Roma – 27 novembre 2004 - Centro Congressi
Frentani
Manifestazione nazionale “Contro la guerra,
per l’alternativa”
Presentazione della mozione “ESSERE COMUNISTI”
al 6° Congresso del P.R.C.
Intervento conclusivo di
Claudio Grassi,
membro della Segreteria nazionale Prc e coordinatore dell’Area
dell’Ernesto
Cari compagni/e,
ringrazio tutti i nostri ospiti per essere intervenuti a questa iniziativa.
Con i loro interventi ci hanno fornito numerosi elementi di riflessione per il
nostro lavoro. La loro presenza ci onora e ci stimola, ci dà argomenti per
lottare con maggiore determinazione.
Abbiamo voluto organizzare questa nostra iniziativa politica nazionale di
presentazione della mozione “Essere Comunisti” con interlocutori esterni.
Questo perché, anche in questa occasione, vogliamo intrecciare le nostre idee,
le nostre iniziative politiche con il congresso e non viceversa.
E i temi che sono stati posti dai relatori che mi hanno preceduto sono tra gli
argomenti principali della nostra mozione: la
storia dei comunisti che noi
viviamo come patrimonio e non come un problema di cui ci hanno parlato
Nori Brambilla e Giovanni Pesce,
anche attraverso alcune immagini del film “Senza Tregua” di Marco Pozzi; il
lavoro, soprattutto la grave
situazione di arretramento che si vivi nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro
più in generale, il potere d’acquisto eroso continuamente dall’aumento del
costo della vita, la precarizzazione dilagante, la necessità della lotta e del
conflitto, di cui ci ha parlato Rita
Ghiglione della Fiom. La gravità della situazione internazionale,
la politica di guerra dell’imperialismo
americano, che con la rielezione di Bush subisce una accelerazione,
di cui ci ha parlato Manlio Dinucci,
collaboratore del Manifesto che ringraziamo anche per i suoi articoli di vera
e propria controinformazione sulle questioni internazionali. La situazione
terribile in cui sono costretti a vivere i
palestinesi nella indifferenza del mondo, a partire dall’Europa,
schiacciati da uno stato terrorista che anziché concedere terra costruisce
muri, di cui ci ha parlato Yusef Salman,
responsabile della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia. Infine il punto di
vista della Resistenza irachena,
la vicenda di un popolo che più di ogni altro è costretto a vivere un
occupazione, una guerra e sente su di sé tutta la violenza e il terrorismo che
l’intervento anglo-americano porta con sé, di questo ci ha parlato
Subhi Toma, esponente del Comitato
Internazionale della Resistenza Irachena.
Questi temi occupano molte parti della nostra mozione ed era giusto che
venissero illustrati dai protagonisti. Inoltre ringrazio gli ospiti presenti
in sala, i giornalisti e tutti voi che siete intervenuti così numerosi.
SITUAZIONE INTERNAZIONALE
Il VI congresso di Rifondazione Comunista cade in un momento molto
particolare.
A livello internazionale siamo all’indomani della preoccupante rielezione di
Bush e a livello nazionale ci troviamo a fronteggiare un governo di destra
che, pur trovandosi in una situazione di grande difficoltà, cerca di
rilanciarsi attraverso una estremizzazione delle proprie propensioni
reazionarie e populiste. Questi due episodi ci confermano come l’onda lunga
conservatrice apertasi alla fine degli anni 70, in America con Reagan e in
Europa con la Thatcher, e che ha avuto un impulso con il crollo dell’Urss e
dei Paesi dell’Est alla fine degli anni 80, non si è ancora arrestata. Certo,
si sono sviluppati importanti movimenti che hanno messo in difficoltà la
politica liberista e di guerra, mi riferisco al movimento per la Pace, al
movimento contro la globalizzazione neoliberista, alla ripresa in alcuni
paesi, della conflittualità operaia; si sono aperte contraddizioni tra poli
capitalistici: tra Stati Uniti e alcuni paesi dell’Unione Europea, tra
politica americana e stati o regioni emergenti come Russia, Cina, India; ci
sono spostamenti in senso progressista di importanti paesi dell’America Latina
e dell’Africa, ci sono resistenze dei popoli a partire da quello iracheno. Ma
tutto questo non è ancora sufficiente per infliggere una sconfitta alla
politica statunitense. Compito prioritario dei comunisti è operare per
contribuire a determinare una convergenza di tutte queste forze per
sconfiggere la politica di guerra dell’imperialismo americano. Infatti la
politica di guerra preventiva e permanente, che ha caratterizzato il primo
mandato della presidenza Bush, dopo la vittoria elettorale avvenuta sulla base
di una estremizzazione di quelle stesse politiche, continuerà ad essere la
modalità con cui il governo americano affronterà la situazione internazionale.
