Ferdinando Dubla
Articolo: Il disturbo ossessivo-compulsivo della sinistra
[blog maggio 2008]
Se un metro di ghiaccio non si forma in una sola notte, quale traversata nel deserto aspetta i comunisti italiani
La sciagura è
sull’ uomo solitario,
la sciagura è nell’ uomo quando è solo.
L’ uomo solo
non è un invincibile guerriero. (..)
Ma il Partito
è milioni di spalle,
spalle vicine le une alle altre
e queste portano al cielo
le costruzioni del socialismo.
(da V.Majakovskij,
Il Partito)
La disfatta elettorale dell’Arcobaleno ha intimorito, e non poco, il ceto politico che in tutti questi anni ha diretto le formazioni politiche della sinistra italiana. Il posizionamento extraparlamentare obbligato da una campagna pianificata dalla destra e dai moderati neodemokrat è destinato a condizionare i comportamenti prossimi venturi, così come l’assillo dell’influenza sul governo dei moderati e dei poteri forti (Prodi-Padoa Schioppa) ha condizionato quelli passati. Ma, se si fa eccezione del PdCI, esiste senz’altro un substrato culturale e ideologico che ha sostanziato le condotte di questo personale dirigente da quasi un quindicennio, e che ha trovato in Fausto Bertinotti semplicemente la sua rappresentazione mediatico-iconica: liberarsi dell’esperienza comunista del ‘900. Il fatto che Bertinotti abbia potuto per anni dirigere il processo della rifondazione comunista è grave ed emblematico di per sé; infatti non lo ha diretto affatto, lo ha invertito in quello dell’ulteriore scomposizione comunista e di assunzioni valoriali ed ideali provenienti dalla sinistra della socialdemocrazia italiana ed europea, configurando così un raggruppamento politico radicalsocialista, tatticamente molto mobile, strategicamente molto debole dinanzi all’offensiva avversaria.
La lotta interna al PRC che troverà l’epilogo di un’intera fase politica e ne inizierà una nuova il prossimo luglio a Congresso, si muove intorno a questo disturbo ossessivo-compulsivo di cui ci si libera solo separando e riaggregando; e trovando poi forme di unità d’azione e convergenze per le comuni battaglie. Cerchiamo di spiegarci meglio.
Il progetto della sinistra radicalsocialista, che va sempre “oltre” e si presenta come interprete di processi “nuovi” e il “superamento delle forme obsolete” della politica ereditata dalla tradizione, non è affatto tramontato con la parabola discendente di Bertinotti e si presenterà anzi con un volto aggressivo che dipingerà l’altra sinistra, quella appunto comunista, come vetero-nostalgica, lontana dal tempo storico e residuale. Hanno ragione quei compagni che affermano che un metro di ghiaccio non si forma in una sola notte di neve. Questa è una tendenza europea, tipica di questa fase dell’Occidente capitalista. Può concepire il pacifismo, non l’antimperialismo. Può concepire difensivamente una redistribuzione del Welfare, non l’attacco agli effettivi centri del potere del capitale. Punta ai diritti civili come conseguenza della secolarizzazione della società, non legati alla lotta delle classi e a una nuova conformazione delle libertà collettive. Per rientrare nell’agone parlamentare, questa tendenza accetterà ulteriori compatibilità con la strategia gestionale del Partito Democratico, ma si riferirà ai movimenti no-global per la contrattazione negoziale con le istituzioni piuttosto che alla lotta sociale del mondo produttivo.
I comunisti, i comunisti di questo nuovo secolo, non possono convivere con questo progetto. Possono esserne alleati, possono trovare convergenze utili nelle battaglie contingenti comuni, ma non possono condividerne gli assi portanti.
Nel prossimo Congresso di Rifondazione, la vera posta in gioco è effettivamente questa: vinca Vendola o vinca Ferrero, vinceranno comunque due varianti dello stesso progetto. Quello di Vendola, che potrà essere avanzato con un linguaggio lirico e suadente, aggressivo e accattivante, è la prosecuzione pervicace del piano strategico di Bertinotti, una formazione radicalsocialista senza marcati tratti di classe, parte di movimenti sociali parziali, disinvolta nell’utilizzo delle istituzioni, tatticamente mobile e imprevedibile.
Quello di Ferrero è più attento al retaggio esistente, all’ancoraggio alla militanza ancora presente, con un segno di classe più evidente sebbene all’interno di una proposta riformista di ridistribuzione del reddito e di un Welfare che si ridurrà ulteriormente.
Entrambi le varianti accentueranno l’ipercriticismo nei confronti della tradizione comunista, il disturbo ossessivo-compulsivo tornerà a turbare le loro giornate e per liberarsene continueranno a demonizzare, come in uno specchio deformato, l’intera esperienza comunista.
Come potrà la componente Essere Comunisti di Claudio Grassi convivere con questo progetto strategico? Come potrà la componente de L’Ernesto non prendere atto di una necessaria scissione da questo progetto strategico?
