"Georgij, che è successo? Credevo che fossi un vero amico... Da dove sono spuntati questi personaggi? Avresti potuto almeno avvertirmi dei cambiamenti". Nikita Chruscev, segretario del Comitato Centrale e capo del comitato di Mosca del partito, era davvero preoccupato. Ma anche il suo interlocutore Georgij Malenkov, membro di lunga data del Politburò come responsabile del lavoro con i quadri, era rimasto fortemente sorpreso dalla promozione di uomini nuovi ai vertici del partito in base alle decisioni del XIX Congresso appena conclusosi. Stalin di solito si consultava con loro e con gli altri suoi più stretti collaboratori prima di effettuare cambiamenti di quadri. Stavolta, invece, aveva tenuto segrete le sue intenzioni fino all’ultimo momento. Fu un duro colpo e Malenkov lo confessò apertamente a Nikita, cui non nascondeva nulla, considerandolo dei "suoi". Malenkov, come anche gli altri componenti dell’Ufficio Politico, guardava Chruscev dall’alto in basso, tanto limitato e mediocre gli sembrava questo protetto di Stalin. Egli, infatti, conosceva bene l’atteggiamento reale del "capo" nei confronti di Nikita, cooptato nel Politburò solo per i suoi meriti "di attendente", capace di eseguire con rapidità e risolutezza ogni disposizione di Stalin, senza fermarsi di fronte a nulla e mostrando a volte un’inaudita crudeltà... Stalin, da parte sua, non dava alcun credito a Chruscev come uomo politico, memore evidentemente del suo passato trozkista e della sua inclinazione all’avventurismo di sinistra. Pertanto, anche gli altri membri dell’Ufficio Politico, che con gli anni avevano imparato ad afferrare al volo gli umori prevalenti del leader, manifestavano nei suoi confronti un atteggiamento a dir poco paternalistico...
Comunque, lo stesso Malenkov e gli altri esponenti dell’olimpo del partito erano preoccupati non meno di Chruscev dalla piega presa degli avvenimenti dopo il XIX congresso e ne avevano fondato motivo.
Il XIX congresso del partito, svoltosi nell’ottobre 1952, iniziò come di consuetudine nel modo più tranquillo: dopo il tradizionale rapporto al Comitato Centrale si susseguirono gli interventi, simili l’uno all’altro e tutti sulla falsariga delle ultimissime tesi espresse dal "grande leader e maestro", ma ad un tratto si profilò una autentica rivoluzione dei quadri! Stalin, che sembrava avere la massima fiducia nei suoi più vicini collaboratori, improvvisamente sferrò contro di loro un colpo micidiale... Propose, infatti, al congresso di votare per una composizione del Comitato Centrale fortemente allargata e rinnovata con l’ingresso di elementi pressoché sconosciuti. Al Plenum, inoltre, convocato subito dopo, venne aumentato di 2,5 volte il numero dei membri del Presidium del Comitato Centrale. In seguito a questo massiccio afflusso di giovani quadri, provenienti soprattutto dalle strutture locali, e di giovani studiosi di scienze sociali la "vecchia guardia" si ritrovò sostanzialmente in minoranza. Se si tiene presente che in quel plenum Stalin criticò apertamente Molotov e Mikojan, che sembravano essere i dirigenti a lui più vicini, escludendoli in tal modo dalla rosa dei suoi possibili successori, appare chiaro che la "vecchia guardia" aveva i giorni contati e stava per essere sostituita dalle nuove leve.
Il colpo fu davvero inatteso, anche se era stato preparato molto prima del congresso e Stalin non aveva neppure nascosto le sue intenzioni. Tuttavia i suoi collaboratori, giudicando evidentemente sulla base della loro indole, ritenevano che il leader ormai ultrasettantenne e in condizioni fisiche precarie difficilmente avrebbe osato effettuare drastici cambiamenti. Tanto più scioccanti e dolorosi risultarono per loro le sue ultime decisioni sull’avvicendamento dei quadri.
