Ferdinando Dubla

 

Articolo: I fondamentalisti dell'americanizzazione

[blog febbraio 2008]

 

 

Solo l’unità nella diversità e non un indistinto e generico soggetto ‘unico e plurale’ della Sinistra può contrastare i disegni egemonici delle classi dominanti italiane interessate all’americanizzazione dell’Europa

 

La scelta del Partito Democratico guidato da Walter Veltroni di correre da solo (o quasi-vedi accordo con l’IdV) nella prossima campagna elettorale, svela i progetti dei fondamentalisti dell’americanizzazione, cioè di quella parte consistente della borghesia italiana che fa del moderatismo ipocrita la maschera di un’insofferenza più profonda nei confronti della sinistra e delle sue istanze sociali. La ricerca è quella di un’autosufficienza che tracci il solco di un bipartitismo come negli USA, che annulli di fatto il pluralismo e l’articolazione politica della rappresentanza, in modo da gestire la conflittualità sociale senza movimenti, senza lotte, senza battaglie che possano tendere ad una trasformazione strutturale dell’assetto dominante delle classi egemoni. E’ un tentativo di normalizzazione di ciò che si considera un’anomalia: in  Europa si è sedimentato da tempo, ora in maniera più radicata ora meno,  un polo di sinistra critica anticapitalista. In Italia ancor più, quest’anomalia era rappresentata dal Partito Comunista Italiano. Ma proprio l’Italia si candida ora, con il progetto consimile e parallelo del PD e del Partito del popolo della libertà (berlusconiano), a divenire laboratorio d’avanguardia per l’americanizzazione del continente europeo. Il partito americano progetta uno stravolgimento forzato della Costituzione repubblicana del ’48, indipendentemente se vi sarà o meno un governo di grande coalizione; quest’ultima formula, benché propugnata dai più avventuristi dei pasdaran ‘moderati’ (vedi editoriale di Giampaolo Pansa sul numero del 15 febbraio u.s. dell’Espresso), non può essere apertamente auspicata in campagna elettorale per operare un’estorsione piena di consenso ‘passivo’ di quel popolo di sinistra che sarà invitato a votare democratico per continuità e fedeltà storiche oppure, dall’altra parte, per continuare a sollecitare gli istinti più beceri del popolo di destra. E’ una formula ancora impresentabile, dunque, ma il disegno che la sovrintende è ancor più grave e può sopportare diverse formule politiche, come l’appoggio tecnico dei ‘centristi’ a un governo che comunque veda il predominio di uno dei due spezzoni del partito americano.

Anche i diffusi sentimenti ‘antipolitici’ e contro la cosiddetta ‘casta’ (in realtà oligarchie separate sono tutti i poteri forti e le loro rappresentanze politiche) si cerca di indirizzarli nella strettoia della ‘semplificazione’ del quadro politico, un qualunquistico senso comune alimentato mediaticamente dalla spettacolarizzazione dello scontro politico, ridotto a teatrino senza contenuti che rimandino a più precise questioni sociali. Questo senso comune egemonico può portare ad un risultato importante per i poteri forti: tagliare il pluralismo, consumare la democrazia rappresentativa fino alla consunzione, privare di rappresentanza il conflitto sociale. E in campo internazionale, introiettare la guerra come regolatrice dei rapporti economici e di potere, guerra condotta dall’imperialismo per riequilibrare le inevitabili contraddizioni del capitalismo su scala mondiale.

La reale e vera posta in gioco delle prossime elezioni politiche di aprile è questa: una robusta virata verso l’americanizzazione della società italiana come avanguardia europea, l’emarginazione della sinistra in funzione della riduzione al silenzio e all’isolamento delle masse lavoratrici, un assetto istituzionale che possa essere dominato dalle oligarchie capitaliste senza più compromessi e mediazioni con il mondo del lavoro, spalleggiato da un sistema mediatico che offre visibilità solo agli attori protagonisti della rappresentazione scenica.

Questa prospettiva può essere mantenuta e resa immanente nelle lotte sociali e politiche solo con l’autonomia dei comunisti. I comunisti possono unirsi in confederazione, possono stringere alleanze tattiche anche di medio periodo, possono e debbono continuamente confrontarsi con altri e diversi interlocutori politici, ma hanno una bussola: la loro rappresentatività sociale, essere dentro e parte della lotta delle classi, delineare un assetto sociale contrapposto alla società capitalista, incidere sulle radici profonde dell’ineguaglianza. E non fermarsi ad una mera fenomenologia degli eventi della realtà. Perché è proprio questo che si vuole espellere: una possibilità di trasformazione rivoluzionaria seppure nelle forme e nei modi storicamente dati.

Il travaglio interno a Rifondazione Comunista verte soprattutto su questo, ma scorgiamo nelle posizioni delle componenti ‘Essere Comunisti’ ed ‘Ernesto’ una coincidenza tra ‘autonomia’ e salvaguardia della forma-partito di Rifondazione: bisognerebbe aprirsi maggiormente invece e lavorare, all’interno della confederazione, all’unità dei comunisti su basi programmatiche. E infatti, nonostante la prevalenza di sentimenti univoci su autonomia, identità e simboli del popolo del PRC e del PdCI, non si è riuscito di contrastare un’egemonia affatto conquistata sul campo delle componenti non comuniste della confederazione.

 

Almeno due sono i gravi errori, per la Sinistra confederata, commessi sinora, sullo sfondo di un chiacchiericcio verbalistico dei vari pezzi della cosiddetta sinistra ‘diffusa’:

- il premierato a Bertinotti, cioè ad un eclettico giocoliere delle scene mediatiche, inventore delle più balzane formulette verbali a sostegno di tesi politico-tattiche anche contrapposte tra di loro, rappresentante  massimo del disegno neocostituente del soggetto ‘unico’ e non ‘unitario’.

- La scomparsa dei simboli di partito dal simbolo elettorale dell’Arcobaleno: a prescindere finanche dalla fidelizzazione per la falce e martello di una buona fetta dell’elettorato di sinistra, ciò è segno di una preoccupante subalternità culturale e dunque politica ai settori più moderati della confederazione, come la Sinistra Democratica di Mussi, aderente al socialismo europeo, ma di cui non è dato di conoscere né lo sarà nell’immediato futuro, la reale consistenza elettorale.

 

Il PdCI  si è battuto sino all’ultimo per evitare almeno il secondo errore, ma ha dovuto capitolare scegliendo la lealtà unitaria piuttosto che una rottura su ciò che sarebbe apparso un ‘formalismo’ non di sostanza ( e che invece è, nell’analisi proposta, tutt’altro!).

Ma ora c’è da recuperare, pur nell’agone elettorale e con una battaglia da condurre unitariamente; può essere d’aiuto la coraggiosa scelta di stampare un quotidiano, c’è da recuperare la propria diversità, c’è da radicarsi nei territori, c’è da entrare in tutte le lotte e le vertenze sociali, c’è da lavorare da comunisti, con lo stile comunista. Le rappresentanze parlamentari e istituzionali da sole non sono sufficienti; così come una lotta senza rappresentatività è oggi destinata alla sconfitta.

Consapevoli di questo, i comunisti lavoreranno sui due lati di una stessa questione, quella della costruzione del nuovo socialismo del XXI secolo, contro tutti i fondamentalisti dell’americanizzazione.

 

fe.d., febbraio 2008

 

 

 

 

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