Comitato Politico Nazionale

6-7 marzo 2004

sulla adesione alla nascita del Partito della Sinistra Europea

Sulla adesione al Partito della Sinistra Europea

intervento di Claudio Grassi al CPN del PRC del 7 marzo 2004

Credo sia importante avere presente che siamo ormai entrati in una importantissima (per il paese, per i lavoratori, per il nostro partito) campagna elettorale. Dobbiamo quindi impegnarci tutti - colgo in pieno l’appello all’unità lanciato da Bertinotti nella relazione – per mobilitare il partito tutto nella campagna elettorale. La gravità della situazione internazionale e nazionale ci consentono una iniziativa a tutto campo che ci offre grandi opportunità per sostenere le nostre battaglie di sempre. Non è una forzatura dire che mai come in questo momento su molte cose possiamo dimostrare la validità delle nostre tesi e questo ci può consentire di lavorare con fiducia per conseguire un buon risultato elettorale.

Credo siano 3 i grandi temi sui quali dovremmo concentrare la campagna elettorale.

 

Primo tema: La lotta contro la guerra

 

La guerra in Iraq non aveva giustificazione alcuna, basta domandare ai suoi sostenitori dove sono le armi di distruzione di massa. Ad una guerra illegittima (contro l’Onu e la comunità internazionale) ha fatto seguito una occupazione illegittima.

Le forze militari presenti, comprese quelle italiane, non possono svolgere alcun ruolo di pace poiché sono considerate – dalla popolazione irachena – forze di occupazione.

Gli episodi di guerriglia, di resistenza e di terrorismo, ben lungi dall’essersi ridotti dopo la guerra e la cattura di Saddam Hussein, sono aumentati dimostrando che la guerra non porta né pace né democrazia, ma devastazione, violenza, terrore.

E’ evidente a tutti, quindi, che questa guerra voluta dagli Usa aveva ben altri scopi e, tra i principali, quello di esercitare un controllo diretto – attraverso una presenza militare oggi e un governo fantoccio domani – su una zona ricchissima di petrolio.

Le nostre argomentazioni sono confermate dai fatti e mi paiono forti e assai convincenti.

 

Quindi:

-     - bene l’iniziativa per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq, che ha disarticolato il “triciclo” nel Parlamento e nel paese;

-     - continuiamo la campagna tenendo conto del malessere avvertito nella base del popolo di sinistra;

-     - lavoriamo decisamente – treni, pullman: mancano solo 13 giorni! - al grande appuntamento del 20 marzo, indetto dal Forum Sociale Mondiale, che si svilupperà in tutto il mondo. Io credo che la forza di questo movimento (il 20 marzo si manifesterà appunto in tutto il mondo) e la capacità del popolo iracheno di resistere contro l’occupazione del suo paese, sono i due elementi oggi più importanti che possono ostacolare e sconfiggere la guerra preventiva di Bush.

 

Secondo tema: La lotta contro il governo Berlusconi

 

Ormai da alcuni mesi la ricerca dell’unità di tutte le opposizioni per cacciare Berlusconi e per costruire una alternativa programmatica è il punto principale della nostra azione di politica interna. E’ stata una scelta importante che abbiamo fatto e che ci ha rimesso in sintonia con il popolo della Sinistra. Questo è un aspetto molto sentito dalla gente che guarda al nostro partito.

E’ talmente grave l’attacco che questo governo sta attuando su tutti i fronti (sulle questioni sociali: lavoro, scuola; sulle questioni democratiche: giustizia, Costituzione) che si fa sempre più forte la pressione dal basso per cacciarlo. Se non cogliamo questo come elemento prioritario, rischiamo di essere marginalizzati.