Chruscev, che aveva capito esattamente gli umori della maggioranza, non si recò per caso dall’influente Malenkov. Con la sua visita Nikita voleva far capire senza ombra di dubbio che nell’inevitabile scontro con i candidati di Stalin egli sarebbe stato dalla parte della "vecchia guardia". E il suo appoggio faceva comodo a Malenkov, visto che al congresso c’era stato un segnale allarmante e non reagire avrebbe significato l’accettazione delle decisioni assunte dalla "guida dei popoli" e la perdita imminente delle proprie cariche da parte di Malenkov e degli altri alti dirigenti della "vecchia guardia".
Nel maggio del 1948, dopo che Zhdanov aveva lasciato per motivi di salute la direzione della Segreteria del Comitato Centrale, furono nominati segretari del CC due rappresentanti della nuova generazione: A. Kuznecov, capo del comitato del partito di Leningrado, e P. Ponomarenko, primo segretario del CC del Partito Comunista Bielorusso. Al primo fu affidata la cura dei problemi dell’industria, al secondo quella dei problemi della pianificazione statale, delle finanze, del commercio e dei trasporti. Durante la discussione svoltasi nel Politburò su questo punto, Stalin affermò che occorreva cooptare nella Segreteria del CC del partito alcuni giovani dirigenti delle organizzazioni locali e repubblicane forniti di un’adeguata istruzione e della necessaria esperienza di lavoro. "Debbono far tesoro della nostra esperienza, finché siamo vivi noi, - sottolineò - e imparare a lavorare nella direzione centrale". Apparve evidente che Stalin intendeva candidare uno di loro alla sua successione. Molotov, il più vicino a Stalin ai vertici del partito, veniva escluso di fatto dalla cerchia dei pretendenti. Egli aveva sostituito la "guida dei popoli" durante la sua malattia e non si era dimostrato all’altezza di dirigere il partito e lo stato, la qual cosa segnò il suo destino politico. E non era in gioco solo la successione del leader. In una riunione ristretta Stalin propose senza mezzi termini a tutti i membri della direzione politica di selezionare fra i loro funzionari cinque o sei persone in grado di sostituirli quando il CC l’avesse ritenuto opportuno. Stalin rinnovò altre volte ancora questa sua richiesta, insistendo sulla necessità di soddisfarla. Naturalmente, queste proposte non piacevano ai membri del Politburò, abituati al potere, legati ad esso dagli onori e dai privilegi. Perché avrebbero dovuto essere messi in soffitta, proprio loro che avevano assolto compiti difficilissimi? Avevano forse lavorato male? E poi anche la gioventù è un concetto relativo. La maggior parte dei membri del Politburò aveva meno di cinquant’anni, ad eccezione di Molotov, che aveva pur sempre ben undici anni meno di Stalin. In molti paesi questa età rappresentava il livello minimo per l’inizio della carriera politica e alle cariche più elevate si arrivava tra sessanta e settant’anni.
Si cominciò allora a mormorare che il compagno Stalin fosse diventato eccessivamente "cavilloso" e "sospettoso" e ad ostentare preoccupazione per la sua sempre più cagionevole salute. Ma nessuno sollevò apertamente il problema, né avrebbe potuto sollevarlo. Non solo perché tutti avevano una paura mortale del leader, che anche alla sua veneranda età sapeva tenere in pugno la situazione e negli affari statali superava di parecchie volte i suoi collaboratori. In realtà, nel profondo del loro animo, questi ultimi riconoscevano la correttezza delle richieste di Stalin anche se, come succede a tanti, non volevano trarre da ciò le necessarie, e volontarie, "conclusioni organizzative". E’ difficile rinunciare alle alte cariche, agli onori e ai privilegi.
L’età e le malattie non potevano non influire sul comportamento di Stalin. Però egli avvertiva più acutamente e profondamente degli altri la necessità di un cambiamento del gruppo dirigente. Si trattava, del resto, di salvaguardare gli interessi supremi del partito e dello stato e a questo riguardo per lui non contavano nulla i rapporti di amicizia con le persone più vicine. Qualora l’avesse ritenuto necessario, Stalin non avrebbe esitato a dichiarare "nemici del popolo" i suoi collaboratori, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Il vecchio leader aveva capito che la situazione nuova venutasi a creare all’inizio degli anni cinquanta richiedeva nuovi approcci e nuovi uomini capaci di adottarli nella realtà. L’era delle "emergenze" e dei "grandi leader" apparteneva al passato. L’utilizzazione dei vantaggi oggettivi del sistema socialista esigeva ormai metodi del tutto diversi da quelli del passato e soprattutto il coinvolgimento dell’intelletto e della volontà collettivi dei dirigenti e di tutto il partito nell’elaborazione e attuazione delle scelte strategiche. In altri termini, si trattava di passare a un’ampia democratizzazione della vita del partito e della società, a una forma collettiva di direzione, di passare ad esempio a quel sistema venutosi a creare in Cina dopo la morte di Mao Tse tung, che consente di operare in questo paese un ricambio efficace e indolore dei vertici politici.
