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Documento dell'area "Essere comunisti" (CPN del 17/18 settembre 2005)

L'analisi di fase della componente dell'Ernesto del PRC: l'impegno contro la guerra imperialista e l'asse programmatico per un confronto sui contenuti nell'Unione che scelga i temi dirimenti per sostenere un'alleanza che mini l'egemonia delle componenti moderate

 

1. L’attuale ripresa settembrina della vita politica ha sostanzialmente confermato le principali linee di tendenza già in atto nella fase pre-estiva, sul piano nazionale e internazionale: a cominciare innanzitutto dalla crisi profonda del governo delle destre.

Il panorama apocalittico di New Orleans sommersa dall’acqua, con il tragico corredo delle migliaia di morti e l’abbandono ad una sorte orribile di un popolo di diseredati da parte del più potente Stato del mondo, costituisce l’ennesimo inesorabile atto d’accusa nei confronti della barbarie capitalista. Una catastrofe annunciata e puntualmente avveratasi, nella colpevole indifferenza di un establishment assorbito dalla cura degli interessi propri e di quelli delle sue classi di riferimento, troppo impegnato ad “esportare la democrazia” a suon di bombe per potersi occupare della povera gente in casa sua: una catastrofe - dunque - con un indelebile marchio di classe, concretizzatasi nel seno del ricco Occidente.

2. Com’era prevedibile, non vi è alcuna correzione nella politica di aggressione imperialista condotta dall’amministrazione Bush, la quale - benché le truppe Usa subiscano perdite sempre più consistenti - non deflette dall’occupazione manu militari dell’Iraq, perseguendo il proprio disegno di normalizzazione filo-atlantica dell’intera area. Tale obiettivo, tuttavia, si dimostra tutt’altro che a portata di mano: perché, nonostante la massiccia opera di repressione e controllo del territorio, la resistenza contro le truppe occupanti si è di giorno in giorno irrobustita; perché, d’altra parte, il progetto costituzionale e le prospettive di pacificazione e riassetto istituzionale di quel paese sono a tutt’oggi lungi dall’essere conseguite; e, sul fronte interno, perché l’opposizione alla guerra mostra di guadagnare visibilità nella stessa opinione pubblica americana.

Vi è, dunque, una situazione di drammatico stallo in Iraq e in generale nell’area mediorientale - ove, nonostante il ritiro dei coloni da Gaza, permane del tutto irrisolta la questione dell’esistenza di uno stato palestinese. Ma il gigante statunitense perde colpi persino in quello che è stato il suo “cortile di casa”, in quell’America Latina che oggi - sulla scia del patto di ferro e “socialista” stretto tra la Cuba di Fidel e il Venezuela di Chavez - rifiuta l’Alca (l’accordo di libero scambio fortemente voluto dagli Usa), guadagna autonomia sul piano del fabbisogno energetico (rivendicando altresì l’uso pubblico delle proprie risorse e piani di sviluppo sociale e ambientale per i singoli paesi), apre importanti capitoli nella gestione dei rapporti internazionali (vedi le intese economiche con Cina, Russia, India). Il Festival internazionale della gioventù, tenutosi a Caracas in agosto, è in questo contesto un elemento di grande rilievo, che conferma la forza della critica antiliberista e anticapitalista. Nel frattempo, l’indice di popolarità del presidente degli Stati Uniti non è mai stato così basso.

 

3. In una tale situazione, il governo italiano tiene fede al ruolo di servile vassallo diligentemente assolto sino ad oggi. Resta inerte davanti ai progetti di estensione delle basi militari Usa e Nato (Taranto, La Maddalena, Camp Darby), vera e propria espropriazione della nostra sovranità nazionale; e, in generale, rinuncia sciaguratamente a sottrarre il nostro paese alle possibili e sempre più gravi conseguenze della congiuntura di guerra. I devastanti contraccolpi dell’escalation bellica hanno ormai drammaticamente toccato il cuore dell’Europa: da Madrid a Londra, il terrore ha fatto irruzione nella vita quotidiana delle città del vecchio continente, colpendo indiscriminatamente donne e uomini inermi (come inermi sono le donne e gli uomini che muoiono in Iraq), alimentato dalla criminale volontà di potenza statunitense. Non esiste una “normalità” della guerra. La risposta del nostro governo - per l’occasione assecondata dall’atteggiamento bipartisan del centro-sinistra - è stata l’inasprimento delle misure di sicurezza interna e una sempre più spinta militarizzazione del territorio, con la contestuale lesione del quadro normativo posto a tutela della convivenza democratica e civile: emblematica è, nel merito, l’estensione a 36 ore del fermo di polizia. Nella medesima direzione vanno altresì le gravissime dichiarazioni di Pera contro il meticciato, segno di una precisa volontà regressiva, tesa ad alimentare il circuito perverso guerra/razzismo/repressione. Pur di non contraddire il potente alleato, il governo Berlusconi non esita dunque a condurre il paese in un vicolo cieco; e la sinistra moderata non si contrappone in modo adeguato: dell’unico provvedimento da adottare – il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq – non si vede traccia.