Sono le stesse contraddizioni dell’economia americana che spingono il governo
verso questa politica. Un paese che consuma molto di più di quello che
produce, che ha bisogno di un ingente quantitativo di risorse energetiche per
mantenere il suo livello di vita, che ha accumulato un debito estero
colossale, che spende in armamenti tanto quanto spendono tutti gli stati del
mondo messi assieme, che è presente con basi militari, mezzi e uomini in ogni
angolo del pianeta e che cerca, attraverso la forza militare, di cui oggi
detiene il predominio, di continuare a mantenere anche la supremazia politica
ed economica in tutto il mondo. Tutto questo genera guerre, distruzione di
risorse, devastazione ambientale.
Eppure, grazie allo sviluppo della scienza, della tecnologia, della ricerca
oggi il mondo, per la prima volta, avrebbe la possibilità di consentire a
tutti gli abitanti del pianeta una vita dignitosa; ciò non avviene poiché gran
parte delle risorse vengono bruciate in armi, guerre e per consentire a una
piccola minoranza del pianeta di possedere sterminate ricchezze. Quando
parliamo di necessità di superamento del capitalismo parliamo di questo,
quando parliamo della necessità di sconfiggere la politica imperialista degli
Usa parliamo di questo.
Da questo punto di vista i movimenti nati a Seattle e che sono passati per
Porto Alegre, Durban, Cancun hanno contributo in modo importante non solo a
costruire una opposizione significativa a questa politica, ma hanno avuto il
pregio di riaprire luoghi di incontro e di iniziativa internazionali, parlo
dei Forum mondiali, ma anche di quelli continentali, nei quali si è iniziato a
discutere come contrastare a livello globale il liberismo. Questo movimento,
che pure oggi sconta un momento di impasse, è stato importante poiché, dopo
tanto tempo, ha riportato alla politica una nuova generazione di giovani. Noi
dobbiamo stare dentro questo movimento, alla pari, come comunisti, sapendo
cogliere tutti gli elementi utili che ci possono giungere anche per aggiornare
e migliorare la nostra proposta politica e identitaria, ma anche per sostenere
i nostri convincimenti senza nessun atteggiamento di subalternità. In questo
contesto la situazione irachena, prima la guerra oggi l’occupazione, è
emblematica della fase che viviamo. Mai era stato fatto uno scempio così
plateale di qualsiasi rispetto della legalità e delle regole internazionali.
Sono state costruite menzogne per convincere l’opinione pubblica
internazionale.
- Si è parlato di armi di distruzione di massa che non c’erano.
- Si è sostenuto che il governo iracheno era collegato con Al Qaeda e ciò non
è mai stato dimostrato.
- Si è parlato di un intervento per esportare la democrazia e abbiamo visto le
immagini terribili di Abu Ghraib.
D’altra parte chi ha sempre sostenuto le più feroci dittature latinoamericane
non è molto credibile in quanto esportatore di democrazia.
E’ stato utilizzato l’attentato alle due torri – sulle cui dinamiche esistono
ancora moltissimi punti oscuri – per sferrare una guerra che era pronta da
tempo. Si è iniziata la guerra contro l’Onu e la comunità internazionale.
