linea Rossa
(nr.17 - ottobre-novembre 2000)


UN COLPO DI STATO CONTRO I LAVORATORI

L'atto d'accusa contro le mene e le violenze della  cosiddetta 'opposizione democratica' jugoslava nelle corrispondenze (pubblicate e censurate) di Fulvio Grimaldi


Con l’istigazione degli Stati Uniti e dei paesi Nato, in Jugoslavia è in corso un colpo di stato destinato a ulteriormente smembrare la Federazione e ad integrarla, dopo dieci anni di resistenza ad aggressioni, pressioni di ogni genere, sanzioni economiche, micidiali campagne di disinformazione e diffamazione, nel sistema economico e militare imperialista, sul modello di quanto è stato fatto a 10 paesi dell’est europeo, frantumati, diventati 28, uno più piccolo e più debole dell’altro, uno più povero e autoritario dell’altro. Facendo leva sulla disperazione di una popolazione ostracizzata, massacrata dalle bombe e dagli avvelenamenti, affamata, senza lavoro, minacciata di ulteriori punizioni militari, nonché sulla prospettiva di un ritorno alla normalità con la promessa della fine dell’embargo, la Nato ha attivato i suoi rappresentanti all’interno del paese per rovesciare con la violenza le istituzioni parlamentari legittime ed imporre un regime di autentico terrore. Viene fuori ora quanto avevo visto e scritto giorni fa da Belgrado: che gli elementi guida della sollevazione erano migliaia di membri di squadre fascistoidi, agli ordini degli esponenti più squalificati, reazionari e servili verso l’Occidente. Sono gli stessi che ora controllano tutti i mezzi d’informazione (prima c’era un pluralismo a favore dell’opposizione), gli enti di Stato, le municipalizzate, le fabbriche, i sindacati, da cui, con la violenza al limite del linciaggio, sono stati “democraticamente” estromessi i titolari, vicini al Partito socialista o meno. Le forze da anni finanziate e istruite dall’Occidente effettuano una selvaggia epurazione di tutti coloro che rifiutano la resa all’imperialismo euro-americano, la fine dell’indipendenza e delle conquiste sociali ancora conservate, pur tra contraddizioni e cedimenti, che però vanno valutati facendo la tara sulle scientifiche satanizzazioni dei media imperialistici collaudate in termini identici fin dai tempi di Fidel Castro, Ho Ci Min, Yomo Keniatta, Makarios e tanti altri. I sindacalisti della Zastava, gli stessi che, salutati come compagni, furono ospiti del nostro giornale, i dirigenti degli enti pubblici, dell’apparato statale, delle società statali e miste, delle istituzioni tutte, vengono maltrattati, costretti alle dimissioni e cacciati dai posti di lavoro. I loro uffici distrutti. Stazioni televisive, giornali, radio sono tutti sotto controllo di quella che si definisce Opposizione Democratica Serba, negando ai milioni che hanno votato per una maggioranza di sinistra nel parlamento federale e in quello serbo - del resto sciolti con la minaccia di occupazione, incendi e violenze personali da parte di una folla opportunamente manipolata e guidata dalle teste rasate di Djndjic e dai militanti di Otpor - la possibilità di esprimersi. Viene rivelato che l’assalto al parlamento era stato pianificato con largo anticipo e guidato da elementi paramilitari facenti capo allo stesso Ilic e al vero uomo forte dell’operazione, Zoran Djindjic, un rinnegato da sempre noto come uomo dei tedeschi e degli americani. Tutto sta ad indicare che Vojislav Kostunica non è che la vetrina, riempita strumentalmente di parole d’ordine nazionaliste e anti-Nato, di un