Ma, contemporaneamente a questo, e cioè alla massima disponibilità nell’unità contro Berlusconi, dobbiamo cominciare a far emergere i contenuti che devono essere posti alla base di un eventuale accordo. Dobbiamo farlo subito, non all’ultimo momento, perché a quel punto la pressione all’unità prevarrà sui contenuti; e dobbiamo farlo con le altre forze politiche, sociali, culturali e di movimento disponibili - questa è la novità, rispetto al ’98, su cui fare leva e sono coloro  che hanno fatto con noi la battaglia dell’art. 18 – con alcuni obiettivi comuni da portare nel confronto-scontro con il centrosinistra:

 

- incondizionato no alla guerra;

- abrogazione delle leggi vergogna: della legge Moratti, della Legge 30 e della Bossi-Fini;

- una legge per la democrazia nei luoghi di lavoro;

- un meccanismo automatico di recupero salariale.

 

Va fatto subito perché quello che leggiamo va nella direzione opposta. Rutelli parla di attacco alle pensioni, di anticomunismo e di pseudo pacifismo interventista. D’Alema dice che la politica estera non si tratta con Rifondazione e il “Manifesto” di Prodi per noi non è sottoscrivibile. E’ chiaro che se questi orientamenti non vengono modificati è impensabile un accordo di governo. Nella migliore delle ipotesi si potrà realizzare un accordo tecnico.

Quindi la nostra parola d’ordine deve essere ‘uniti contro Berlusconi’, ma anche ‘uniti per una politica alternativa a Berlusconi’, che non ripeta gli errori del ’96. Per provare a fare questo dobbiamo iniziare a costruire una intesa con le forze a noi più prossime, politiche, sociali e di movimento.

 

Terzo tema: La questione sociale

 

Quest’ultimo elemento è decisivo. C’è un crollo dei salari e c’è una crisi industriale. Berlusconi aveva promesso sviluppo e crescita economica e ci si ritrova in recessione; ma abbiamo di fronte anche il bilancio disastroso di un decennio di concertazione e di privatizzazioni che non siamo più i soli a criticare. Le lotte della Fiom, degli autoferrotranvieri e delle acciaierie di Terni ci dicono che si può investire su questa battaglia con un consenso significativo e con una possibilità di presa tra i lavoratori.

 

Su questi 3 temi, dunque, il partito può ottenere buoni risultati tra i lavoratori e nel popolo di sinistra:

 

-   - contro la guerra senza e senza ma

-   - via Berlusconi

-   - aumento di salari, stipendi e pensioni

 

Ed è quanto mai opportuno lavorare per la piena riuscita della manifestazione del 20 marzo, lo sciopero dei sindacati del 26 e lavorare per una grande manifestazione di tutte le opposizioni che abbia al centro la lotta contro il drammatico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Su questi temi c’è una larga convergenza nel partito e ciò ci deve impegnare da domani al 13 giugno in modo unitario, leale e solidale.

 

* * * * *

 

Ma in questo comitato politico si è discusso prevalentemente di altro e non voglio sfuggire al confronto sui temi così importanti che sono stati proposti e cioè l’identità del nostro partito e la costruzione del Partito della Sinistra europea.

 

Sull’identità del partito

 

Io non credo che la definizione di un nostro profilo identitario e di un nostro tentativo di provare a cimentarci sulla rifondazione debba passare attraverso una discontinuità, come qui è stato detto da Andrea Ricci e come aveva già detto Bertinotti nell’intervista al manifesto, non tanto sullo stalinismo – su cui siamo tutti d’accordo – quanto su tutti i grandi pensatori marxisti del '900.

“Penso che non solo Lenin, ma tutti i grandi leader del movimento operaio del 900 siano morti e non solo fisicamente”, ha detto Bertinotti.

Non sono d’accordo, penso che il pensiero di Marx, di Lenin, di Gramsci, per citarne solo alcuni, ovviamente contestualizzandoli, sia ancora una fonte preziosa dalla quale attingere per cercare di trasformare l’esistente. Certo che c’è bisogno di una ricerca nuova ed il contesto nel quale noi operiamo si è profondamente trasformato, ma io credo ad una ricerca che non sia cesura, che non sia taglio delle proprie radici, che non sia ripudio della propria storia.

