l’efficacia dell’azione politica: berlinguerianamente
partito di lotta e di governo, l’attuazione del programma con cui l’Unione si è
presentata al corpo elettorale è una trincea avanzata da non dismettere per il suo significato: una transizione che
passi dalla difesa all’attacco nella fase politica, ma anche una rinnovata
dialettica tra movimenti e conflittualità sociale e rappresentatività
istituzionale, recuperando in questo proprio una buona capacità del PCI
(naturalmente con le sue varie sensibilità interne).(2)
Il socialismo non è un orizzonte che scompare nelle brume del mattino,
ma la rotta che vive giorno per giorno nei problemi
del lavoro e della precarietà o nel dramma dell’emarginazione metropolitana e
degli stenti a cui obbliga il nuovo proletariato la classe dominante. Il
socialismo che respira gli aneliti di questi nostri
tempi è la “secolarizzazione” necessaria. Senza di questa, i conflitti sociali,
la lotta di classe, si acuiranno, ma, come abbiamo imparato dalla nostra stessa
storia, non è detto che ciò porti con granitica certezza deterministica
a un radioso avvenire. Tocca a noi,
comunisti di questo secolo, costruire quotidianamente la secolarizzazione socialista.
fe.d., dicembre 2006
1)
Approfondimenti in: Ferdinando Dubla, Gramsci e la fabbrica- Produzione, tecnica e organizzazione
del lavoro nel pensiero gramsciano (1913/1934,) Lacaita, 1986
2)
Per la stagione apertasi nel ’68, ad es., vedi Id.,
Secchia, il PCI e il ’68, prefazione di Angiolo Gracci,
Datanews, 1998.