linea rossa-lavoro politico
 

Angiolo Gracci (fondatore):la vita, gli scritti
Ferdinando Dubla (direttore):biografia e opere
 
 

Presentazione de: Ernesto Guevara la funzione rivoluzionaria  - di Max Giusto

ed. Paprint, 2010

 

“Ricordatevi di tanto in tanto di questo piccolo condottiero del XX secolo”

Guevara,da una  lettera ai genitori

 

Non mancano certamente le opere voluminose, i saggi della pubblicistica così come i testi degli accademici ed eruditi, sulla figura di Ernesto Che Guevara e la sua “funzione” rivoluzionaria. Eppure davvero in pochi sono riusciti a spiegare nel tempo il fascino e l’alone mitico che circonda la ricostruzione storica delle sue azioni e della riflessione che lo stesso ‘Che’ appunta nelle sue note e diari intorno alla concezione del mondo che muoveva intimamente e consapevolmente le sue passioni  e le ragioni profonde della sua volontà. Il fatto è che in Guevara vi è qualcosa che travalica lo stesso studio, pur rigoroso, della sua figura: la sua stessa vita, cioè, come romanzo di formazione e autoformazione, una sorta di spartito musicale che tocca le corde sia della razionalità che degli istinti, allo stesso modo di una poesia che ti sollecita la mente ma ti tocca il cuore. Solo così si spiega la durata del ‘mito’ e l’amore rinnovato delle giovani generazioni, magari legato ad una certa suggestiva iconografia, come spiega Giusto e la sua sacrosanta critica alla mercificazione svilente operata dalla cultura dominante; ma se il ‘mito’ è positivo, l’emblema non può che raffigurarne il fulgido esempio e ispirare lotte coerenti, infondendo coraggio: così nel ‘68, la figura del rivoluzionario latinoamericano ha rappresentato l’aspirazione alta alla liberazione dal capitalismo per una generazione intera di militanti, che è stata trasmessa, seppur modificata, fino ai giorni nostri. Così come il mito di Spartaco, l’esempio di Guevara è tutt’uno con l’idea stessa di comunismo.

Se gli intellettuali, oltre a comprendere, come asseriva in una memorabile nota dei ‘Quaderni’ Antonio Gramsci, devono anche sentire, ebbene, questo contributo di Massimo Giusto sulla figura del ‘Che’,  si iscrive pienamente in una nuova metodologia per lo studio e l’analisi delle funzioni che le personalità della storia hanno svolto nel proprio tempo storico e oltre se stessi. Vorrei portare qualche esempio dei nuovi linguaggi attraverso i quali si perpetua, a livello di massa, l’alimentazione della funzione rivoluzionaria di Guevara: in un video su You Tube, l’attrice e cantante Nathalie Cardone (http://www.youtube.com/watch?v=PEj7jnR--Dg) interpreta la celebre “Hasta siempre” con il montaggio di un video, in modi adeguati alle sensibilità passionali del nostro tempo, tali da essere più efficaci, in termini di ‘funzione’, del più ponderoso e organico saggio sul rivoluzionario di origini argentine.

E’ proprio di questo che si è accorto, da sociologo, Massimo Giusto: e, attento proprio alla lezione di Gramsci, ha voluto darci un piccolo ritratto ad acquerello (da figlio di artista) di una figura che, a leggere Il socialismo e l’uomo a Cuba, debitamente in necessario allegato al testo, non si accomoda alla vita, ma marxisticamente la interpreta per dargli il senso etico più elevato, trasformare profondamente la società ineguale dell’imperialismo e del capitale in un mondo senza l’oppressione delle catene dello sfruttamento. Va intesa così, in questo contesto di studi critici dei nuovi linguaggi, la categoria di ‘religiosità’, di ‘missione’, della ‘resurrezione-salvezza’ e della spiritualità della liberazione, categorie utilizzate nel testo: come immaginare, in un montaggio video, un passaggio di diapositive in successione sul palco delle suggestioni sociali, collettive: il Cristo e  i tre dolenti del Mantegna (1480-1490 c.), immagini de La ricotta (1963) di Pasolini, il letto di morte di Ernesto in Bolivia (1967).

