Documento presentato al CPN del PRC del 6-7 marzo dall'area dell'"Ernesto"

 

Il Comitato Politico Nazionale del Prc, chiamato a fornire la propria valutazione in merito alla costituzione di un Partito della Sinistra Europea (S.E), esprime viva preoccupazione per il ritardo con cui su tale vicenda è stata avviata la discussione nel partito e per il conseguente precipitare delle decisioni. Propone dunque i seguenti rilievi di metodo e di merito.

Per quanto la costruzione di una prospettiva europea da offrire alla nostra azione politica fosse da tempo all’ordine del giorno, sancita tra l’altro nelle Tesi approvate dal nostro ultimo congresso, si deve tuttavia rilevare, in primo luogo, che il percorso - lungo il quale ha acquistato concretezza la proposta in questione - ha sostanzialmente riguardato una parte del gruppo dirigente e non ha investito il partito nel suo complesso, non consentendo ad esso, nei tempi e nelle modalità dovute, la necessaria approfondita riflessione. La Direzione ha discusso solo 18 giorni dopo l’incontro di Berlino, senza peraltro avere a disposizione alcuna documentazione; nella medesima precarietà di informazioni si sono svolti in tutta fretta i comitati politici federali. E i membri del Cpn hanno potuto prendere visione solo in questi giorni della proposta di Manifesto politico del costituendo partito (un documento che peraltro, accanto ad alcune significative acquisizioni, presenta ancora nel complesso elementi di genericità su questioni di fondo) nonché di una bozza di Statuto che su punti dirimenti non ha registrato una posizione comune (pubblicati da ‘Liberazione’ rispettivamente il 22 febbraio e il 3 marzo scorsi). L’accelerazione impressa nell’ultimo mese ha così costretto il processo decisionale in tempi troppo esigui perché, data la complessità e problematicità dell’argomento, potesse manifestarsi un’opinione adeguatamente meditata e sorretta da una tempestiva partecipazione di tutto il partito. Ciò configura nei fatti una deprecabile torsione verticistica, che contraddice lo spirito democratico cui deve essere ispirata la nostra vita interna, a maggior ragione quando sono in questione scelte di così grande spessore strategico. Oggi, sulla base di una sequenza già abbondantemente svolta e quasi ormai in dirittura di arrivo, ci si trova a dover dare un giudizio che inevitabilmente assumerà l’infelice valore di una ratifica o di una sconfessione.

Tanto più serie appaiono le lesioni del metodo democratico e tanto più impropria l’urgenza imposta alla decisione, se solo si considera che quest’ultima concerne niente meno che la costituzione di un nuovo partito. Occorre in proposito sottolineare che un esito così esplicito non è contenuto nella più volte menzionata Tesi 35, approvata dal 5° Congresso del Prc, la quale – in termini del tutto condivisibili – sollecita la “costruzione di un nuovo soggetto politico europeo per unire (…) le forze della sinistra comunista, antagonista e alternativa su scala continentale (…) nelle loro diversità politiche e organizzative”: come si vede, nella tesi è stato saggiamente prefigurato il perseguimento di una struttura politica a dimensione dell’intero continente assai meno stringente, non caratterizzata da una “fusione organizzativa” e da un “compattamento su base ideologica”, come viceversa dovrebbe avvenire nel caso della creazione di un partito propriamente detto.
Gli obiettivi politici di tale indicazione sono evidenti. Essi stanno insieme – ribadiamolo per chiarezza – alle ragioni per cui siamo favorevoli alla costruzione di una soggettività politica europea che coinvolga tutte le forze che si collocano a sinistra dell’Internazionale socialista. L’impronta moderata e di classe impressa all’Europa dalle esigenze dei cosiddetti ‘poteri forti’ di questo polo capitalistico va contrastata al suo giusto livello, non retrocedendo rispetto ad una dimensione politica ed economica che – peraltro già da lungo tempo - il capitale ha già guadagnato e che, al contrario, le lotte dei lavoratori faticano a conquistare, pur continuando a contestarne le ricadute reazionarie nei loro specifici nazionali. Conseguentemente, quel che si è sin qui cercato in Europa - e che si dovrebbe continuare a cercare - è l’attivazione di un processo di convergenza che non miri ad aggregare immediatamente e a qualunque costo una sola ed omogenea sensibilità, ma riesca a raccogliere - nei tempi che tale processo richiede e con un’opportuna gradazione degli obiettivi programmatici e strategici - il più vasto spettro di forze (comuniste, antagoniste, di alternativa), evitando in questo modo strappi e tensioni involutive tra i partiti coinvolti e all’interno di questi stessi partiti. In questa prospettiva, dovremmo essere sollecitati ad una forte iniziativa di coordinamento e accumulazione delle forze che sia di vasto respiro (certamente attenta ma non unicamente legata a considerazioni di tipo elettorale o finanziario), entro cui sia comunque preservata, in rapporto al grado di integrazione raggiunto, l’autonomia di ciascun singolo partito.