La breve stagione congressuale primavera-estate del PRC ci risponderà, sebbene sia ipotizzabile una posizione subalterna della componente di Grassi nel nome della salvaguardia di un’esperienza partitica che è stata stravolta rispetto alle origini, e invece una presa d’atto dell’impossibilità di continuare quell’esperienza da parte dell’altra componente di Giannini e Pegolo solo se contemporaneamente si rafforzerà l’organizzazione di massa della costituente comunista.
La costituente comunista, che miri dopo anni, troppi anni, a riunificare politicamente e organizzativamente i comunisti con salde radici nella tradizione marxista, è l’unico vero processo che bisogna considerare irreversibile.
Il fatto che se ne faccia alfiere e rappresentante oggi il PdCI è una trincea avanzata. Non si parte dalle macerie, dal nulla non nasce nulla, ma da un’organizzazione che mette a disposizione se stessa per un progetto più ampio. L’appello per la costituente e la ricostruzione di un unico Partito Comunista di migliaia e migliaia di compagni che hanno sofferto la diaspora o la solitudine è l’ultimo grido del popolo comunista. Aver lasciato a formazioni eclettiche, movimentiste e affatto interessate ad una linea di massa, la simbologia elettorale della falce e martello è una ferita ancora aperta. Non si può più sbagliare.
Anche nel PdCI c’è un dibattito che però si appalesa con troppe difficoltà: ma anche questo dibattito si chiarirà nella parallela stagione congressuale primavera-estate. La posizione critica di Marco Rizzo, se riguarda solo il passato (la permanenza nel governo, la convergenza nell’Arcobaleno) è destinata a ricomporsi. Se riguarda il presente e il futuro (quale costituente comunista, quale Partito Comunista), a quale opzione strategica farà riferimento, conoscendosi la vicinanza dell’europarlamentare alla componente dell’Ernesto di Rifondazione? Dall’altro versante, quanto peserà il ventre oltremodo istituzionalista di parte dei micro-apparati periferici che non apporteranno nessuna acqua alla terribile ma necessaria “traversata nel deserto” annunciata da Di liberto? Il segretario dei Comunisti Italiani imposterà la campagna congressuale conoscendo, togliattianamente, i due pericoli storici per un pur rinnovato Partito Comunista: l’opportunismo autereferenziale da ceto politico e la rigidità ideologica che farebbe percepire a livello di massa la pur ritrovata unità comunista come residualità da archeologia della politica.
Nonostante le critiche malevole degli anticomunisti di ogni risma, Diliberto, e noi con lui, è convinto che un partito comunista si possa sviluppare nell’Occidente capitalista, nell’Europa subimperialista, solo se fa suoi i tratti della modernità e non accolli alla tradizione la soluzione dei problemi che stanno sulle nostre spalle. Ma non vada “oltre” per una moda cultural-politica “nuovista”, abbia salde radici ideali e lenti di interpretazione della realtà in chiave marxista e dialettica. Che abbia un rapporto laico con la propria storia, ma non ceda alle richieste dell’avversario di abiura e curi il disturbo ossessivo-compulsivo della sinistra. Che sappia radicarsi nella nuova composizione di classe, e sia altrettanto attento all’efficacia reale dell’azione politica. Che agisca in Italia, in Europa, ma viva l’internazionalismo come sguardo fraterno oltre i propri confini, per connettersi alle lotte del mondo, alle prassi comuniste e socialiste dei popoli oppressi fuori e ai margini della cittadella imperialista. Essere coscienti di costituire una minoranza che aspira a diventare maggioranza nelle necessità e nei bisogni di massa, non vocati al minoritarismo ed alla sterile testimonianza. Attraversare il deserto, ma provvisti della preziosa acqua della propria esperienza storica, della migliore tradizione del PCI e dei nuovi pozzi che noi, comunisti del XXI secolo dobbiamo saper trovare, anche con nuovi linguaggi e un modo di operare collettivamente che sostanzi la democraticità dei processi decisionali e che sappia incardinarsi in una nuova coscienza di classe collettiva.
Sarà necessario ritrovare anche la funzione pedagogica della politica. Nel dopoguerra italiano i partiti, e in specie il PCI per le classi subalterne, hanno costituito una sede di formazione permanente che orientava non solo la militanza, ma le più larghe masse popolari. Contribuivano alla genesi e sviluppo del senso comune. Oggi non è più così e le pagine di Gramsci al riguardo sono straordinariamente attuali: i partiti oggi raccolgono il senso comune sviluppatosi attraverso altre agenzie di formazione dell’orientamento di massa e ne cavalcano l’essenza, restituendolo addirittura peggiorato in cambio di consenso elettorale. E’ una barbarie al Nord, dove la Lega riesce a intercettare così un’adesione interclassista su posizioni classiste e al Sud, dove il controllo clientelare e sovente mafioso e delinquenziale fa le fortune di raggruppamenti politici basati sul personalismo e sul leaderismo affaristico.
La costituente dei comunisti italiani deve proporsi la dignità e finanche l’etica di una nuova politica. Con lo sguardo rivolto al mondo intero, far respirare l’aria della nuova epoca all’ideale socialista.
fe.d., 3 maggio 2008
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