Stralciare la suggestione passionale dall’idea del comunismo è impossibile in Guevara. E questo stride, per il capitalismo e l’imperialismo, con la necessità di annichilire le coscienze. D’altra parte, il senso della missione guevarista, al costo del sacrificio estremo, è proprio quello dello sviluppo della coscienza di classe, della coscienza rivoluzionaria. Egli giudicava gli avvenimenti secondo questi parametri non ripiegabili per le apparenze contingenti, per cui il rapporto tra tattica e strategia diventava funzionale al nesso principi/creatività: nell’indissolubilità delle correlazioni tra questi, era inscritta la passibilità della vittoria contro l’imperialismo e, in generale, contro l’organizzazione capitalista della società e le sue sofisticate sovrastrutture ideologiche (vedi la legge del valore—lavoro e il “valore” ideologico che può ancora funzionare in una struttura socialista o, comunque, di transizione) per il dominio oligarchico, che tendevano ad offuscare la coscienza di classe. Il tema dell'etica comunista è dentro la concezione guevarista della massima fermezza dei principi teorici (che sono quelli del marxismo più conseguente e del leninismo assunto come filosofia dell’azione “coerente ai principi”) e della loro applicazione alle situazioni specifiche. Un umanesimo socialista che ha le radici in un’etica ribelle cercata oggi nei suoi fondamenti da d’Urance, che riabilita la ribellione di fronte alla modernità e non può però non comportare la trasformazione interiore comune al comunista e al cristiano, così come a tutti coloro che, in maniera immanente o trascendente, traducono il loro percorso di vita in una pervicace volontà rivoluzionaria, pagandone alfine tutti i prezzi. L’umanesimo socialista va ricollocato in una dimensione non più solo storiografico-filosofica (esiste l’umanesimo socialista di E.Fromm, di J.P. Sartre di Merleau Ponty, di Rodolfo Mondolfo, che ne fa l’architrave dello storicismo), ma in una concezione radicalmente dialettica, integralmente gramsciana, di una ‘oggettività’ e ‘soggettività’ che si fondono nella prassi rivoluzionaria della ‘riforma intellettuale e morale’ e che Giusto interpreta e utilizza in chiave di rifondazione di una sociologia marxista, perché all’avversario di classe va contrapposta un’analisi scientifica della società, delle classi sociali, della struttura economico-produttiva e non lo sterile sogno o il mito innocuo dell’utopia. Proprio perché il comunismo deve configurarsi come società superiore dal punto di vista dei rapporti sociali e umani, non può concorrere sullo stesso terreno  condividendo gli stessi parametri di valutazione del grado di benessere’ (altrimenti funzionerebbe ancora la legge del valore), dell’organizzazione sociale capitalista, ma su una più elevata coscienza, capace di individuare l’autentica ricchezza sociale nella massima liberazione del soggetto storico­ concreto, che è il proletariato e i ceti che il capitalismo rende subalterni, sia materialmente che “fenomenologicamente” attraverso i suoi feticci: “A nostro parere il comunismo è un fenomeno di coscienza e non solo un fenomeno di produzione; ed è impossibile arrivare al comunismo con la semplice accumulazione meccanica di prodotti messi a disposizione del popolo. Così, naturalmente, si arriverebbe a un qualcosa, a una speciale forma di socialismo. Ciò che Marx ha definito comunismo, quella forma di comunismo cui generalmente si aspira, non può essere raggiunto se l’uomo non è cosciente, cioè se l’uomo non guarda alla società con una nuova coscienza.” [da Pensamento critico, nr.9, ottobre 1967—discorso pronunciato tra il 1961 e il 1963].

La pratica dell’azione insurrezionale è finalizzata, allora, nei paesi ove il margine di lotta politica legale è stato annullato, a creare i quadri per una guerra di movimento che abbia le caratteristiche di lotta progressivamente popolare, cioè coinvolgente le masse; grande è il ruolo che il Che attribuisce alla forza delle condizioni oggettive (non viceversa) per cui, anche in assenza della compiuta strutturazione di un partito d’avanguardia, con tattica e strategia coerenti e volto alla conquista del potere politico, che spinga e adegui la coscienza rivoluzionaria delle masse, questo ruolo può essere assolto dall’esempio rivoluzionario, dall’esempio in funzione della formazione della coscienza di classe. E questo, probabilmente, era ben presente e calcolato nella testa del ‘Che’, se è vero che continuamente egli ritorna sulla reale possibilità di esito negativo ( e perdita della sua stessa vita) sul breve periodo; coscienza, cioè, di preparare un’accelerazione del processo rivoluzionario contando sulle oggettive contraddizioni sociali, non l’insurrezione né i1 punto di rottura, né l’immediato impeto rivoluzionario. Compito più che di supporto, nelle sue esperienze, in particolare l’ultima boliviana, di surroga dei compiti del partito comunista di quadri e legato alle masse popolari. Questa “insufficienza soggettiva” poteva essere colmata? no, ma potevano essere sviluppate le condizioni perché si colmassero.

Oltre il mito dell’utopia, dunque, ma con una forte dialettica tra scienza e sogno, tra la poesia di una vita spesa per la rivoluzione e la rigorosa analisi sociale, come ci invita a pensare questo agile e denso testo di Giusto a commento di uno scritto memorabile del ‘Che’: perché il modo migliore per rendere vivo l’esempio di Ernesto Guevara, non è quello di rinchiuderlo in schermi pregiudizievoli né accarezzare solo la sua immagine così come recepita dall’immaginario collettivo.  E’ l’ottica giusta e nuova, ci pare, per continuare il sentiero tracciato da questo grande comunista del nostro secolo, che anche i cristiani più conseguenti come i combattenti della teologia della liberazione hanno chiamato e chiamano loro fratello e compagno di viaggio e che certo nessun Barrientos potrà avere la pretesa di fermare in una qualsiasi ‘Quebrada del Yuro’ del mondo.