DALLA CON-FUSIONE ALLA CONFEDERAZIONE

 

Sulla esigenza storica di una ricomposizione unitaria dei comunisti nella confederazione della sinistra

 

----- Ferdinando Dubla -----

 

 

Casella di testo: “[Secondo Gramsci] occorre stabilire il nesso dialettico
tra ‘movimenti e fatti organici’ da una parte e 
‘movimenti e fatti di congiuntura’ dall’altra
 non solo sul piano della ricostruzione storiografica – 
quando si tratta di ricostruire il passato-
ma anche e soprattutto nell’arte politica-
quando si tratta di costruire il presente e il futuro –
e bisogna accuratamente evitare di farlo in base
 ai propri pii desideri e alle proprie passioni deteriori,
piuttosto che ai dati reali.”
da G.Fresu “Il diavolo nell’ampolla-Antonio Gramsci, gli intellettuali e il partito”, 
La Città del Sole, 2005, pag.250

 

 

 

 

 

 

L’unità non è un valore assoluto e non sempre l’unità è chiarificatrice in un periodo in cui la differenziazione serve alla rappresentanza sociale. L’unità, per i marxisti, è un valore relativo, dipendente dalle fasi storico-politiche, è cioè un bene secondo condizioni storicamente determinate. Una premessa necessaria per discutere di unità della sinistra, di unità dei comunisti, in Italia, nella fase attuale. La discussione interna alle forze politiche della sinistra che in qualche modo si richiamano agli ideali comunisti e il sentimento diffuso di unità che si è andato sviluppando dopo l’apertura delle operazioni che porteranno alla nascita del Partito Democratico, vanno analizzate con il metro severo dell’analisi storico-politica. Rinunciare a questa analisi per meri riflessi identitari, sarebbe, per i comunisti, un errore imperdonabile. Un errore che potrebbe portare a delle conseguenze disastrose, la principale delle quali sarebbe quella di rinunciare all’efficacia dell’azione politica con il pericolo di rinchiudersi in un ghetto autoreferenziale di impronta solo testimoniale. Una conseguenza nefasta che era inscritta nei piani della P2 di Licio Gelli ;  che azzererebbe nel nostro paese la sfida che era stata aperta dopo la cancellazione del PCI e che dichiarerebbe chiusa la scommessa dello stesso PCI, quella del “partito nuovo”, del partito comunista di massa di Togliatti.

Siamo fermamente convinti che la migliore tradizione del PCI vada fatta vivificare e crescere nella secolarizzazione necessaria oggi: nelle contraddizioni dell’oggi, nell’analisi attuale, nella lotta di classe nelle sue forme antiche e moderne, nella rappresentanza del moderno proletariato frantumato ad opera della globalizzazione capitalista e neo-imperialista. I comunisti di questo inizio secolo non possono caricare solo sulle spalle della propria tradizione gli indifferibili compiti dell’attualità: tradirebbero, essi per primi, lo spirito e i metodi del marxismo, da cui provengono e a cui fanno riferimento.

E’ necessario per questo annacquare la propria identità? Ma quando mai la paura di mettersi in gioco ha prevalso sui reali interessi di classe?

Il mondo del lavoro, i giovani e meno giovani disoccupati, i precari del pubblico e del privato, così come i movimenti contro la globalizzazione capitalista e le guerre imperialiste, cosa si attendono dalle forze della sinistra che oggi usa impropriamente essere denominata come ‘radicale’?  

·       Un’uscita unilaterale dal governo? Un governo che, dialetticamente, è pervaso dai condizionamenti dei cosiddetti poteri ‘forti’ (Usa, Vaticano, Confindustria) e dalla necessità di sopravvivere anche grazie all’appoggio delle forze di sinistra. Certo, la dialettica è contraddizione: ma se si elide (volontariamente) un lato della contraddizione, lo scenario che si apre sarebbe più favorevole o sfavorevole rispetto ai ceti sociali proletari e ai movimenti anticapitalisti?