complotto che ha per veri ispiratori e capi le forze più reazionarie e filo-occidentali del paese, a partire dal Gruppo dei 17 economisti, fiduciari del Fondo monetario internazionale. Il concorso di massa all’operazione di conquista Nato della Federazione Jugoslava e l’assenza di una reazione popolare al colpo di mano non devono far credere che, come in troppi hanno scritto, si tratti di una “rivoluzione democratica”. Si tratta piuttosto di un gigantesco inganno che ha potuto illudere milioni di persone soltanto in virtù di una decennale persecuzione da parte della cosiddetta “comunità internazionale”, delle promesse di un futuro benessere per tutti garantito dal liberismo globalizzato. Non credo che quanto si sta verificando in Jugoslavia rappresenti una conquista democratica. Non credo che i comunisti si possano rallegrare dei successi di forze reazionarie al soldo dell’imperialismo. Non credo che si possa plaudire ai telegrammi di felicitazione di Xavier Solana, come ha fatto il cosiddetto movimento degli studenti di Otpor, che fino a ieri inalberava bandiere rosse e oggi inalbera bandiere nere con - mistificando - al centro un pugno e inneggia al “modello occidentale”. Non credo che ci si debba affiancare al giubilo di coloro che, pur riempiendosi la bocca di parole d’ordine antiliberiste, poi non rifiutano di tenere rapporti fraterni con una presunta “società civile” jugoslava, per sua stessa ammissione ispirata e finanziata da Washington, anche attraverso speculatori e destabilizzatori economici come George Soros. Non credo si possa trarre soddisfazione dal fatto che un popolo europeo, che ha resistito eroicamente alla più feroce aggressione bellica ed economica degli ultimi cinquant’anni, sia avviato sulla via della spoliazione capitalista e mafiosa. Non credo che i 700 milioni di dollari stanziati in due mesi da Washington per le opposizioni serbe e per il malavitoso Djukanovic, a parte la loro natura di interferenza e corruzione, aprano al popolo jugoslavo un futuro di maggiore giustizia sociale. Credo che il nostro partito non abbia maturato una sufficiente comprensione di quanto sta avvenendo nei Balcani e soprattutto, abbia perso di vista la contraddizione principale. Mi associo alla richiesta di tanti che sulla situazione in Jugoslavia si possa aprire un dibattito che faccia partecipe l’intero corpo del partito e si estenda a tutto il quadro internazionale, da troppo tempo negato alla nostra discussione, per quanto sempre più indissolubilmente legato ad ogni aspetto della nostra vita quotidiana, alla politica interna, all’assetto europeo. Chiudo ricordando le parole e gli occhi di coloro che in tutta questa terribile guerra non hanno fatto che soffrire, anche per colpa nostra, a perdere, a resistere. Coloro che con inaudita forza hanno rimesso in piedi una grande fabbrica autogestita, che con i nostri miseri aiuti hanno nutrito i figli degli operai disoccupati, dei profughi, che, senza nessuna discriminazione politica o etnica mai, hanno governato una rinascita e ora si trovano cacciati da posizioni, lavoro, case e minacciati di morte. Ci dicevano: fate sentire anche la nostra, di voci, in Italia. Erano voci di sinistra, sono state spazzate via dalla ”rivoluzione democratica” contro un regime che non si è difeso trucidando 90 rivoltosi (Palestina), o incarcerando e massacrando di botte 1000 manifestanti (Praga). Alla mia partenza i loro occhi mi seguivano come un naufrago guarda allontanarsi una barca.