Insomma è stato costruito un vero e proprio depistaggio, una grande menzogna
mondiale, un grande inganno per impossessarsi di una zona ricchissima di
risorse energetiche per di più collocata in una zona strategica e, come già
avvento in Afghanistan, per installarvi basi e missili che controllino paesi
emergenti potenzialmente antagonisti agli Usa: Russia, Cina e India. Questi
sono stati i motivi della guerra e sono i motivi per i quali prosegue
l’occupazione e gli Usa vogliono – attraverso la nomina di un governo
fantoccio – rendere stabile la loro presenza. Se così è, come ormai tutti
riconoscono, non ha nessun senso rappresentare questa situazione con la
spirale guerra-terrorismo! Certo che c’è la guerra ed è certo che c’è il
terrorismo, che a sua volta è alimentato dalla guerra. Così come è certo che i
comunisti sono, non da oggi, contrari al terrorismo.
Ma è sbagliata questa rappresentazione poiché essa assume la vulgata
dominante, diffusa a piene mani dai grandi mezzi di informazione, che è
pericolosa perché lascia intendere che la guerra è indotta dal terrorismo e
che quindi se non ci fosse il terrorismo non ci sarebbero le guerre! Ma ciò è
falso poiché sappiamo che la guerra in Iraq è stata decisa già negli anni 90
quando Bin Laden era ancora a libro paga della Cia e perciò la sua
realizzazione aveva ben altre motivazioni.
Inoltre questa rappresentazione guerra-terrorismo uccide tutto ciò che vi è in
mezzo.
E in Iraq, come avete sentito dall’intervento di Subhi Toma, vi è un popolo
che resiste a una guerra e a una occupazione illegittime. Una Resistenza –
questo lo riconoscono tutti i Trattati internazionali – che non solo è
legittima, ma dobbiamo auspicare che si rafforzi, riunisca e riesca a porre
fine all’occupazione del paese.
E la Resistenza contro l’occupante non è terrorismo!
E’ stato un grave errore, anche da parte del nostro partito, avere per
parecchio tempo negato l’esistenza di una Resistenza di popolo e poi averla
spregiativamente definita una Resistenza con la “r” minuscola; ognuno di noi,
nei terribili giorni dell’assalto a Fallujia, si è sentito al fianco dei
resistenti iracheni, ha sofferto con loro e ha provato tutto il senso di
impotenza e di sgomento nel vedere, di fronte a un massacro così terribile, la
mancanza di qualsiasi forma di lotta e di mobilitazione anche del movimento
per la pace.
La lotta di resistenza del popolo iracheno è importante poiché è un ostacolo
alla politica di guerra degli Stati Uniti, essa va sostenuta poiché è un
diritto del popolo iracheno cacciare gli invasori e decidere qual è il suo
futuro. Va sostenuta perché una sconfitta del popolo iracheno apre la strada
ad altre guerre. Come sappiamo l’elenco che gli Usa hanno fatto dei cosiddetti
“Stati canaglia” è lungo e dopo l’Iraq ci sono già segnali gravi verso l’Iran,
la Corea del Nord, Cuba.
Anche ciò che sta avvenendo in Ucraina (con una pesante interferenza in uno
stato sovrano da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, attraverso il
tentativo di non riconoscere un risultato elettorale e cercando di spingere
l’opposizione verso la guerra civile) si inserisce in questo processo globale
nel quale gli Stati Uniti cercano di indebolire le potenze concorrenti (in
questo caso la Russia) e di costruirvi Stati fantoccio come hanno fatto nella
Ex-Jugoslavia e in Afghanistan, come cercano di fare in Iraq e come hanno
cercato di fare, uscendone però sconfitti, in Venezuela.
Oltre a sostenere la Resistenza irachena, noi dobbiamo continuare la nostra
lotta affinché il contingente militare italiano in Iraq venga immediatamente
ritirato; come hanno recentemente detto anche il ministro della Difesa Martino
e il presidente del Senato Pera, i militari italiani sono impegnati in una
azione di guerra e quindi il nostro paese sta violando, come già aveva fatto
nel 1999 con la guerra in Kosovo, l’art. 11 della Costituzione. Ed è grave che
Prodi, nella lunga intervista rilasciata mercoledì scorso alla Stampa, non
faccia alcun cenno sulla necessità del ritiro immediato dei militari italiani
dall’Iraq, mentre si dilunghi nel valutare positivamente le conclusioni del
vertice di Sharm el-Sheik poiché, dice Prodi: “Il processo politico per andare
alle elezioni (in Iraq ndr) deve diventare lo strumento per diminuire le
divisioni tra Europa e Stati Uniti. Questa alleanza tra Europa e Stati Uniti -
prosegue Prodi – resta il cardine della stabilità internazionale”.
