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ANTIMARXISMO NEGLI ATENEI

 

All’Università di Lecce soppressa la cattedra di Antonio Moscato di Storia del movimento operaio. Segnali preoccupanti anche da Parigi

 

----- Ferdinando Dubla -----

 

 

Il processo di destrutturazione liberista delle Università inverato dai progetti-Moratti si arricchisce di nuove iniziative in linea con la nuova filosofia neocon: basta con insegnamenti inutili e per di più pericolosi, basta con una ricerca sganciata da bisogni aziendalistici e di supporto alle imprese, farla finita con una didattica non funzionale ai mercati e alla produttività remunerativa del capitale.

E’ accaduto a Lecce, può accadere altrove (inizia ad accadere anche in Francia). Tutto è cominciato con una seduta del Consiglio della Facoltà di Lingue e Letterature straniere tenutasi l’11 maggio 2005 nell’ateneo salentino. Improvvisamente (ma meditatamente) nel Manifesto degli Studi dell’anno 2005/2006 non compare più l’insegnamento di Storia del Movimento operaio, tenuto dal professor Antonio Moscato. In sua vece una bella «Storia del capitalismo», evidentemente più funzionale ai nuovi bisogni del management liberista: d’altronde, non si è scritto tanto a proposito della scomparsa della classe operaia, da far ritenere a molti che anche la sua memoria venga di fatto cancellata, cassata, rimossa? E’ o no un bene non instillare più veleni nella mente delle giovani generazioni, che devono abituarsi ad un precariato a vita, senza diritti e senza futuro prossimo? E’ evidente come la vicenda, tutt’altro che conclusa per la reazione di colleghi (alcuni) di molte parti d’Italia, di studenti e di operai in carne e ossa (quelli della Cnh Hitachi di Lecce) con il contorno di interrogazioni parlamentari (Malabarba, Prc) e raccolte di firme, travalichi la stessa figura di Moscato e la sua interpretazione dell’insegnamento della storia operaia di tutti i continenti.

Moscato è indubbiamente un marxista, seppure “critico”, come egli stesso si autodefinisce: e quel “critico” non sta per “analitico”, “indagatore”, “esaminatore profondo delle specificità”, forse come ci ha tenuto sempre a precisare, ipercritico delle esperienze reali e concrete del socialismo, laddove la classe operaia ha cercato di edificare una società sicuramente imperfetta, ma finalmente calata in terra e non nel cielo delle utopie. E, come si sa, quando si tocca terra ci si sporca ed ecco allora la ‘critica’ di Moscato pronta a misurare la distanza tra l’empireo incontaminato delle idee e l’aspra storia di questo mondo. «Un mio libro su Cuba, e ancor più un saggio pubblicato dalla rivista Limes, mi hanno fatto etichettare come anticubano, solo perché analizzavo le contraddizioni e l’involuzione di quel regime», ha scritto sul Corriere del Mezzogiorno del 26 luglio scorso, rincarando poi - «sono un materialista (..) e cercavo i veri ‘scheletri’ (le complicità e la lunga subordinazione del PCI all’Urss staliniana, a cui veniva sacrificata la dinamica della resistenza che voleva eliminare alle radici le cause del fascismo) e non le inverosimili fantasie su una presunta velleità rivoluzionaria dell’Urss e quindi del PCI».

Non solo la realtà cubana, di cui è profondo conoscitore, è un soggetto privilegiato della sua lama critica, la stessa figura di Che Guevara è sganciata da ogni legame con il marxismo-leninismo e consegnata alla permanente rivoluzione. Molto più interessanti le tante analisi sulla situazione mediorientale e palestinese che Moscato ha avuto il merito di rilanciare a livello politico (egli è infatti uno dei militanti del Prc legato alla figura di Livio Maitan pur formato inizialmente da Ambrogio Donini, storico delle religioni considerato ‘marxista ortodosso’). Ad ogni modo, ben si attaglia alla ricerca di Moscato il giudizio dello studioso francese Daniel Lindenberg secondo il quale il trotzkismo è una “middle range theory”, una teoria cioè che è capace di individuare difetti reali dei sistemi sociali solo a metà, mancandone l’indagine strutturale.

Scriviamo questo proprio per sostenere la battaglia di Moscato che ora si ritrova prepensionato con due anni di anticipo; ma, a seguire la sua difesa, che può condensarsi in “io non sono uno stalinista”, non dovrebbe esservi solidarietà con la storica Annie Lacroix-Riz dell’Università parigina ‘Denis Diderot’, convocata negli stessi giorni dal Preside per fornire spiegazioni in merito alla sua stessa ricerca, documentata indagine antirevisionistica e da molti indicata come prosovietica.

 Cioè, non bisogna necessariamente condividere i risultati di una ricerca o la sua impostazione metodologica, per sostenere invece l’indispensabilità che esista lo stesso oggetto della ricerca. Perché è in quella direzione che si vuol colpire. Il preside Antonio Fino ha spiegato che le uniche motivazioni di una simile scelta sono di natura tecnica e non esistono correlazioni fra la disattivazione dell’insegnamento di Storia del Movimento operaio e il corso nuovo di zecca di Storia del Capitalismo. E’ una falsità, lo capisce chiunque e chi finge di non capirlo è in malafede.

Se si pensa che il tutto si inserisce nella nazionale politica del governo Berlusconi di privatizzazione e aziendalizzazione delle Università (iniziata invero dal centro-sinistra delle controriforme Berlinguer), di selezione classista di fatto a causa di costi insostenibili per le medie famiglie, di corsi a numero programmato che tagliano via le speranze di tanti giovani, cioè della sottomissione a politiche di mercato di beni primari come la conoscenza e la ricerca, c’è poco da sottovalutare un atto che apertamente mette in discussione la presenza di un filone marxista nella ricerca universitaria, dove già di per sé il marxismo, dagli anni ’80 e in maniera accelerata, non è più “di moda”, ma è una scomoda etichetta da cui affrancarsi come malattia giovanile per la pletora di accademici pentiti o da cui prendere immediatamente le distanze perché non funzionale all’unica storia e presente consentiti, quelli del capitalismo.

 

 

 

 


 


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