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FARE DI NECESSITA' VIRTU'
Il processo di unità dei comunisti deve andare oltre la prova delle elezioni europee e sfidare l’egemonia oramai intollerabile del potere capitalista
----- Ferdinando Dubla -----
L’odio che le classi dominanti del potere capitalista italiano stanno dimostrando verso il mondo del lavoro e nei confronti del proletariato di nuovo tipo che la ciclica forte crisi recessiva sta ulteriormente impoverendo, si traduce ogni giorno di più in un attacco senza precedenti alle poche tutele e a quei diritti rimasti ancora sulla carta acquisiti con i sacrifici e le lotte degli anni ’70. L’egemonia capitalista è ormai intollerabile e si nutre costantemente di moderne forme di fascismo e di autoritarismo: Berlusconi e la sua operazione di raccolta assembleare nel PdL, non è solo il volto e la figura da maschera carnascialesca del capitale e della sua frazione dominante, ma l’emblema di una gobettiana rinnovata autobiografia della nazione, sintesi di luoghi comuni peggiorati dal ceto politico parassitario della destra costituzionalmente eversiva e propaganda di paccottiglia politico-culturale che mira alla subalternità permanente di un indistinto popolo spettatore di un gioco al massacro nei confronti di una qualsiasi rappresentatività, finanche blanda, della sinistra e dei suoi valori.
Essere spettatori, pur ponendosi contro il sistema, di questo indegno spettacolo, non è sinonimo di impotenza imbelle, ma di complicità.
I comunisti spettatori inerti non lo sono stati mai. Ecco perché salutiamo con rinnovata e mai esausta speranza il processo ricostituente di un partito comunista che ricomponga una storica diaspora che non ha più ragion d’essere. La lista comunista unitaria alle elezioni europee è una tappa, oltremodo importante, di questo processo. Concepita anche per superare la dispotica barriera del 4% elettorale, la necessità deve trasformarsi in virtù unitaria. Spetta anche a noi far sì che l’impresa riesca e non ripercorra strade sbagliate e percorsi snaturanti di deintificazione, spetta all’intero popolo comunista, di sinistra, democratico e progressista, far sì che l’edificazione costituisca una reale e significativa rappresentatività dal basso di istanze e bisogni, quelli di classe e delle moderne precarietà.
A questo processo si giunge dopo un tortuoso percorso delle forze politiche che ne hanno dato origine.
Il Prc ha pagato la stagione del bertinottismo con spaccature, lacerazioni e scissioni. Non poteva essere diversamente: Bertinotti ha cercato, sin da subito, cooptato alla guida del partito, di modificarne strutturalmente il profilo, il programma, i fini, l’identità. L’aggettivo “nuovo”, tipico del linguaggio dominante, è stato trasformato in un assioma da contrapporre alla tradizione marxista, di classe, comunista.
Da questo punto di vista, merito del PdCI è stato quello di aver mantenuto un’identità culturale marxista, sebbene solo nella versione togliattiana, cercando di mondare così la sua costituzione originaria governativista, avendo operato una scissione nel 1998 non sul profilo culturale ma su quello dell’appoggio ad un governo.
Oggi quella scissione non ha più alcuna ragione di essere. E, anzi, si dovrebbe riflettere sulla necessità di andare avanti nel processo ricompositivo dal punto di vista sociale e non solo politico. Nel nostro paese manca oramai totalmente la rappresentatività politica del mondo del lavoro, la cui composizione di classe, tra l’altro, sfugge anche a ciò che è rimasto della sinistra anticapitalista. La fisionomia del precariato, il nuovo proletariato che dovrebbe fondersi al proletariato della media-grande fabbrica, stenta a farsi riconoscere, in quanto latitante la coscienza di classe.
I comunisti devono aprire un fronte di alleanze che prima di essere politiche, debbono sostanziarsi socialmente: nel rafforzare la nuova identità di comunisti del XXI secolo, devono reimmergersi nelle contraddizioni della loro classe di riferimento e sostenere il progetto di una rinnovata e forte coscienza di classe. Questa è oggi la conformazione della linea di massa, da cui passa anche la pratica del partito mutualistico e solidale nella sperimentazione del nuovo Prc liberatosi del ‘nuovismo’.
E’ definendo questi compiti, superando l’indispensabile, prezioso ma insufficiente processo elettorale, che i comunisti risponderanno all’insulto di una ennesima ed opportunistica scissione da destra: il raggruppamento a cui ha dato vita Nichi Vendola (“Sinistra e libertà”) non ha respiro per tantissimi motivi, ma per uno specifico vorremmo che si riflettesse: nessuna vera sinistra può sopravvivere se gratta la pancia dell’anticomunismo. Anche se sposa formalmente tutto il “nuovo” che finge di comprendere e a cui vorrebbe offrire rappresentanza. Ma neanche Vendola, come già il suo maestro Bertinotti, può sfuggire alla problematicità dei compiti davvero ‘nuovi’ che toccano ad una sinistra ‘vera’: la formazione di una nuova coscienza di classe. Qui ritroverebbero l’attualizzazione del leninismo e della migliore tradizione del movimento operaio e comunista. Ma qui si fermerebbero, in quanto portatori di una e vera e propria ‘falsa coscienza’ ideologica.
Per combattere l’insopportabile e intollerabile egemonia del capitale e dell’imperialimo si tratta ora, davvero, di leggere con metodologia gramsciana come è costituita la fitta trama di quest’egemonia, piuttosto che rimarne impigliati, isolati o permanentemente e costitutivamente minoritari.
Ancora una volta c’è bisogno di più Gramsci e non di meno Gramsci, di più tradizione comunista, non di meno. Questo secolo non è la rottura del Novecento, ma la sua continuazione; è tempo ancora di idee forti, di prassi coerenti, di strategie ambiziose e tattiche intelligenti. E’ ancora il tempo dei comunisti.
aprile 2009