 

4. Le cose non migliorano di certo sul versante della politica interna, rispetto alla quale il governo delle destre ha da tempo gettato la maschera populista per rivelare il volto arcigno dell’offensiva di classe. Esso ha continuato a favorire l’incremento dei margini di profitto precarizzando il lavoro, ha generosamente beneficiato la rendita finanziaria e, con essa, la nuova generazione di immobiliaristi d’assalto, attivando un dispositivo fiscale che premia ampiamente i ricchi e lascia al palo i più poveri. Si è così favorito nel giro di pochi anni uno dei più poderosi travasi di reddito, dal dopoguerra ad oggi, ai danni di salari e pensioni; e non si è operato per impedire l’acuirsi delle difficoltà del Mezzogiorno. Ed ora il paese – la grande maggioranza del paese – è alle corde: non solo i settori popolari ma, oltre essi, la piccola e media borghesia, colpita anch’essa dal progressivo impoverimento e dalla mancanza di una prospettiva di sviluppo socialmente e ambientalmente equilibrato.

Nel contesto della crisi europea, deflagrata con la sonora bocciatura referendaria del Trattato costituzionale e l’impasse dell’intesa sul bilancio pluriennale comunitario, l’Italia si trova ad essere fanalino di coda, priva com’è di un progetto - quale che sia - di politica industriale, capace di difendere i ”campioni” nazionali e di creare lavoro, sprovvista di risorse pubbliche che selezionino e premino chi dà occupazione “buona” e investe in ricerca e innovazione, stretta dalla competizione sui costi e dall’aggressiva concorrenza delle economie emergenti.

In una così difficile congiuntura, i lavoratori saranno chiamati ad una dura vertenza per il rinnovo dei contratti di lavoro (a cominciare da quello dei meccanici) e ad impedire lo scippo del Tfr. Di qui l’estrema importanza dell’imminente congresso del più grande sindacato italiano, la Cgil, nel cui ambito occorre impegnarsi a sostenere le due tesi presentate dalla Fiom.

 