Proprio questo tema, il tema dell’impegno dei comunisti per la difesa delle libertà democratiche, la cui bandiera era stata gettata per sempre nella pattumiera della storia dalla classe borghese, fu sviluppato da Stalin nel suo canto del cigno, l’intervento al XIX Congresso del partito, l’ultimo della sua vita. E nel Plenum del CC convocato subito dopo il congresso egli indicò chiaramente la necessità che la "vecchia guardia" passasse il testimone del potere alle nuove leve dei comunisti. Il lavoro di ministro, disse egli in quella sede, è un lavoro duro e richiede un tributo enorme di tensione ed energia, quale gli esponenti della vecchia generazione non sono più capaci di dare e per questo hanno dovuto essere liberati dai loro incarichi. Stalin parlò anche di mancanza di unità ai vertici del partito, cosa alla quale ormai difficilmente si poteva porre riparo. L’unica via d’uscita reale era il passaggio del timone dello stato a una nuova generazione di dirigenti, e il Congresso era stato chiamato a favorire questo passaggio. In effetti ancor prima dell’inizio del Congresso tutti i membri del Politburò o avevano perduto i loro importantissimi incarichi statali o avevano ottenuto in cambio incarichi di prestigio, ma di scarsa influenza. Molotov, ad esempio, era stato esonerato dalla carica di ministro degli esteri e nominato per un certo tempo vicepresidente del Consiglio dei Ministri, responsabile dell’Ufficio per la metallurgia e la geologia. Successivamente gli era stata affidata la supervisione del Ministero degli Esteri, guidato da Vishinskij che tuttavia non ammetteva sopra di sé nessun supervisore. Voroshilov fu incaricato di occuparsi della cultura, della sanità e dell’Associazione dei volontari per il sostegno dell’esercito, dell’aviazione e della marina. Kaganovic occupava la carica non molto importante di presidente del Gossnab (Sistema statale di approvvigionamento). Andreev era stato completamente estromesso dall’olimpo del potere, nonostante poco prima gli fossero stati affidati gli importanti problemi dell’agricoltura.
Malenkov, Beria e Chruscev non erano stati ancora toccati dai cambiamenti. Stalin riteneva che fossero all’altezza dei loro incarichi. Per Beria anzi, di gran lunga superiore agli altri membri del Politburò quanto a capacità pratiche e organizzative, si profilava persino un forte ampliamento dei poteri, poiché avrebbe dovuto guidare il Ministero unificato della Sicurezza dello Stato e degli Interni. Tuttavia, l’avvento di giovani dirigenti a posti cruciali rendeva anche la sua posizione abbastanza incerta: non si poteva sapere fino a quando le nuove leve avrebbero mostrato riverenza verso i vecchi quadri e quali sarebbero state le loro esigenze
Il governo era già controllato dai giovani promossi da Stalin. Tutti e tre gli Uffici del Consiglio dei Ministri che curavano i ministeri e gli enti decisivi erano nelle loro mani. Con Malyshev, Pervuchin e Saburov, vicepresidenti del governo e responsabili dei tre uffici, Stalin si incontrava pressoché quotidianamente per discutere dei principali problemi economici di cui fino allora s’erano occupati i suoi vecchi compagni del Politburò. Al XIX Congresso lo stesso Ufficio Politico era stato sottoposto a una radicale riorganizzazione e ribattezzato Presidium del Comitato Centrale: erano stati chiamati a farne parte 36 dirigenti, compresi i segretari del CC. Rimaneva la composizione ristretta del massimo organo, il Burò del Presidium di cui facevano parte i rappresentanti della vecchia guardia, inclusa la collaudata e "battagliera" trojka formata da Malenkov, Beria e Cheruscev, ma ora i nuovi quadri avevano chiaramente la prevalenza. Inoltre, il passaggio dallo stato de iure a quello de facto era imminente, anche perché il corso degli eventi lo rendeva necessario...
