«L’ambasciatore americano che fugge in elicottero dal tetto dell’ambasciata è
per me un’immagine indelebile». Il Viet Nam è, per la generazione dei
cinquantenni di sinistra, almeno per quelli non pentiti, un tatuaggio
dell’anima. Oliviero Diliberto non fa eccezione, e di ritorno dal Viet Nam, il
presente si fonde con una memoria che sconfina nel mito: «Era un piccolo paese
contro il colosso dell’imperialismo. E’ un po’ la fascinazione di Cuba, piccola
isola a
Non è la prima volta che visiti il Viet Nam. Ma il tuo resta un legame
emotivo.
Sì, in un misto di terzomondismo e di comunismo, per noi Ho Chi Min dal punto
di vista ideologico e Giap dal punto di vista dell’azione, erano due miti assoluti,
complice il clima dell’epoca. Soprattutto è stata grandissima l’emozione di
incontrare il generale Giap, il cui nome scandivamo nelle strade d’Italia: ha
più di novant’anni, ma sta bene. E’ l’uomo di Dien Bien Phu, è stato uno dei
più grandi geni militari della storia, al punto che viene studiato nelle
accademie militari. Ma anche la visita ai famosi cunicoli di Qu Chi è stata
incredibile. Credevo servissero solo per attraversare le linee nemiche: ma ci
stava un intero villaggio, hanno vissuto nove anni lì dentro. All’ultimo di tre
livelli c’era la scuola, l’ospedale... Io ho fatto solo cinque metri lì dentro,
e ho capito perché gli americani non potevano che perderla la guerra...
Il Viet Nam comunista non è certo un regime democratico all’occidentale. Ma
non è mai stato accusato dei crimini che di norma pesano sulla storia di altri
paesi...
Erano comunisti dal volto umano: sono stati i vietnamiti a deporre Pol Pot e i
khmer rossi cambogiani, un merito storico oggi dimenticato.
Miti e leggende a parte, parliamo di una nazione sopravvissuta a una guerra
devastante. Ne porta ancora i segni?
Le armi di distruzione di massa Usa come i defolianti hanno creato malattie
genetiche che si trasmettono tuttora ai bambini vietnamiti. Sono conseguenze
che rimangono nell’aria, nel terreno, nell’ambiente per decenni.
Il Viet Nam oggi è una delle cosiddette “tigri asiatiche”. L’economia
pianificata è definitivamente accantonata?
Loro la chiamano economia di mercato a orientamento socialista.. Hanno una
crescita al 13% annuo, più della Cina. Il partito si pone il problema di
“guidare” l’apertura dell’economia: hanno come modello quello cinese, ma ne
vedono a posteriori anche gli effetti non positivi. E’ un’economia mista con
un’attenzione sia all’inquinamento, che ha danneggiato
Il 2016 è lontano. Quali sono oggi le condizioni di vita della popolazione?
Sono stato laggiù tre volte, sempre a distanza di cinque anni, e ho potuto
verificare di persona i cambiamenti: è una crescita più equilibrata rispetto a
quella della Cina, si vede palesemente che il benessere è diffuso. E’ un esempio
banale, ma 10 anni fa c’erano solo biciclette, adesso tutti hanno la motoretta.
Rispetto alla Cina, stanno cercando di evitare, nella misura del possibile,
l’inurbamento forzato, migliorando la qualità del lavoro nei campi. Ho girato
con la macchina in lungo e in largo, e la meccanizzazione dell’agricoltura si
vede.
Il Viet Nam sta entrando nel Wto, e deve adeguarsi alle regole dell’economia
cosiddetta liberale. Cosa resterà della “diversità” socialista?
Loro hanno fatto da tempo la scelta di convivere nella diversità, e non sono
unici. L’esempio cinese è clamoroso,
Paolo Barbieri