Non sembra affatto che la proposta di costituzione del Partito della sinistra europea, così come viene configurandosi anche a seguito dell’iniziativa del Prc, soddisfi i suddetti fondamentali requisiti. Il punto critico saliente non sta nell’urgenza dello strumento politico perseguito, bensì nelle modalità di fondo con cui si intende conseguirlo: modalità che, al contrario, rischiano seriamente di comprometterlo. In questione è la grande fragilità del passo di avvio. Detto in estrema sintesi, siamo di fronte ad una proposta che non prefigura un partito europeo, ma un partito circoscritto ad alcuni paesi dell’Europa occidentale. Basti considerare che, su una sessantina di partiti comunisti e della sinistra anticapitalistica attivi in tutto il continente europeo, solo 11 hanno sottoscritto la piattaforma inaugurata a Berlino. E, tra questi, già uno dei maggiori di essi (il Pc ceco-moravo) ha ritirato la propria adesione. Con differenti motivazioni, non condividono l’attuale precipitazione organizzativa il Pc portoghese, quello greco (Kke), l’Akel di Cipro, praticamente la totalità dei Pc dell’Est Europa, i partiti della cosiddetta ‘Sinistra verde nordica’, vari gruppi trotskisti. Constatiamo, dunque, che la parte di gran lunga più consistente delle forze politiche a sinistra dell’Internazionale Socialista (complessivamente si tratta di un milione di iscritti e di 20 milioni di elettori) resta fuori dal progetto: stiamo parlando di partiti che hanno reali dimensioni ed influenza di massa, alcuni dei quali riscuotono nei loro rispettivi paesi percentuali di consenso elettorale a due cifre. In questi casi, il numero fa sostanza ed è fedele specchio di un metodo unitario: si noti che, ad esempio, la fondazione del partito europeo che i Verdi hanno celebrato il 22 febbraio scorso a Roma vede riuniti 32 membri effettivi più 7 osservatori provenienti da 36 paesi europei (appartenenti all’UE e non) inclusi i Balcani, l’Europa dell’Est e le Repubbliche europee dell’ex Urss. Questo può dirsi davvero un passaggio politico maturo.

Nel nostro caso, invece, il percorso si presenta irto di difficoltà. Se è vero che nel gruppo promotore figurano partiti che appartengono ai principali paesi dell’Europa occidentale (Italia, Germania, Francia, Spagna), va altresì detto che la loro consistenza elettorale è purtroppo assai limitata. Tra l’altro, nel mese di marzo sopraggiungono delicatissime scadenze elettorali (in Francia, Spagna e Grecia) il cui esito non mancherà di incidere e di assumere il valore di una verifica politica. Ora, proprio a causa dell’accelerazione del processo fondativo del Partito della Sinistra Europea, si aggiungono ulteriori tensioni e lacerazioni: per prendere proprio il caso del nostro partito, estremamente significativo al riguardo è l’esito del voto – 21 favorevoli, 17 contrari e 1 astenuto – della Direzione nazionale.
E’ più che lecito chiedersi: perché non prendere atto della fragilità, delle difficoltà del processo in corso? Non sarebbe più saggio rinviare ogni formalizzazione fondativa del partito europeo per conferire a tale progetto maggiore solidità e tempi non ‘geologici’ ma tuttavia adeguati alla sua complessità? Non sarebbe più utile trasformare il congresso costitutivo dell’8 e 9 maggio a Roma in un meeting al quale far partecipare tutta la sinistra di alternativa europea e lanciare così – in modo unitario – la campagna elettorale? Si replica:’Meglio poco subito, piuttosto che niente’. Si tratta purtroppo di una risposta solo apparentemente sensata. Per quanto “aperto” si autodefinisca il processo, esso si presenta nei fatti come viziato da un approccio selettivo, che – anziché essere suscettibile di sviluppi virtuosi – rischia di cristallizzare ulteriormente la frantumazione, aggregando una sensibilità limitata e già data; e approfondendo differenze anch’esse già date. A tali divergenze sono certamente imputabili le difficoltà di un’azione politica coordinata all’interno della Sinistra unitaria europea (GUE): ma, proprio perché originata da vere divergenze politiche, sarebbe pericolosamente illusorio pensare che tale mancanza di efficacia si presti ad essere sciolta nel solvente di formule organizzative.

Sulla base delle riflessioni sopra esposte, il Comitato Politico Nazionale del Prc propone:
- di rinviare il processo di fondazione del Partito della Sinistra Europea a dopo le elezioni europee, affinché le lacerazioni e divisioni emerse sulla questione in seno al GUE non si riflettano negativamente sulla campagna elettorale di tutta la sinistra alternativa europea;
- di promuovere la stesura di un documento che può essere condiviso da tutte le forze del GUE e dalla grande maggioranza dei partiti comunisti e di sinistra alternativa dei 25 paesi coinvolti nelle elezioni del 13 giugno, nel quale si ribadiscano alcuni punti di lavoro comune (lotta contro il capitalismo ed il neoliberismo, difesa della pace, dei diritti dei lavoratori, dello stato sociale, una battaglia comune sul potere d’acquisto dei salari e delle pensioni), che valga da documento politico programmatico in vista delle elezioni europee, da lanciare l’8-9 maggio a Roma;
- di coinvolgere, dopo le elezioni europee, tutto il partito in un dibattito approfondito e articolato per la costruzione di un soggetto politico unitario di tutta la sinistra comunista e di alternativa europea, che raccolga le istanze dei movimenti di massa sviluppatisi in questi anni contro il neoliberismo e le guerre imperialiste, che sia attento al ruolo, alle forme, ai contenuti da assumere, sia rispetto all’Unione Europea che alle singole realtà nazionali, un soggetto politico su basi continentali, permanente e strutturato, politicamente non subordinato alle istituzioni UE.

Claudio Grassi
Bianca Bracci Torsi
Guido Cappelloni
Bruno Casati
Gianni Favaro
Damiano Gagliardi
Rita Ghiglione
Gianluigi Pegolo
Fausto Sorini
Giuseppina Tedde





Comitato politico nazionale 6 – 7 marzo 2004

 

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