A parte le evidenti tendenze all’allargamento dei vertici del potere partitico, la "vecchia guardia" appariva minacciata anche da un altro pericolo. Negli ultimi anni il Consiglio dei Ministri aveva via via assunto il ruolo determinante. I comitati di partito mettevano semplicemente in pratica le decisioni del governo e dei ministeri. Poi dopo la morte di Stalin fu esattamente il contrario: il diktat del partito, spesso inappropriato e incompetente, decise lo sviluppo dei settori reali dell’economia. Durante l’ultima fase della dirigenza di Stalin il ruolo degli specialisti che conoscevano bene la propria materia era stato determinante, mentre il partito si limitava a stabilire le linee di sviluppo strategiche della società e si occupava del lavoro ideologico e dei quadri. Stalin considerava naturale una siffatta "divisione del lavoro", la riteneva conforme agli insegnamenti di Lenin e invitava i bonzi del partito ad ascoltare gli specialisti preparati e intelligenti, a imparare da loro. Tra questi specialisti prevalevano gli esponenti delle giovani generazioni che, forti delle loro conoscenze e della loro preparazione moderna, non tenevano in gran conto i meriti dei veterani del partito. E per questi ultimi il pericolo maggiore derivava dalla probabilità che Stalin proponesse come suo successore un uomo appartenente ai vertici del partito, ma capace nel contempo di stabilire solidi contatti con questa gioventù "tecnocratica".
All’inizio il dialogo tra Chruscev e Beria non andò molto bene. Abituato a trattare i problemi in modo pratico, Beria non amava i discorsi vaghi e allusivi. E Chruscev non ebbe il coraggio di affrontare subito il nocciolo della questione. Ma alla fine, accortosi dell’irritazione del suo interlocutore, passò ai fatti: "Lavrentij, non mi piace la nomina di Ponomarenko. Certo, sa fare il proprio lavoro. Ma ad un posto come il suo ci vuole esperienza e capacità di legare con le persone. Bisognerebbe conoscerlo un po’ meglio. Il compagno Stalin forse ha avuto troppa fretta".
Chruscev aveva messo il dito sulla piaga. Secondo la prassi consueta (che chiedeva a ciascuno di esprimere per iscritto e separatamente il proprio parere sulle proposte di nomina), i membri del Presidium del CC avevano apposto il loro visto sul documento per la designazione di Pantelejmon Kondratevic Ponomarenko a presidente del Consiglio dei Ministri dell’URSS. Stalin aveva fatto la propria scelta: in quel momento, oltretutto, il posto del capo del governo era decisivo, poiché qui si concentrava la gestione effettiva dello sviluppo economico e sociale del paese. Non a caso il presidente del Consiglio dei Ministri in carica era lo stesso Stalin.
Una volta assunta la carica di capo del governo, Ponomarenko sarebbe diventato di fatto il successore di Stalin, pur non essendo al primo posto nella gerarchia del partito. Anche perché i posti chiave nel governo erano già nelle mani della giovane generazione e in una situazione del genere la "vecchia guardia" non aveva più alcuna possibilità di difendere le sue posizioni. Ponomarenko, infine, aveva lavorato a lungo nell’apparato del partito, disponeva di leve sufficienti per influenzarne le scelte e non avrebbe permesso che fosse utilizzato per allontanare dal timone i dirigenti giovani e capaci. Chruscev capì tutto ciò prima degli altri e cominciò a tramare una perfida congiura contro il successore di Stalin. Egli, d’altronde, sapeva bene che anche Beria, Malenkov e gli altri veterani del partito, avvertivano il pericolo. Tanto più che Ponomarenko in passato, quando ancora occupava cariche secondarie, era riuscito a prevalere su di loro, potenti membri dell’Ufficio Politico.
