Il direttore di Linea Rossa sullo 'speciale Togliatti' di Rinascita, organo del Pdci di Cossutta
Su “La Rinascita della sinistra” del 10 settembre 1999 (a.I nr.32), è stato ospitato uno “Speciale Togliatti”. “La Rinascita” è oggi il settimanale organo del Partito dei Comunisti italiani, diretto da Adalberto Minucci e Carlo Benedetti, e riprende graficamente la testata “Rinascita” fondata da Togliatti nel 1944 e che ha accompagnato la vita di intere generazioni di comunisti, la loro riflessione culturale, la loro formazione politica. E’ malinconico sfogliare le sue pagine e non ritrovarvi le caratteristiche che lo hanno reso così caro ai militanti marxisti (sì marxisti, fuori e dentro il Pci) del nostro paese. Il vero direttore della “Rinascita” attuale è Armando Cossutta, grande navigatore dei procellosi mari (e marosi) della politica italiana e vecchio conoscitore della storia dei comunisti, di cui è un pezzo affatto secondario, in qualità di dirigente e quindi testimone diretto degli eventi. Cossutta dimostra tutt’intero il suo ruolo proprio in questo dossier su Togliatti, in occasione, crediamo, del 35° della sua morte (21 agosto 1964). Egli, che togliattiano non è, essendo cresciuto politicamente sotto l’ala di Luigi Longo, di cui ammette il magistero principale, deve oggi consegnare alla memoria di un partito-caricatura (il suo) l’eredità del grande leader amato dalle grandi masse dei comunisti del dopoguerra. Ma sa che questo compito è improbo: l’unica funzione accettabile, infatti, è quella riconducibile alla testimonianza, proprio quella di cui accusa il suo vero avversario di oggi, il Partito della Rifondazione Comunista. Lasciamo però le miserie dell’oggi, e diamo a Cossutta quanto meno il merito di tenere acceso un riflettore su un pezzo di storia che fa parte costitutiva della identità nazionale e dell’identità comunista. Cossutta nel suo articolo, pur sommessamente nell’ambìto di una grande condivisione del suo operato, non manca di criticare Togliatti in qualche aspetto non secondario della sua esperienza e ricostruisce la dialettica con Pietro Secchia in modo obiettivo, potremmo dire perché “dal di dentro”, cercando di dare a Secchia quel che è di Secchia in modo sereno. Solo che il pulpito si fa imbarazzante. Cossutta diventò segretario della potente Federazione milanese del Pci nel 1958, dopo aver tramato antidemocraticamente contro l’amatissimo e gagliardo Giuseppe Alberganti, aiutato dal ‘nuovo corso’ togliattiano (e amendoliano). In questo fu un ‘togliattiano’ di ferro. Quanto questo poi costò in termini non solo politici, ma umani e morali ad Alberganti, che uscì nel 1971, già in odor di eresia, dal Pci per poi confluire nel MLS (Movimento Lavoratori per il socialismo) e quanto lo stesso era già costato a Secchia per dirette responsabilità di Togliatti, nell’articolo è un po’ ‘oscurato’. Comunque l’articolo di Cossutta ha un impianto serio, di grande testimone di una storia forse un po’ più grande della sua personalità e del ruolo che ha dovuto giocare, come ha purtroppo dimostrato già tante e tante volte. Ne riportiamo lo stralcio che riguarda gli avvenimenti citati [Fe.D.]
------------------------------------------------
[..]
Discussioni accese si erano avute prima del fatidico
anno 1956 anche sui temi del rinnovamento interno del partito, in rapporto,
come si è detto, con le ristrutturazioni economiche e le sconfitte
operaie. Ma quelle discussioni rimasero fondamentalmente nel chiuso dei
gruppi dirigenti (e ben più chiuse nel sindacato, dove viceversa
si ponevano esigenze di rinnovamento interno ancor più acute). La
stessa sostituzione, nel 1954, di Pietro Secchia dall’incarico di responsabile
dell’organizzazione avrebbe potuto (e dovuto) aprire un dibattito sui problemi
della vita interna del partito: strutture, metodi di lavoro, democrazia.
Ma non fu così.
La sua sostituzione, in effetti, si era verificata
non in base a un esplicito confronto politico ma in conseguenza di un grave
incidente determinato dalla fuga del suo segretario verso il quale Secchia
riponeva piena fiducia, con l'archivio e la cassa del partito. Sulla questione
non solo non vi fu dibattito ma si mantenne un forte riserbo. Si sono poi
dette al riguardo, ma molti anni dopo, diverse cose inesatte. Inesatta
è la tesi di Miriam Mafai che ha scritto un volume per altri versi
interessante su un Pietro Secchia che «sognava la lotta armata».
Secchia non aveva mai avuto posizioni di tale natura, che sarebbero state
non già soltanto massimalistiche ma addirittura puerili: il modo
fermo e sicuro con cui egli (assieme a Longo e a Novella) diresse i moti
drammatici del 14 luglio '48 sta a dimostrare quale fosse il suo orientamento.