5. Davanti al dissesto generalizzato, che da ultimo non ha risparmiato nemmeno uno tra i più autorevoli e accreditati poli istituzionali, quello rappresentato dalla Banca d’Italia - del cui governatore il Prc deve comunque chiedere con fermezza le dimissioni - non sorprende che il grosso dei poteri che contano abbia chiaramente manifestato l’intento di “cambiare cavallo”. E’ questa, in estrema sintesi, la premessa strutturale che ha riproposto sulla scena della politica italiana l’opzione neocentrista, vera e propria calamita che - appunto a partire dal centro - intende agire sulla sponda moderata dei due schieramenti bipolari e prova a costituire un nuovo blocco sociale, prefigurando nuove aggregazioni e nuovi bacini di consenso. Quasi ad anticipare gli eventi e per tentare di governarli, per provare a contenere la frana della sua compagine sociale e politica, il centro-destra ha giocato la carta della modifica del sistema elettorale, cedendo alle pressioni della sua componente centrista. Si tratta con ogni evidenza di un estremo colpo di coda, dettato dall’affanno che procura il profilarsi di un’imminente sconfitta. Questo è del tutto evidente. Ma non si può sottacere che altrettanto chiaro è il fallimento del sistema maggioritario: non può essere difeso, come invece fa la maggioranza dell’Unione, un sistema che assegna 70 eletti all’Udc con meno del 4% dei voti e 14 al Prc con oltre il 5%. Anche questa è una vera e propria truffa che il nostro Partito deve continuare a denunciare con vigore anche in questo passaggio. Per contro, la strumentalità estemporanea della proposta delle destre non scalfisce in alcun modo la bontà, in via di principio e in via di fatto, del dispositivo proporzionale di rappresentanza dei cittadini. Ne segue la necessità che il nostro Partito metta in campo con forza la propria iniziativa allo scopo di favorire il più rapido cambiamento della legge elettorale in senso proporzionale. Si tratta di una partita talmente decisiva per la stessa qualità della democrazia italiana (oltre che per la salvaguardia della nostra autonomia politica) che noi dovremmo, qualora si presentasse una proposta di legge proporzionale senza meccanismi truffaldini come l’eliminazione dei voti sotto il 4%, sostenerla chiunque sia il proponente. Non vi è alcun motivo perché la riforma elettorale in senso proporzionale venga derubricata a questione secondaria o anche soltanto differita, con l'assai probabile conseguenza che, superato questo passaggio, di essa non si torni più a parlare. Essa comunque dovrà persistere come uno degli obiettivi prioritari nell’agenda del futuro governo: al pari del ritiro immediato dei soldati italiani dall’Iraq e dall'Afghanistan, del rifiuto di altre guerre anche sotto l'egida dell'Onu, dell’abrogazione delle leggi più inique promulgate dall’attuale governo (leggi ad personam, legge 30, legge Moratti, legge Bossi/Fini, controriforma Maroni sulle pensioni), dell'attivazione per legge di un dispositivo di adeguamento automatico dei redditi da lavoro all'inflazione reale e dell’emanazione di una legge sulla democrazia nei posti di lavoro.

 

6. Sui suddetti punti, che devono qualificare il futuro programma di governo, la parte moderata del centro-sinistra mantiene – nel migliore dei casi – margini di grave ambiguità. Così, di volta in volta, abbiamo appreso che i militari italiani vanno ritirati dall’Iraq, ma gradualmente; che la legge 30 va modificata, ma non abrogata; che l’economia va “risanata”, ma più con un’accelerazione delle politiche di liberalizzazione che con una ripresa di protagonismo della sfera pubblica. In definitiva, non sono in vista significativi segnali di discontinuità da parte della cosiddetta sinistra moderata, sul terreno della politica estera e su quello delle politiche economiche.

Ad accentuare il segno ad oggi sostanzialmente negativo del bilancio politico-programmatico, va segnalato che la stessa sinistra d’alternativa non ha svolto il ruolo che pure avrebbe potuto svolgere, sulla base della forza derivatale dalla battaglia referendaria sull’articolo 18 e dal risultato che queste forze hanno complessivamente conseguito alle elezioni europee. Si tratta , nei fatti, di un’occasione mancata: anche a seguito di un’eccessiva subalternità all’Unione. In questo contesto, diviene importante l’assemblea proposta per il 12 novembre prossimo dalla Camera di consultazione della sinistra, nel cui ambito è indispensabile che – al di là delle diverse scelte elettorali dei partecipanti – cominci a prendere corpo l'elaborazione di un programma comune della sinistra di alternativa.

 

7. Continuiamo ad essere radicalmente contrari allo strumento delle primarie poiché – come è stato a più riprese e da più parti detto – esse si configurano non come un momento di democrazia diretta e partecipata, ma come l’espressione di un’istanza plebiscitaria e sintonizzata sulla personalizzazione della politica. Siamo tuttavia impegnati affinché anche in tale contesa prevalgano i contenuti anzidetti e perché il segretario del partito consegua il miglior risultato possibile: al di là di come la si pensi, un risultato negativo sarebbe comunque un danno, oltre che per il partito, anche per l’esito dello stesso percorso programmatico – e ciò nonostante il fatto che, come accadde per la dibattito sulla Sinistra Europea, ci troviamo a discutere nell’organismo dirigente a decisione già presa.

 

Claudio Grassi

Bianca Bracci Torsi

Alberto Burgio

Maria Campese

Bruno Casati

Damiano Guagliardi

Beatrice Giavazzi

Gianluigi Pegolo

 

 

 

 



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