·       Una permanenza subalterna in un governo che rifiuta di dare attuazione a un programma già di per sé solo moderatamente riformatore e troppo sensibile a politiche ispirate da valori neocentristi? Anche questa opzione sarebbe perdente e suicida e il pericolo, da un’altra strada, sarebbe ancora la perdita di consenso sociale delle classi subalterne.

L’esigenza storica, per la sinistra nel suo complesso e in essa per i comunisti, nasce da due possibili risposte sbagliate. E dall’unica risposta possibile in questa fase: l’unità, pur non assolutizzata, ma necessaria nella fase. L’unità, nelle forme e  modalità che la vicenda politica italiana ci ha consegnato,  non può non essere, parafrasando altre epoche, l’unità nella diversità. E’ questo tipo di unità che permette un rafforzamento dell’efficacia dell’azione politica e nello stesso tempo la fertilizzazione della propria identità. Che, per i comunisti, è tema sensibile. Ma essa non deve essere solo conservata, ma radicalizzata (non ‘radicali’ per ideologia, ma per il ‘radicamento’ sociale e di classe). All’esigenza corrisponde un’opportunità strategica: innanzitutto confederare i comunisti per confederare la sinistra che aspira all’alternativa e alla trasformazione strutturale degli assetti sociali esistenti e non ad una mera alternanza e a sterili correttivi delle ingiustizie globali capitaliste.

 

Dalla confederazione allo stile di lavoro e metodo: il comunismo non solo come fine.

 

Nella discussione devono sempre essere prevalenti i contenuti, non logiche identitarie: strappare risultati nell’azione unitaria deve poter spostare i rapporti di forza in avanti, sfidare l’egemonia liberista che ha continuamente bisogno della corroborazione del populismo o dell’antipolitica diretta dalle potenti lobbies economico-finanziarie del nostro paese. Sarà più semplice la confederazione tra comunisti, pur con le loro diverse esperienze, rotture passate e differenti elaborazioni; perché la forma confederale non azzera le differenziazioni,  le accosta in un percorso comune. E se un tipo di confederazione nascesse solo dall’alto, sarebbe accorpamento di ceti politici, conquista di posizioni dirigenziali, occupazione di spazi istituzionali. Senza alcun respiro strategico: la confederazione va invece vissuta come percorso di partecipazione di base, raffozando la militanza nei rispettivi partiti, nella presenza attiva nelle lotte e movimenti sociali. C’è poco da chiacchierare su ‘cantieri’ e ‘masse critiche’: c’è da spendere la propria passione nei compiti che le contraddizioni del capitalismo ci squaderna ogni giorno davanti: i comunisti devono essere sempre lì, dove c’è movimento vertenziale, lotta sociale, sofferenza popolare.

-          L’ulteriore divisione in seno al Prc tra la componente ‘Essere Comunisti’ di Grassi e Bugio e l’’Ernesto’ di Giannini e Pegolo non fa bene a questo processo. Quest’ultima componente del Prc è contraria, per ragioni condivisibili (e che però riguardano anche il PdCI) ad uno scioglimento della organizzazione nella quale militano, nonché per una ripresa e sviluppo dell’esperienza rifondativa. Ma sono altresì contrari (cfr. G.Pegolo su Liberazione del 4 luglio u.s.) a liste uniche per le amministrative del 2008, considerate una sorta di grimaldello per il partito unico. Le sommatorie aritmetiche, affermano nello specifico, non hanno mai portato bene alle elezioni e questo tipo di liste ha sempre scontato una ‘diminutio’ rispetto alla presentazione in autonomia.

Qui vi è un esempio lampante di un ragionamento che non tiene conto di un’esigenza storica (quella dell’unità nella diversità e della forma confederale) che non può essere ridotta ad una previsione di risultato elettorale. Paradossalmente, lo sforzo unitario richiestoci oggi, prescinde da ‘sommatorie’, ma costituisce di per sé un ‘valore aggiunto’. Semmai ci si deve preoccupare che il processo non sia una sommatoria, questa sì, di ceti politici che si autoalimentano in gelose ‘nicchie’ per le loro personali fortune e carriere individuali e di gruppo, deterioramento già palesatosi e anzi destinato ancor più a riprodursi senza correttivi nel presente (la logica solo identitaria favorisce o no questi fattori di conservazione?).  Il processo unitario, in forma confederale, deve alimentarsi invece delle reali esperienze di base, quelle delle vertenze diffuse - ambientali, sociali, contro tutte le contraddizioni del liberismo e delle sue versioni ‘temperate’, deve alimentarsi delle battaglie antimperialiste e contro la guerra così come delle lotte del mondo del lavoro, contro la sua frantumazione per una selvaggia flessibilità e mobilità, contro un precariato devastante, contro la diminuzione del potere d’acquisto delle masse popolari, per la laicità e l’emancipazione, i diritti civili, le pari opportunità.