Non per questo motivo, dunque, egli fu escluso dalla Segreteria e poi dalla
Direzione del Pci. E inesatta è la tesi, esposta ripetutamente,
secondo cui Secchia sarebbe stato messo ai margini a causa dei suoi legami
"preferenziali" con i massimi dirigenti sovietici, a partire da Stalin
e da Molotov. Tesi abbastanza peregrina, se non altro perché, in
quell'anno 1954 (esclusione dalla Segreteria) e poi nel 1956 (esclusione
dalla Direzione), nel gruppo dirigente del Pcus Molotov aveva ancora una
forte influenza, ed è davvero poco credibile che Togliatti, con
la sua ben nota prudenza, avesse voluto scontrarsi con lui e in generale
con i sovietici su questo punto. Ammesso, fra l'altro, che allora si potesse
dimostrare alcunché a riguardo. La verità è molto
più limpida e tutta politica: si colse l'occasione del grave incidente
Seniga per togliere dal gruppo dirigente un esponente di primissimo piano
che aveva e manifestava opinioni molto diverse rispetto alla linea che
allora stava formandosi e che vedeva invece sostanzialmente unito il resto
del gruppo dirigente: e sia rispetto alle grandi questioni strategiche
e sia rispetto alle esigenze ormai sempre più pressanti di un processo
profondo di rinnovamento della struttura, dei metodi organizzativi e dei
quadri dirigenti. La nomina di Amendola al posto di Secchia conferma che
si voleva imprimere una svolta negli indirizzi e nei metodi di organizzazione
del partito; che si volle compiere una scelta politica e solo politica,
con la quale il "rapporto privilegiato" con Mosca non c'entrava per
nulla. C'entrava, semmai, la vicenda che, nel 1951, aveva visto tutta la
Direzione del Pci (escluso Terracini) d'accordo con la richiesta di Stalin
di impegnare permanentemente Palmiro Togliatti nel lavoro di direzione
del Cominform, e quindi lontano dall'Italia. Togliatti rifiutò e
fece molto bene a rifiutare, ma non dimenticò quello che egli considerò
un grave errore politico (e non solo politico) dei suoi collaboratori,
e in primo luogo di Pietro Secchia, il quale per la verità, condivise
quella richiesta di Stalin, ma non più di altri compagni “al
di sopra di ogni sospetto”.
Non aver posto in discussione nel Comitato centrale e
nell'insieme del partito le questioni politiche connesse con la sostituzione
di Pietro Secchia fu comunque un errore. Fra l'altro, se è vero
che nella Direzione le sue posizioni erano minoritarie anche se non del
tutto isolate, diversa era la situazione alla periferia e soprattutto in
alcune grandi organizzazioni del centro-nord dove egli godeva di forte
seguito. I contrasti politici risalivano agli anni immediatamente successivi
alla liberazione e riguardavano la strategia stessa di costruzione di un
regime democratico progressivo.
Non risulta che Secchia abbia contestato la linea generale
definita, appunto, della democrazia progressiva, ma certo è che
molte discussioni insorsero, e incertezze e riserve, sui suoi contenuti
e sui comportamenti tattici conseguenti. Per esempio, Secchia era molto
critico circa l’atteggiamento avuto dal partito nel momento della esclusione
dei comunisti e dei socialisti dal governo (1947). E non soltanto Secchia,
anche Longo era polemico per l’assenza di iniziativa, di risposta politica
e di massa, di intervento attivo contro quella decisione, assunta da De
Gasperi dopo il suo viaggio in America, che modificava nel profondo la
realtà. E anche prima, perché il Pci aveva accettato la sostituzione
del governo presieduto da Ferruccio Parri con quello di Alcide De
Gasperi senza nessuna reazione. Non c'è dubbio che, sia pure nell'ambito
della tattica se non anche della stessa strategia, si confrontavano linee
diverse.
Ma nel partito non se ne discusse. Ciò non contribuì
certo al chiarimento politico e al superamento di quei fenomeni di adesione
formale alla linea ufficiale del partito ma di riserva sostanziale che
furono successivamente definiti di doppiezza.
Può darsi, anzi, che una certa "doppiezza" fosse
freddamente calcolata da Togliatti come inevitabile per portare avanti
senza lacerazioni il grosso delle forze. Non era però da meravigliarsi
se poi, in certe situazioni, l'insufficiente chiarimento di fondo sulla
prospettiva politica portasse a esplosioni improvvise e incontrollate estremamente
esasperate e perciò del tutto negative. Fra queste, l'occupazione
della Prefettura di Milano, nel 1947, che ricordo benissimo come un avvenimento
sconvolgente. Il Pci pagò caramente quella vampata dì
tipo insurrezionale: per anni, per molti anni, la sua credibilità
politica a Milano fu inficiata da quell'episodio. Togliatti lo biasimò
duramente, e né Longo né Secchia furono meno severi nel giudicarlo.
Ma non si andò a fondo allora nel ricercarne le cause. Se ne riparlò
soltanto più tardi, nel nuovo clima del rinnovamento degli anni
1956- 1960.
Da La Rinascita della sinistra, a.1, nr.32, 10 settembre 1999, pag.XIII.
ritorna al sommario del nr.13
(ottobre-novembre 1999)