Bertinotti è convinto, lo ha detto in più occasioni, che senza questi strappi innovativi non c’è futuro per le forze comuniste nel contesto dell’Europa occidentale, che solo se si opera in questo modo si può aspirare ad avere uno spazio politico non puramente testimoniale. Riconosco la forza di questo ragionamento, la sua suggestione e anche lo sforzo di ricerca che esso contiene.

Il problema è che non è suffragato da fatti, da riscontri pratici.

Faccio alcuni esempi.

 

Rifondazione Comunista, nel 1993, quindi con un gruppo dirigente non particolarmente innovativo e con un programma abbastanza tradizionale, alle elezioni a Milano e Torino supera i Democratici di Sinistra e si attesta tra il 13 e il 15%. Contesto e momenti particolari, è vero, ma ciò non toglie che quel nome e quel simbolo vengono scelti in modo massiccio.

Sempre il nostro partito, nel 1996, raccoglie su una proposta tanto semplice quanto forte “unità e autonomia” 3 milioni e 300mila voti, quasi il doppio di quelli che abbiamo ricevuto nei successivi passaggi elettorali.

 

E anche nel contesto europeo le cose sono tutt’altro che semplici. Prendiamo alcuni casi emblematici.

Ad esempio Spagna e Portogallo, due paesi, un’unica regione. Qui operano due forze politiche del GUE che hanno scelto strade molto diverse negli ultimi 10-15 anni. In Spagna opera una forza politica – Izquierda Unida (I.U.) – che è stata la punta più avanzata, per tutti gli anni 90, in Europa occidentale, di un processo innovativo che per certi versi è molto simile a quello che viene proposto per Rifondazione Comunista. E’ stato appunto ricordato che nel recente congresso I.U. si è definita una forza eco-socialista.

In Portogallo, al contrario, (chiedo scusa per le semplificazioni), il Partito Comunista Portoghese (PCP) ha seguito una strada più tradizionale e, pur presentandosi alle elezioni con una coalizione di forze, ha mantenuto un forte legame con la propria storia e la propria identità.

Ebbene, il dato in termini elettorali e organizzativi di queste due esperienze concrete così diverse, dimostra, da un lato, che non è scontato che una forte innovazione produca risultati positivi – I.U. oscilla tra il 5 e il 7% - e, dall’altro, che un legame con la propria storia determini risultati negativi – il PCP oscilla tra l’8 e il 10%.

 

Io penso che il problema sia più di fondo, nel senso che il consenso che possono acquisire in Europa occidentale, ma più in generale nei paesi a capitalismo avanzato, in questa fase storica, le formazioni politiche che dichiarano apertamente di operare per il superamento del capitalismo, non sia prevalentemente determinato dal proprio profilo identitario. Altrimenti non riesco a spiegarmi come mai, nonostante i partiti del GUE abbiano le posizioni più disparate, quelli più significativi stiano tutti in una forbice che oscilla tra il 5 e l’8%.

 

Insomma, Bertinotti teme che senza una innovazione identitaria radicale si muore.

Io temo che una innovazione che cessi di mantenere solidi legami e riferimenti alla nostra identità e storia possa portarci su una strada sbagliata, al di là delle migliori intenzioni.

Ma dico di più.

Io non credo che la nostra storia – la rivendicazione della nostra storia – sia di impedimento per le adesioni delle giovani generazioni al nostro partito.

Anzi, io sento che in questa vandea anticomunista c’è l’esigenza, il bisogno e anche lo spazio politico per la rivendicazione di un orgoglio comunista. La nostra storia, che parte da Gramsci, passando per i fratelli Cervi per arrivare al nostro Giovanni Pesce, non ha nulla di cui pentirsi, nè vergognarsi. Anzi, tra le altre storie delle grandi culture politiche di questo paese non teme confronto alcuno!