Basterebbero queste parole per essere assai preoccupati sulla politica estera
del futuro governo Prodi nel quale dovrebbe entrare anche Rifondazione
Comunista. Prodi valuta positivamente le future elezioni irachene ma, ci
chiediamo, sono possibili elezioni libere in un paese occupato, guidato da un
governo fantoccio nominato dagli americani, con intere città nelle quali ogni
giorno avvengono vere e proprie azioni di guerra? Certamente no. Prima di
tutto bisogna che tutti gli eserciti dei paesi presenti in Iraq che hanno
fatto o appoggiato la guerra se ne vadano, solo dopo si potrà parlare di
elezioni, che il popolo iracheno deciderà come e quando fare. In queste
giornate terribili della distruzione di Fallujia, oltre a sentirci vicini al
popolo iracheno, siamo al fianco del popolo palestinese.
La morte di Arafat, che qui vogliamo ricordare come un uomo che ha dedicato
tutta la sua vita alla causa del popolo palestinese – ha riportato sotto i
riflettori del mondo il fatto che a un intero popolo, nonostante decine di
delibere dell’Onu in tal senso, viene negata una terra, viene negato il
diritto primario all’esistenza, a un luogo dove vivere, abitare, studiare,
giocare, lavorare: una vergogna dell’umanità. E anziché dare una terra ai
palestinesi, anziché ritirarsi dai territori occupati, Israele – nel
vergognoso silenzio della comunità internazionale – costruisce il Muro, per
ghettizzare e dividere rendendo impossibile la vita stessa al popolo
palestinese. Chissà dove sono finiti quel fior fiore di giornalisti che,
negli anni passati, ci hanno informato, giustamente, di quanto fosse
anacronistico il Muro di Berlino e che oggi sono muti e non scrivono una
parola su quest’altro Muro della vergogna. Certo c’è il terrorismo, il
terrorismo terribile che uccide indiscriminatamente i pendolari su un treno
della stazione di Madrid, o uccide bambini innocenti che con i loro genitori
sono in una scuola nel giorno della sua apertura. Siamo nemici irriducibili
del terrorismo. Non solo non aiuta la causa che a parole dice di difendere, ma
la indebolisce. Il terrorismo uccide la partecipazione delle grandi masse, il
cui coinvolgimento è sempre essenziale per trasformare la società e ottenere
miglioramenti per i ceti più deboli. La nostra condanna a queste azioni, in
qualunque parte del mondo si compiano, è netta e totale. Ma, se non vogliamo
essere ipocriti, il nostro ragionamento non può fermarsi qui.
- Non è terrorismo uccidere a freddo un bambino palestinese perché ha uno
zainetto sulle spalle?
- Non è terrorismo costringere una donna palestinese a partorire in uno dei
tanti posti di blocco o check point?
- Non è terrorismo scaricare su un paese migliaia di bombe all’uranio
impoverito, distruggere i ponti, devastare la più grande fabbrica del paese,
la Zastava, e bombardare l’ambasciata cinese e la televisione di stato a
Belgrado?
- Non è terrorista un governo che decide con una apposita riunione di
uccidere il capo di una organizzazione palestinese, per di più bloccato su una
sedia a rotelle?
- E la guerra… non è terrorismo all’ennesima potenza?
Ecco perché ci sentiamo di fare nostra la denuncia del grande premio Nobel
Perez Esquivel: “Il più pericoloso terrorista è Bush”.
Per concludere questa parte sulle questioni internazionali, che è ampiamente
approfondita nella prima parte della nostra Mozione, vorrei fare un
riferimento, giacché parliamo di popoli che resistono, all’America Centrale e
Latina.