LIBERAZIONE, 14 OTTOBRE 2000


 


L'articolo sottostante è stato inviato da Fulvio Grimaldi da Belgrado  a Liberazione e mai pubblicato
Articolo del 7/10/00

BELGRADO
Curioso come l'essere umano possa vivere un cataclisma e il giorno dopo muoversi, parlare, ridere, lavorare, giocare, come sempre. Semmai un po' stordito, come mi appare stamane la gente che se ne va per Belgrado. Tutto è cambiato, ma l'uomo resta inchiodato ai binari della sua normalità. Una forza? Una carenza? In ogni caso permette di sopravvivere. Un fatto è certo: l'euforia, il giubilo, ma anche la collera sono solo dentro ai cortei. Fuori, nello spazio della vita che continua, non ci sono.
Belgrado si è svegliata al suo tran tran di sempre, di giorno niente manifestazioni, assedi, qualche rappresaglia sì però, un negozio devastato, sedi di giornali governativi spazzati o incendiati, tappati in casa gli sconfitti, pieni di paura e bersagli di minacce telefoniche di morte (soprattutto a sindacalisti), disoccupati ai caffè come sempre, o sui marciapiedi a vendere residuati di benessere, impiegati frettolosi verso gli uffici (ci sarà ancora? Avrò ancora il mio posto?), operai alle fabbriche rabberciate del dopo-bombe dove oggi è giorno di paga e la distribuisce il sindacato indipendente, quello del 3-4%, insieme a un modulo imperativo di iscrizione.
Il mio risveglio è stato accompagnato dalla stonatura, per me almeno, dell'entusiasmo paradossalmente universale del mondo occidentale che, con ogni buona volontà, non riesco a condividere guardando in faccia gli amici, i compagni di qua. E vi giuro che si trattava di comunisti insoddisfatti già prima, di sindacalisti, non di "scherani di Milosevic". C'è stata l'apparizione, tra lo ieratico e lo spettrale, di Slobodan Milosevic che riconosce la sconfitta e si propone - suggerimento russo - a leader della nuova opposizione, visto che nei parlamenti federale e serbo la sua è tuttora una legittima e forte maggioranza.
Da tutti gli schermi - un coro senza più eccezioni a favore del nuovo potere - cola una soddisfazione un po' proterva, con i tamburellatori di Otpor, con la maglietta che dice "G17" (gli economisti dell'indirizzo thatcheriano), che aprono ogni telegiornale. Si alternano, graditi ospiti, i Clinton, i Blair, gli Schroeder, i Cook (virulento come sempre), una vampiresca Albright e tutto il resto della compagnia della brutta morte (per la Federazione jugoslava extra-Nato).
Il bassotto Nando ed io abbiamo, tra altre mille, una cosa in comune: sospettiamo, annusiamo che perlopiù l'amico dei nostri nemici e nostro nemico, o, meglio, che il nemico dei nostri amici è nostro nemico. Kostunica difende la serbità? Benissimo, ce n'è bisogno.
Ma Kostunica è anche un capitalista liberista e monarchico (vedere il suo programma, peraltro stilato dall'ultrà Djindjic, e dal "gruppo dei 17" iperliberisti come, pare, i suoi discorsi) e questo, nell'era della globalizzazione imperiale non si concilia molto con alcun nazionalismo che non sia difesa dell' identità, folklore, fanatismo etnico. Capitali stranieri, proclamano Otpor e il G17, avanti marsch! Lo dicono anche nelle interviste ai speranzosi giornali europei di sinistra. Significa che per tutto il paese varrà la legge del FMI, del WTO, della BM. Sul modello delle telecomunicazioni a suo tempo per metà cedute a Telecom Italia. Risultato: un dirigente intasca 50.000 dinari, un operaio 2000. Esito della partita: 25 a 1.
Sarà così alla Zastava, domani non più autogestita e a cui un futuro di bassi salari e alti investimenti stranieri è stato appena promesso da Otpor, dove invece si giocava col punteggio fisso di 5 a 1. E' vero, anche alla Zastava hanno scioperato, causando shock e delusione tra molti. Ma sono rimasti in fabbrica, non si sono uniti a nessun corteo e dichiaravano di scioperare perché la si facesse finita con la giostra dei risultati elettorali. Anche quella condotta dalla DOS.