All’unità confederale non fanno bene le astratte fughe in avanti di Bertinotti, miranti ad un azzeramento per un ‘nuovo inizio’ di una ‘Cosa’ rossa non si sa quanto.  La scelta della non-violenza assolutizzata, la liquidazione del patrimonio del Novecento del movimento comunista ed altri pezzi di impostazione valoriale e politica quanto meno discutibili in un’ ottica marxista, sono il marchio della ‘Sinistra Europea’, escludente non inclusiva; c’è bisogno di una ricca articolazione di posizioni che convergono poi comunque nell’azione, non lo svuotamento di soggettività necessarie al processo comunque avviato.

L’unità dei comunisti, fulcro dell’unità di una sinistra più larga (confederata), ha bisogno naturalmente dei comunisti. Se la diaspora si accentua, si accentuerà una frantumazione pericolosa, e in base a discriminanti che pongono al centro l’atteggiamento nei confronti di un governo. Non è poca cosa l’atteggiamento nei confronti di un governo, ma non è poca cosa neanche un risultato politico di ulteriore divisione e frantumazione. La Confederazione ha vitale necessità del lievito dell’esperienza maturata in seno al Prc; ma ha vitale necessità del lievito dell’esperienza maturata nel PdCI e in tutte le esperienze non testimoniali dove in questi anni si è consumata la diaspora comunista.

Se si adottasse uno stile di lavoro e un metodo gramsciani, quello dell’intellettuale “organico” collettivo, non solo proclamato ma praticato e vissuto, inizieremmo tutti a comprendere meglio che il comunismo non è solo un fine a cui tendere domani, ma la costruzione di una pratica sociale innanzitutto di coloro che, opponendosi al capitalismo e all’imperialismo del XXI secolo, si dimostrano meno permeabili ai disvalori del liberismo senza libertà, l’individualismo, il leaderismo, il carrierismo, la delega ai ‘poteri forti’.  L’intellettuale è l’organizzazione politica nel suo insieme, “organico” agli interessi di classe, collettivo perché capace di superare nell’elaborazione e nell’azione le metodologie dell’intellettualità borghese: o chiusa nella torre eburnea dei suoi sofismi astratti o diffusa oggi nei media a intonare peana ai poteri dominanti per la costruzione di un’egemonia ‘materiale’, sempre comunque “organica” ad una concezione del mondo così come a precisi interessi di classe.

Se la confederazione della sinistra comunista si costruirà con coraggio, ma con fermezza di principi e con la preziosa lezione gramsciana vissuta e praticata nella propria esperienza organizzativa, sarà forse più possibile la confederazione di una sinistra più larga non subalterna alla socialdemocrazia europea a sua volta subalterna ai poteri capitalistici in tentativi sempre sconfitti di temperare le devastanti contraddizioni e ingiustizie sociali. Capace dunque di contrastare la deriva moderata dell’operazione partito-democratico, che ambisce ad americanizzare la società italiana, senza più una sinistra influente, senza una reale rappresentanza del lavoro contrapposto al capitale. In un momento storico di aggressiva decadenza del modello sociale statunitense e dell’imperialismo guerrafondaio, che appunto guarda alla guerra per la conservazione e riproduzione del proprio modello.

Confederazione, non partito unico, come costruzione progressiva e non come ingegneria politicista che annulli la scommessa di una rifondazione comunista. Che si può vincere, alfine, se sappiamo costruire la necessaria unità. Se la risposta sarà un’ulteriore divisione, quella scommessa sarà persa in partenza.

 

fe.d., luglio 07

 

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