Qui la situazione è molto interessante poiché oltre alla presenza di Cuba, che
ha saputo resistere all’infame embargo e a cui confermiamo la nostra piena
solidarietà, c’è stato l’importante successo di Chavez al referendum in
Venezuela. Nonostante un massiccio intervento esterno degli Stati Uniti, e
dopo la vittoria di Lula in Brasile, hanno vinto le sinistre in Uruguay e
recentemente anche in Nicaragua. Insomma, gran parte del continente
latino-americano potrebbe collocarsi su una linea di autonomia rispetto agli
Usa, una eventualità molto importante per gli equilibri internazionali.
Più contraddittoria la situazione nell’Unione Europea. L’evoluzione che
registriamo in questa parte del mondo non è positiva, certo permane una
divergenza, soprattutto da parte di Germania, Francia e adesso anche Spagna,
sull’unilateralismo Usa, ma è una pura illusione pensare che l’Europa possa
costituire una alternativa alla aggressività dell’imperialismo americano. Ne
sono dimostrazione l’approvazione di una Costituzione negativa, la
prosecuzione di politiche economiche liberiste, la spinta alla costruzione di
un esercito europeo che alimenterebbe la corsa agli armamenti e ridurrebbe le
risorse per lo stato sociale. Certo, vi è una politica internazionale meno
aggressiva, e ciò è importante, ma non tale da configurare una alternativa.
La politica internazionale sarà certamente una parte importante di questo
nostro congresso e noi dobbiamo evidenziare le nostre posizioni a partire
dalla erroneità delle tesi, presenti già nello scorso congresso, di
superamento della nozione di imperialismo, di costituzione di presunti
“direttori mondiali”, di superamento del ruolo degli Stati, della inesistenza
delle contraddizioni interimperialistiche.
SITUAZIONE POLITICA NAZIONALE
Ma il tema centrale di questo 6° congresso
di Rifondazione Comunista sarà il tema del governo.
Su questo punto vorrei dire in premessa che ci troviamo in una
situazione un po’ paradossale. I compagni che allo scorso congresso ci hanno
contrastato definendoci, a seconda delle occasioni, di destra, alleantisti,
frontisti, teorizzando l’esaurimento dei margini di riformismo e individuando
nei disobbedienti il loro riferimento principale nel movimento, oggi ce li
troviamo a teorizzare la possibilità di un ingresso nel governo ancor prima di
aver iniziato la discussione programmatica. E noi, al contrario, che abbiamo
mantenuto la posizione di allora, e cioè che le intese vanno sempre cercate,
ma si chiudono solo in presenza di programmi avanzati, ci troviamo scavalcati
a destra. Io credo che noi dobbiamo tenere ferma questa posizione e lavorare
perché diventi la posizione di tutto il partito: prima i contenuti e poi gli
schieramenti, prima i programmi e poi le persone: questa è la nostra bussola.
Per entrare nel governo non è sufficiente un programma, generico, un impianto
generale, serve al contrario un programma che contenga alcuni punti chiari e
precisi caratterizzanti per Rifondazione Comunista, i movimenti e i ceti che
vogliamo rappresentare. Non siamo disposti a firmare cambiali in bianco. Ne và
della autonomia di Rifondazione Comunista, che non può vedersi ingabbiata in
una alleanza tutta interna a un sistema di alternanza.
Diciamo da tempi non sospetti che la priorità delle forze di opposizione,
compresa Rifondazione Comunista, è cacciare Berlusconi. I danni prodotti da
questo governo sono gravissimi in tutti i campi: dalla giustizia
all’informazione, dalla scuola ai diritti, dal lavoro al Mezzogiorno, per
arrivare fino all’attacco alla Costituzione e alla Resistenza. Non c’è alcuna
incertezza da parte nostra sul fatto che si debba fare qualsiasi cosa alle
prossime elezioni pur di impedire che Berlusconi governi il paese per altri
cinque anni.