Gli schermi filo-occidentali imperversano. Altra meraviglia da Far West: il Dipartimento di Stato ribadisce la taglia di 5 milioni di dollari per chi cattura o ammazza Milosevic. Poi Clinton e compari, si prodigano, però, in espressioni di affettuosità per "il povero popolo serbo che tanto ha sofferto", mica per le bombe, l'uranio, l'embargo, ma perché trascinato dal "dittatore" in dieci anni di guerre, tutte perse (ed è questo il rimprovero che gli fanno dalla piazza. Solo Otpor insiste sulla "repressione" e sulla "dittatura", sotto la quale, peraltro, ha operato, con lo stesso personale, fin dai tempi di Zajedno). E pensare che, prima, erano tutti un branco di feroci aggressori e pulitori etnici, da colpire senza pietà con 40.000 tonnellate di esplosivo. Quanto tempo è passato da quando i capi e i sicofanti delle "grandi democrazie" facevano tracimare la cattiveria di "Hitlerosevic" (che presto, vedrete, verrà sepolto da nuovi scandali ed orrori, sul tipo delle ormai dimenticate mistificazioni di Racak, Sarajevo, fosse comuni,ecc.) su tutto il popolo serbo. E il "bagno di sangue" che il regime avrebbe allestito in caso di rivolta? Oggi l'unica violenza è quella esercitata dagli epuratori democratici, a esercito e polizia sull'attenti. C'è mai stata una transizione, un rovesciamento totale così indolori?
Riflette il vice-ministro degli esteri, Zoran Novakovic, ancora al suo posto e che forse ci rimarrà, sempre che una fazione del Partito socialista del Montenegro, quella di Predrag Bulatovic, non passi con i vincitori. "Quando le stesse forze di oggi scesero in piazza per settimane, nel 96-97, cioè in piena dittatura, come si dice, forse Milosevic avrebbe dovuto dimettersi allora. Avrebbe salvato pelle, libertà, indipendenza, conquiste sociale del paese e, forse, ancora un ruolo per sé. Chissà come ci sarebbero rimasti i terroristi del Kosovo e la Nato e oggi il quadro sarebbe assai diverso. La maturità democratica di questo paese, esaltata dal confronto con i macelli israeliani o con i tanti golpe fascisti organizzati dagli USA, dal Nicaragua al Congo, dall'Iran di Mossadeq all'Italia delle stragi, al Cile, viene ribadita dalle forze armate che si sono messe agli ordini del nuovo potere. Decisione non proprio facile visto il nevrotico accanimento dei giudici dell'Aja anche contro i comandanti dell'esercito.
Intanto su questo Kostunica che biasima la Nato e fa il serbista "buono" si addensano le prime nuvole di origine atlantica.
Da Londra si insiste che il "dittatore" (un dittatore che ha permesso la costituzione della più grossa quinta colonna mai vista in un paese assediato) venga consegnato nelle grinfie della giudice Del Ponte o, quanto meno, lo si incarceri, processi ed impicchi in Jugoslavia. Piacerebbe anche che facesse la fine di Dragoljub Milanovic, direttore generale della TV di Stato, e del suo commentatore principale, ridotti in fin di vita da una folla di picchiatori e poi "scomparsi" dall'ospedale. Qualche osservatore, poi, incomincia ad arricciare il naso davanti ai pronunciamenti nazionalisti di Kostunica e a consigliare di centellinare la rimozione delle sanzioni. Clinton non ha forse detto ieri che gli USA, "ora men che mai si ritereranno dai Balcani; anzi si impegneranno molto di più sia nella ricostruzione (che non si illudano gli europei! Ndr), sia nel controllo democratico (quattrini agli amici, armate ai confini. Ndr)" E anche Blair ha messo le mani avanti: "Il comunismo non sparisce in una notte. Sono oltre due milioni ad aver votato per il comunismo. Ci vorranno anni per sradicarlo".
Ancora il sottosegretario Novakovic, che ha partecipato agli incontnri del ministro degli esteri Boris Ivanov:"Se nonostante il pandemonio dei risultati elettorali e i pogrom delle squadracce di Djndjic e di Otpor, è stata evitata la guerra civile, il merito va anche ai russi che sono riusciti ad imporre a Djindjic l'accordo tra Milosevic e Kostunica. La mediazione tra un Kostunica presidente e un Milosevic libero, incolume e forse futuro interlocutore politico è tutta da ascrivere a Putin ed Ivanov che, in questo modo, si sono assicurati il rispetto di entrambe le parti e, ancor più, del paese, mentre in Europa non si faceva che abbaiare in coro con gli integralisti americani. Bisogna ora vedere come reagiranno i vari burattinai alle spalle di un Kostunica totalmente privo di una base organizzata, compreso il mafioso Djukanovic.
