Il Comitato Politico Nazionale del Prc,
chiamato a fornire la propria valutazione in merito alla costituzione di un
Partito della Sinistra Europea (S.E), esprime viva preoccupazione per il ritardo
con cui su tale vicenda è stata avviata la discussione nel partito e per il
conseguente precipitare delle decisioni. Propone dunque i seguenti rilievi di
metodo e di merito.
Per quanto la costruzione di una prospettiva europea da offrire alla nostra
azione politica fosse da tempo all’ordine del giorno, sancita tra l’altro
nelle Tesi approvate dal nostro ultimo congresso, si deve tuttavia rilevare, in
primo luogo, che il percorso - lungo il quale ha acquistato concretezza la
proposta in questione - ha sostanzialmente riguardato una parte del gruppo
dirigente e non ha investito il partito nel suo complesso, non consentendo ad
esso, nei tempi e nelle modalità dovute, la necessaria approfondita
riflessione. La Direzione ha discusso solo 18 giorni dopo l’incontro di
Berlino, senza peraltro avere a disposizione alcuna documentazione; nella
medesima precarietà di informazioni si sono svolti in tutta fretta i comitati
politici federali. E i membri del Cpn hanno potuto prendere visione solo in
questi giorni della proposta di Manifesto politico del costituendo partito (un
documento che peraltro, accanto ad alcune significative acquisizioni, presenta
ancora nel complesso elementi di genericità su questioni di fondo) nonché di
una bozza di Statuto che su punti dirimenti non ha registrato una posizione
comune (pubblicati da ‘Liberazione’ rispettivamente il 22 febbraio e il 3
marzo scorsi). L’accelerazione impressa nell’ultimo mese ha così costretto
il processo decisionale in tempi troppo esigui perché, data la complessità e
problematicità dell’argomento, potesse manifestarsi un’opinione
adeguatamente meditata e sorretta da una tempestiva partecipazione di tutto il
partito. Ciò configura nei fatti una deprecabile torsione verticistica, che
contraddice lo spirito democratico cui deve essere ispirata la nostra vita
interna, a maggior ragione quando sono in questione scelte di così grande
spessore strategico. Oggi, sulla base di una sequenza già abbondantemente
svolta e quasi ormai in dirittura di arrivo, ci si trova a dover dare un
giudizio che inevitabilmente assumerà l’infelice valore di una ratifica o di
una sconfessione.
Tanto più serie appaiono le lesioni del metodo democratico e tanto più
impropria l’urgenza imposta alla decisione, se solo si considera che
quest’ultima concerne niente meno che la costituzione di un nuovo partito.
Occorre in proposito sottolineare che un esito così esplicito non è contenuto
nella più volte menzionata Tesi 35, approvata dal 5° Congresso del Prc, la
quale – in termini del tutto condivisibili – sollecita la “costruzione di
un nuovo soggetto politico europeo per unire (…) le forze della sinistra
comunista, antagonista e alternativa su scala continentale (…) nelle loro
diversità politiche e organizzative”: come si vede, nella tesi è stato
saggiamente prefigurato il perseguimento di una struttura politica a dimensione
dell’intero continente assai meno stringente, non caratterizzata da una
“fusione organizzativa” e da un “compattamento su base ideologica”, come
viceversa dovrebbe avvenire nel caso della creazione di un partito propriamente
detto.
Gli obiettivi politici di tale indicazione sono evidenti. Essi stanno insieme
– ribadiamolo per chiarezza – alle ragioni per cui siamo favorevoli alla
costruzione di una soggettività politica europea che coinvolga tutte le forze
che si collocano a sinistra dell’Internazionale socialista. L’impronta
moderata e di classe impressa all’Europa dalle esigenze dei cosiddetti
‘poteri forti’ di questo polo capitalistico va contrastata al suo giusto
livello, non retrocedendo rispetto ad una dimensione politica ed economica che
– peraltro già da lungo tempo - il capitale ha già guadagnato e che, al
contrario, le lotte dei lavoratori faticano a conquistare, pur continuando a
contestarne le ricadute reazionarie nei loro specifici nazionali.
Conseguentemente, quel che si è sin qui cercato in Europa - e che si dovrebbe
continuare a cercare - è l’attivazione di un processo di convergenza che non
miri ad aggregare immediatamente e a qualunque costo una sola ed omogenea
sensibilità, ma riesca a raccogliere - nei tempi che tale processo richiede e
con un’opportuna gradazione degli obiettivi programmatici e strategici - il più
vasto spettro di forze (comuniste, antagoniste, di alternativa), evitando in
questo modo strappi e tensioni involutive tra i partiti coinvolti e
all’interno di questi stessi partiti. In questa prospettiva, dovremmo essere
sollecitati ad una forte iniziativa di coordinamento e accumulazione delle forze
che sia di vasto respiro (certamente attenta ma non unicamente legata a
considerazioni di tipo elettorale o finanziario), entro cui sia comunque
preservata, in rapporto al grado di integrazione raggiunto, l’autonomia di
ciascun singolo partito.