Ma, detto questo, per entrare in un governo e quindi assumersi le
responsabilità per intero delle politiche di una legislatura – poiché sarebbe
improponibile ripetere la rottura fatta con Prodi nel ’98 – non è sufficiente
la convergenza contro Berlusconi, per entrare in un governo ci deve essere una
convergenza anche per fare qualcosa di realmente alternativo alla destra e al
liberismo.
E qui sta il difficile. Poiché per Rifondazione Comunista vanno tenuti assieme
due concetti: battere la destra, ma battere anche le politiche di destra.
Negli anni 90 il centro-sinistra ha già sconfitto Berlusconi, ma
contemporaneamente, quando è andato al governo, non ha attuato una politica
alternativa alla destra, creando le condizioni, nel 2001, per la rivincita di
Berlusconi.
Per intenderci, per noi battere la destra e le politiche di destra significa:
- essere contro la guerra in Iraq, ma anche in Kosovo;
- essere contro la legge 30, ma anche il Pacchetto Treu;
- essere contro la legge Bossi-Fini, ma anche la Turco-Napolitano;
- essere contro le leggi Moratti, ma anche la Berlinguer;
- essere contro la Devolution, ma anche la modifica del Titolo V.
Se non si uniscono questi concetti, si contrastano solo gli eccessi della
destra, ma non i connotati di fondo della sua politica. E io credo che se noi
entriamo in un governo e non riusciamo a tenere uniti questi due corni, saremo
travolti dal risentimento popolare, poiché il malessere dei ceti più deboli
non si scaricherà certamente sulla Margherita o sui Ds, ma su Rifondazione
Comunista, che verrà individuata come il soggetto più incoerente in quella
situazione.
I compagni della mozione “Per una alternativa di società” sostengono che oggi,
a differenza di alcuni anni fa, il centro-sinistra si sarebbe spostato a
sinistra e la presenza di forti movimenti nella società ci consentirebbe di
entrare in un governo riuscendo, con una pressione dal basso, a costringerlo
su scelte a noi favorevoli.
Ritengo questa valutazione non corrispondente alla realtà. Non è vero che sui
nodi di fondo la componente maggioritaria del centro-sinistra (Sdi-Margherita-Maggioranza
Ds) abbia operato una modifica rispetto alle scelte degli anni 90. Più di
tutto parlano i documenti. E i documenti più importanti di cui disponiamo,
allo stato attuale, sono:
1) il documento di Prodi scritto alcuni mesi fa, dove si rivendica la guerra
fatta contro la ex-Jugoslavia;
2) il documento scritto da Giuliano Amato come progetto costitutivo della
lista Uniti nell’Ulivo, dove si sostiene la necessità di proseguire nella
politica di liberalizzazioni;
3) i documenti congressuali della Margherita e della maggioranza DS, dove
sono evidenti le continuità con le politiche di liberismo temperato degli anni
90.
Oltre ai documenti, abbiamo anche recentissime dichiarazioni, a mio giudizio
preoccupanti. Ne prendo qualcuna a caso: Rutelli: “Vinceremo se terremo il
centro della arena”; Bersani: “Sostenere la redistribuzione del reddito per i
ceti medio-bassi e difendere l’universalismo dei sistemi di welfare mi suona
molto come una posizione moderata”; Prodi: “Se ci fossero dei soldi per
abbassare le tasse io li utilizzerei per ridurre il costo del lavoro”; D’Alema:
“Il nostro scopo principale non dovrà essere quello di cancellare le leggi del
governo Berlusconi”.
Non mi pare che da queste dichiarazioni e da questi documenti vi siano
spostamenti a sinistra. D’altra parte non è un caso se attorno a questo
progetto di liberismo temperato si sia costituita la lista Uniti nell’Ulivo e
adesso si cerchi di fare un ulteriore passo con la costruzione del Partito
Riformista; da questo punto di vista, il fatto che nel congresso dei Ds, che è
attualmente in corso, si profili una maggioranza molto ampia attorno alle
posizioni Fassino-D’Alema conferma, purtroppo, che non vi è nessuno
spostamento a sinistra di questo partito, semmai il contrario. Certo, è vero
che alla sinistra del Listone vi sono forze politiche sociali e di movimento
molto importanti che in questi anni sono cresciute e hanno costruito spesso
battaglie comuni nel paese e nel Parlamento. E non siamo certamente noi a
sottovalutare spostamenti importanti rispetto agli anni 90 operati da
organizzazioni quali la Fiom, la Cgil o l’Arci, oppure la presenza di un
movimento per la pace che ha portato in piazza milioni di persone.