Non c'è modo migliore per capire chi siano queste masse affamate di Occidente che, incontrastate, hanno rovesciato la Jugoslavia come un guanto, che immergersi in uno dei loro cortei serali da l00.000 persone. Pare di stare in una di quelle fiumane al fischietto e al clackson che animano i dopopartita di Roma o Lazio. Stasera sgorgano, ricordando momentaneamente un'adunata giubilare, dalla cattedrale di Belgrado dove Gaspodin Pavle II, il vecchio patriarca ortodosso, si è tolto dalle scarpe il cinquantennale sassolone della laicizzazione della società, benedicendo Kostunica e tutti coloro che lo seguono. Re, Chiesa e Famiglia sono i pilastri del programma di Kostunica. A organizzare, lanciare le parole d'ordine, scorazzare con squadroni di moto o con auto che inalberano bandiere serbe e icone della madonna, sono sempre i giovanotti, italianamente griffati e cellularizzati di Otpor, reduci (ammissione loro) da una corso di 10 giorni a Sofia condotto dalla CIA, oppure quei simil-naziskin del servizio d'ordine di Djndjic. Ma nel grosso c'è davvero di tutto: moltissimi ragazzini sbrindellati delle periferie, famigliole popolari, signore cotonate piccolo-borghesi, impiegati un po' lisi, lavoratori in tute bisunte. Una striscia umana davvero interclassista.
Su tutto i vessilli di Otpor, ieri rossi, oggi neri.
Curiosi questi di Otpor che, sotto il loro pugno chiuso bianco, inneggiano al ritorno dell'Occidente. Qualcuno di loro ha la maglietta della padovana Radio Sherwood. Le vetrine infrante della boutique di Marko Milosevic (un negozietto di 70 metri quadrati, altro che "catena"), le carcasse bruciate delle auto sotto il Parlamento, la sede della TV ridotta in macerie, molte sedi del Partito Socialista incendiate, sono segni di collera che contrastano con l'umore bonaccione di queste sfilate. Come le scritte sui muri della celebre Kneza Mihaila, zeppa dei negozi delle firme italiane ed americane cui tutti pensano di poter accedere domani, quando sarà arrivato il bengodi capitalista. Fino a ieri si leggeva "Nato vaffanculo", "Clinton al bagno nel Danubio", "Usa ci fai un baffo". Oggi:"Milosevic sparati", "Buongiorno Mondo". Dappertutto il pugnetto di Otpor e una finta targa automobilistica addosso alle persone o ai muri:"YU-24-09-00", la data delle elezioni.
La BBC manda in onda il ministro degli esteri Robin Cook. Quello che ha sempre detto di volersi mangiare Milosevic in fricassea. C'è, sconcertante, un fuori onda in diretta. Cook che fa le prove: "Il governo britannico riconosce Kostunica come capo del governo. no, come capo dello Stato.Ma cosa diavolo è quest'uomo, capo del governo o capo dello Stato?" Poi si ricompone e risbaglia:"Il nostro governo riconosce Kostunica capo del governo jugoslavo". Già, è la regina Elisabetta fa invece il premier.
Non siamo i soli ad avere una classe dirigente di cannibali da operetta.
Seduta per terra un'anziana, bella contadina in nero vende grandi e spampanati fiori di carta. Da lontano un soffio di tramontana sostituisce gli onnipresenti Ramazzotti e Spice Girls con il grido del grande Bora Djeordjevic. La sua è una voce malata, ventrale, straziata, maledetta. Grida di "amata patria". Pare che il cantautore dei "Riblia Ciorba" stia morendo in un mare di birra. Il canto si perde in un cielo senza stelle.
Alle stelle sale solo l'inflazione. Il mercato valutario ha salutato l'arrivo del libero mercato facendo crollare il dinaro da 28 per un marco dell'altro ieri, ai 42 di oggi. Il latte è aumentato di tre volte. Lo stipendio medio resta inchiodato a 80.000 lire. Dei settecento milioni di dollari stanziati dagli USA per la DOS negli ultimi due mesi, neanche un cent è arrivato a chi non balla al suono delle stelle e strisce. Dalla Zastava, stella polare per operai in mezzo mondo, arrivano notizie da brivido. Sputi e schiaffi ai nostri compagni sindacalisti. C'è poco da ridere, Belgrado.


scrivete a linearossa@virgilio.it

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