Non sembra affatto che la proposta di costituzione del Partito della sinistra
europea, così come viene configurandosi anche a seguito dell’iniziativa del
Prc, soddisfi i suddetti fondamentali requisiti. Il punto critico saliente non
sta nell’urgenza dello strumento politico perseguito, bensì nelle modalità
di fondo con cui si intende conseguirlo: modalità che, al contrario, rischiano
seriamente di comprometterlo. In questione è la grande fragilità del passo di
avvio. Detto in estrema sintesi, siamo di fronte ad una proposta che non
prefigura un partito europeo, ma un partito circoscritto ad alcuni paesi
dell’Europa occidentale. Basti considerare che, su una sessantina di partiti
comunisti e della sinistra anticapitalistica attivi in tutto il continente
europeo, solo 11 hanno sottoscritto la piattaforma inaugurata a Berlino. E, tra
questi, già uno dei maggiori di essi (il Pc ceco-moravo) ha ritirato la propria
adesione. Con differenti motivazioni, non condividono l’attuale precipitazione
organizzativa il Pc portoghese, quello greco (Kke), l’Akel di Cipro,
praticamente la totalità dei Pc dell’Est Europa, i partiti della cosiddetta
‘Sinistra verde nordica’, vari gruppi trotskisti. Constatiamo, dunque, che
la parte di gran lunga più consistente delle forze politiche a sinistra
dell’Internazionale Socialista (complessivamente si tratta di un milione di
iscritti e di 20 milioni di elettori) resta fuori dal progetto: stiamo parlando
di partiti che hanno reali dimensioni ed influenza di massa, alcuni dei quali
riscuotono nei loro rispettivi paesi percentuali di consenso elettorale a due
cifre. In questi casi, il numero fa sostanza ed è fedele specchio di un metodo
unitario: si noti che, ad esempio, la fondazione del partito europeo che i Verdi
hanno celebrato il 22 febbraio scorso a Roma vede riuniti 32 membri effettivi più
7 osservatori provenienti da 36 paesi europei (appartenenti all’UE e non)
inclusi i Balcani, l’Europa dell’Est e le Repubbliche europee dell’ex Urss.
Questo può dirsi davvero un passaggio politico maturo.
Nel nostro caso, invece, il percorso si presenta irto di difficoltà. Se è vero
che nel gruppo promotore figurano partiti che appartengono ai principali paesi
dell’Europa occidentale (Italia, Germania, Francia, Spagna), va altresì detto
che la loro consistenza elettorale è purtroppo assai limitata. Tra l’altro,
nel mese di marzo sopraggiungono delicatissime scadenze elettorali (in Francia,
Spagna e Grecia) il cui esito non mancherà di incidere e di assumere il valore
di una verifica politica. Ora, proprio a causa dell’accelerazione del processo
fondativo del Partito della Sinistra Europea, si aggiungono ulteriori tensioni e
lacerazioni: per prendere proprio il caso del nostro partito, estremamente
significativo al riguardo è l’esito del voto – 21 favorevoli, 17 contrari e
1 astenuto – della Direzione nazionale.
E’ più che lecito chiedersi: perché non prendere atto della fragilità,
delle difficoltà del processo in corso? Non sarebbe più saggio rinviare ogni
formalizzazione fondativa del partito europeo per conferire a tale progetto
maggiore solidità e tempi non ‘geologici’ ma tuttavia adeguati alla sua
complessità? Non sarebbe più utile trasformare il congresso costitutivo
dell’8 e 9 maggio a Roma in un meeting al quale far partecipare tutta la
sinistra di alternativa europea e lanciare così – in modo unitario – la
campagna elettorale? Si replica:’Meglio poco subito, piuttosto che niente’.
Si tratta purtroppo di una risposta solo apparentemente sensata. Per quanto
“aperto” si autodefinisca il processo, esso si presenta nei fatti come
viziato da un approccio selettivo, che – anziché essere suscettibile di
sviluppi virtuosi – rischia di cristallizzare ulteriormente la frantumazione,
aggregando una sensibilità limitata e già data; e approfondendo differenze
anch’esse già date. A tali divergenze sono certamente imputabili le difficoltà
di un’azione politica coordinata all’interno della Sinistra unitaria europea
(GUE): ma, proprio perché originata da vere divergenze politiche, sarebbe
pericolosamente illusorio pensare che tale mancanza di efficacia si presti ad
essere sciolta nel solvente di formule organizzative.
Sulla base delle riflessioni sopra esposte, il Comitato Politico Nazionale del
Prc propone:
- di rinviare il processo di fondazione del Partito della Sinistra Europea a
dopo le elezioni europee, affinché le lacerazioni e divisioni emerse sulla
questione in seno al GUE non si riflettano negativamente sulla campagna
elettorale di tutta la sinistra alternativa europea;
- di promuovere la stesura di un documento che può essere condiviso da tutte le
forze del GUE e dalla grande maggioranza dei partiti comunisti e di sinistra
alternativa dei 25 paesi coinvolti nelle elezioni del 13 giugno, nel quale si
ribadiscano alcuni punti di lavoro comune (lotta contro il capitalismo ed il
neoliberismo, difesa della pace, dei diritti dei lavoratori, dello stato
sociale, una battaglia comune sul potere d’acquisto dei salari e delle
pensioni), che valga da documento politico programmatico in vista delle elezioni
europee, da lanciare l’8-9 maggio a Roma;
- di coinvolgere, dopo le elezioni europee, tutto il partito in un dibattito
approfondito e articolato per la costruzione di un soggetto politico unitario di
tutta la sinistra comunista e di alternativa europea, che raccolga le istanze
dei movimenti di massa sviluppatisi in questi anni contro il neoliberismo e le
guerre imperialiste, che sia attento al ruolo, alle forme, ai contenuti da
assumere, sia rispetto all’Unione Europea che alle singole realtà nazionali,
un soggetto politico su basi continentali, permanente e strutturato,
politicamente non subordinato alle istituzioni UE.
Claudio Grassi
Bianca Bracci Torsi
Guido Cappelloni
Bruno Casati
Gianni Favaro
Damiano Gagliardi
Rita Ghiglione
Gianluigi Pegolo
Fausto Sorini
Giuseppina Tedde
Comitato politico nazionale 6 – 7 marzo 2004
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