Nel 1938, mentre era istruttore del Comitato Centrale, Ponomarenko non ebbe alcun timore di entrare in conflitto non soltanto con il suo capo diretto, il potente Malenkov, responsabile del lavoro con i quadri in seno al Politburò, ma anche con Beria, subentrato a Ezov nella guida del NKVD. Inviato a Stalingrado per verificare la fondatezza delle accuse mosse a un gruppo di nemici del popolo, egli le giudicò una montatura dopo accurati controlli e, ottenuto l’appoggio del segretario del comitato regionale Chujanov, ordinò la scarcerazione immediata di quasi tutti gli arrestati. E continuò ad insistere sulle sue posizioni persino quando Malenkov e i dirigenti del NKVD lo minacciarono di severi provvedimenti per abuso di potere. Stalin venne a conoscenza del fatto e inaspettatamente, dopo una tiratina di orecchie a Malenkov, diede ragione al giovane istruttore indicando persino la sua condotta come esempio di "fedeltà bolscevica ai principi".
Già negli anni della guerra Ponomarenko era uscito vincitore da alcuni scontri con Beria e Chruscev. Il primo voleva porre il suo vice Sergeenko alla testa del Comando del movimento partigiano. Il secondo, essendo alla guida dell’organizzazione del partito in Ucraina, voleva modificare a vantaggio della sua repubblica i confini con la Bielorussia. Invece fu Ponomarenko ad ottenere la direzione del Comando del movimento partigiano dopo aver presentato all’Ufficio Politico un programma di attività ben più ponderato e ponderoso di quello proposto dal favorito di Beria. Chruscev, da parte sua, non riuscì ad ottenere la modifica dei confini ucraini, poiché gli argomenti di Ponomarenko, difensore degli interessi della Bielorussia, risultarono assai più convincenti e Stalin lo disse senza mezzi termini a Chruscev, già sicuro di spuntarla. Da allora il vendicativo Nikita provò solo odio per quel "novellino", così poco importante a suo avviso, ma verso il quale la "guida dei popoli" si mostrava assai ben disposto. Poco istruito e incapace di mettere insieme due righe, egli era infastidito soprattutto dalla vasta cultura e dalla preparazione del dirigente politico bielorusso, che insieme a Zhdanov passava per uno dei pochi "intellettuali" nella direzione del paese. Brezhnev, che conosceva bene entrambi, definì Ponomarenko l’antitesi di Chruscev. Ed effettivamente i due erano per molti versi antitetici.
Prima di recarsi alla conferenza di Potsdam, Stalin fece tappa a Minsk, dove ebbe con Ponomarenko, capo del partito in Bielorussia, una lunga conversazione al termine della quale gli chiese di accompagnarlo. Questi però declinò l’invito a causa di importanti impegni nella sua repubblica e promise che l’avrebbe raggiunto più tardi. Sebbene Stalin lo avesse atteso e avesse preparato persino una casetta per lui accanto alla propria residenza, Ponomarenko non arrivò. La situazione in Bielorussia era a suo parere molto più importante. Chruscev, al contrario, si sarebbe precipitato da Stalin all’istante, accantonando qualsiasi impegno...
Il risultato della conversazione tra Chruscev e Beria fu una reciproca intesa per contrastare l’arrivo al timone dello stato dei candidati di Stalin, innanzi tutto di Ponomarenko. L’astuto Chruscev, favorito in ciò dalla sua carica di capo del comitato moscovita del partito, raggiunse la stessa intesa, tacita ma chiara, anche con Malenkov.
La morte di Stalin giunse inattesa. Sulle eventuali cause sono state fatte numerose e diverse supposizioni. Resta comunque poco credibile l’ipotesi di una eliminazione violenta del leader da parte dei suoi collaboratori spaventati dall’imminenza dell’epurazione. Stalin era un "dio", ciascun dirigente aveva nel sangue, nel DNA, una sorta di venerazione e anche un senso di paura nei suoi confronti. Soltanto un pazzo disperato avrebbe osato alzare la mano contro di lui. E di pazzi disperati non ce n’erano nella direzione del paese. Però il ricambio ai vertici del partito e dello stato avviato dal leader avrebbe potuto certamente indurre la "vecchia guardia" ad accantonare le divergenze, le simpatie e le antipatie personali, ed a fare fronte unico contro le sue ultime decisioni. Così avvenne: essa si unì e si giocò il tutto per tutto.