Né mi convince il fatto che la nostra innovazione passi attraverso una valutazione sulla Resistenza partigiana che noi avremmo angelizzato. Il problema è semmai opposto ed è che la Sinistra nel suo insieme ha cessato di rivendicare fortemente quel periodo storico come passaggio decisivo per la conquista della democrazia, e noi di questo dovremmo prevalentemente occuparci: rivalorizzare quel periodo. E, se da un lato, penso che sia giusto considerare le foibe una tragedia – che, tra l’altro, il PCI aveva già affrontato con rigorosi studi e ricerche di autorevolissimi storici alcuni decenni fa – credo sia stato un grave errore che un nostro assessore, in questo caso a Venezia, abbia votato a favore della intestazione di una piazza ai martiri delle foibe.

Così come penso che la non violenza sia un concetto che non può essere generalizzato.

Né nel tempo: non era possibile essere non violenti durante il fascismo, può darsi che non sarà possibile esserlo in futuro poiché sappiamo che il capitalismo è un sistema economico che in certi contesti e in certe fasi storiche può ricorrere alle armi, alle dittature, al terrore per sopprimere trasformazioni non gradite. Per rendersene conto, basta guardare a cosa sta accadendo in queste ore in Venezuela.

Dicevo che la non violenza è un concetto che non può essere generalizzato nel tempo, ma neanche nello spazio: quello che è giusto e possibile fare qui, in Francia, in Germania – e cioè la lotta non violenta – non si può fare in Palestina, in Iraq e in Colombia, per fare solo alcuni esempi.

Ed io guardo con sospetto – ammetto in questo di essere un po’ prevenuto – il florilegio di apprezzamenti che ci è arrivato su questi strappi innovativi dalla grande stampa borghese: Repubblica e Corriere della Sera in primis o da personaggi come Caldarola, perché qui il punto non è il confronto-scontro con le culture liberali che, è stato giustamente ricordato, ha impegnato molto i più grandi intellettuali comunisti – il problema è che qui viene manifestato un apprezzamento delle nostre nuove scelte politiche.

 

Infine sul partito europeo solo poche battute poiché mi pare che ritornino da ambo le parti gli stessi argomenti per sostenere l’una o l’altra tesi. Mi ha però colpito che nessuno abbia parlato della consultazione fatta nel partito. Ma, a parte questo, io ritengo che serva un partito della Sinistra di alternativa dell’Europa tutta, dall’Atlantico agli Urali, e se questo partito che si sta costituendo riuscirà progressivamente a fare questo ne sarò molto felice.

Temo, qui sta il dissenso, che la fretta con cui si vuole a tutti i costi farlo prima delle elezioni comprometterà questa possibilità.

Perché non possiamo riuscire a fare noi quello che hanno fatto i Verdi? 32 partiti aderenti, 7 osservatori, un processo inclusivo capace di tenere dentro opzioni diversissime. Io credo valga la pena di fermarsi un attimo, trasformare l’8 e 9 maggio in un grande meeting europeo con tutti i partiti della Sinistra alternativa uniti da un manifesto elettorale comune e subito dopo la ripartenza di un progetto capace di coinvolgere tutti.

Detto questo, se invece prevarrà la linea di tenere ugualmente il congresso costitutivo l’8-9 maggio, sarà importante lavorare ugualmente per una sua piena riuscita poiché sarà una delle più importanti iniziative del partito nel pieno della campagna elettorale e tutti ci impegneremo perché abbia grande successo.

 

Sulla proposta di delegazione per il congresso che ci viene avanzata: non capisco il senso e la logica di mandare dei delegati, che hanno opinioni diverse, che rappresentano opinioni diverse che ci sono nel partito, e che però non sono liberi di votare secondo il proprio convincimento. Non ho mai visto un delegato che va ad un congresso di un’istanza superiore con l’obbligo di votare in modo opposto al voto che ha espresso nell’istanza che lo propone come delegato.

Se questo vincolo non viene tolto, per quanto mi riguarda non posso e non voglio partecipare come delegato. Darò comunque con la stessa forza e lealtà il mio contributo e spero di potere esprimere la mia opinione come invitato.

 

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