Com’è noto, Stalin si spense nel corso di alcuni giorni. Il 5 marzo 1953, quando secondo i comunicati ufficiali era ancora vivo, ma in condizioni disperate, al Cremlino fu convocata una riunione congiunta del Plenum del CC del PCUS, del Consiglio dei Ministri e del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS. La "vecchia guardia", preparata alla battaglia contro i candidati di Stalin dalle fitte e occulte manovre di Chruscev, attivamente appoggiato da Malenkov e Beria, si prese lì una completa rivincita. Il Presidium allargato del Comitato Centrale venne soppresso, con il conseguente esautoramento dei giovani quadri e gli esponenti della giovane generazione furono cacciati anche dalla segreteria del CC. Al contrario, Molotov e Mikojan furono riammessi nell’Ufficio del Presidium del CC. Naturalmente, nessuno si ricordò della decisione di Stalin di designare Ponomarenko capo del governo. Questi fu addirittura espulso dal vertice del partito e condannato al declino: prima fu nominato ministro della cultura, poi spedito nel lontano Kazachstan e infine collocato politicamente a riposo in un’ambasciata all’estero. Persero le loro cariche decisive anche Malyshev, Pervuchin e Saburov, spostati in ministeri di poco conto.
Si trattò di un golpe nello stato e nel partito. La "vecchia guardia" era riuscita ad evitare la perdita imminente delle proprie alte cariche, in pratica già decisa. L’ascesa di uomini come Ponomarenko, Saburov, Pervuchin e Malyshev rappresentava la sua condanna politica, le ricordava che aveva fatto il suo tempo e, senza nulla togliere ai suoi meriti, doveva farsi da parte. Ma i dirigenti del partito abituati al potere, agli onori e al rispetto non seppero rassegnarsi a questo destino. E così al timone dello stato tornarono i rappresentanti del passato, uomini ormai incapaci di dirigere il paese con competenza e cognizione di causa. Alle base di uno stato potente e in fase di sviluppo dinamico si aprì la prima falla che, via via estendendosi, avrebbe portato in alcuni decenni al crollo dell’intero edificio. Ma i collaboratori di Stalin, a differenza del leader scomparso, pensavano al paese e al popolo in ultima istanza.
Il successo delle trame per l’eliminazione dei candidati di Stalin consentì a Chruscev di conquistare posizioni politiche cruciali, che mai si sarebbe potuto sognare. Nella battaglia sotterranea per le più alte cariche, fatta di oscuri intrighi e colpi bassi, l’energico, astuto e spregiudicato Nikita si sentiva perfettamente a suo agio e si imponeva con facilità sui suoi colleghi più goffi per l’annosa abitudine all’osservanza dei principi elementari della vita del partito e dello stato. Sulla via dell’instaurazione del potere personale rimaneva solo un ostacolo: la contrarietà di Beria. Ma nei confronti di costui, che eccelleva per le qualità pratiche e conosceva i lati oscuri dell’attività di molti membri del Politburò, la maggior parte della "vecchia guardia" nutriva sentimenti poco amichevoli. Chruscev, naturalmente, ne approfittò, ricorrendo al metodo sperimentato della "chiamata a raccolta delle forze sane". E dopo Beria venne il turno degli altri ex collaboratori di Stalin che volevano frenare l’ambizioso Nikita nella sua corsa alla dittatura personale: nella nuova situazione essa sarebbe stata dannosa per lo sviluppo del paese. Ma ormai a questo non si prestava alcuna attenzione, gli interessi di gruppo, di clan e di élite avevano preso il sopravvento su quelli dello stato e della società. Ai massimi livelli della dirigenza del paese si erano imposte quelle "forze e tradizioni della vecchia società" contro cui Stalin aveva lottato spietatamente.
Dopo aver fatto fallire il progetto di Stalin per un passaggio "morbido" del potere alla nuova generazione, la "vecchia guardia" con le sue stesse mani si scavò la fossa nella quale presto Chruscev l’avrebbe seppellita senza particolare fatica. E così un grande stato si avviava ineluttabilmente alla fine, dopo che al suo timone era giunto un avventuriero ignorante, incapace di liberarsi dei metodi trozkisti e di comando di gestione del paese.
Fonte: "Zavtra", n. 12 del 16.3.2003.
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zavtra.ru/cgi//veil/data/zavtra/03/487/61.html
Traduzione: Stefano Trocini
pubblicato in Aginform nr.40/04
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