Ma se da un lato noi dobbiamo valorizzare questa situazione senza però
renderla più grande di quanto non sia (legge 30 e pensioni sono passate senza
scioperi e la strage di Fallujia è passata senza mobilitazione alcuna) non
dobbiamo cadere nell’errore di lasciare sulle spalle dei movimenti il peso di
costruire una opposizione nel paese. Su questo – io credo – noi scontiamo un
grave errore di percorso nel costruire l’intesa per cacciare Berlusconi. Sono
convinto che invece di entrare nella GAD, scelta - tra l’altro - che il
partito non ha mai discusso in nessuna istanza,
noi dovevamo lanciare con forza la proposta
della Sinistra di Alternativa, per tre motivi:
1) le elezioni europee hanno dimostrato che nel momento in cui la componente
moderata del centro-sinistra accelera il processo di unificazione, si apre uno
spazio politico rilevante, il 13%, che in realtà può essere ancor più
significativo perché non comprende la Sinistra Ds, che converge
tendenzialmente su una posizione più radicale.
2) La necessità di costruire un programma di governo avanzato, alternativo a
Berlusconi, poteva avere nella proposta di Sinistra di Alternativa, aperta ai
movimenti di tutti i tipi, un primo importante impulso.
3) Con un accordo su una piattaforma comune della Sinistra di Alternativa e
dei movimenti, avremmo potuto pesare maggiormente nel confronto programmatico
con il centro-sinistra.
Si è scelta un’altra strada che noi contestiamo e che riteniamo indebolisca
sia l’efficacia dell’iniziativa del nostro partito, sia la possibilità di
portare le istanze dei movimenti nel confronto programmatico.
Quali sono stati questi passaggi sbagliati?
▪ Aver dato per scontato, nelle numerose interviste di questa estate, che
Rifondazione Comunista, ancor prima della discussione programmatica, ha
sostanzialmente deciso di entrar nel governo.
▪ Aver accettato il meccanismo delle Primarie che sono una ulteriore
accentuazione del sistema maggioritario bipolare dell’alternanza. Non a caso
sono utilizzate in America e sono un ulteriore passo verso la
personalizzazione della politica.
▪ Soprattutto, in un’intervista al Corriere della Sera aver accettato, il
vincolo di maggioranza sulla guerra qualora questa decisione ottenga la
maggioranza attraverso primarie che coinvolgono il corpo elettorale. Non siamo
d’accordo. Così come la Fiom dice “sui licenziamenti non si vota”, così
Rifondazione deve dire “sulla guerra non si vota”, siamo contro a prescindere,
da chiunque la guerra sia dichiarata.
Proponiamo un altro percorso. Si apra subito la discussione programmatica, la
si finisca di discutere di GAD, Alleanza, Ulivo, Primarie a 1,2,3,4 o 5. Non
interessa a nessuno.
Il partito deve darsi alcuni punti
programmatici, discussi con i movimenti e la Sinistra di
Alternativa, al di sotto dei quali non può esserci un impegno diretto di
governo:
1) L’impegno formale al rifiuto della guerra da chiunque dichiarata, Onu
compresa. Questo più che un punto è un preambolo, senza questo elemento di
chiarezza, in un contesto internazionale che con la rielezione di Bush tenderà
ad aggravarsi, noi non dobbiamo accettare di entrare in nessun governo
argomentandolo con il fatto che non vi è un impegno preciso contro la guerra
senza se e senza ma.
2) Abrogazione delle leggi più reazionarie varate dalla destra (Legge 30,
Bossi-Fini, Pensioni, Moratti).
3) Introduzione di un meccanismo automatico di recupero di salari, stipendi e
pensioni.
4) Una legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro, come
chiede la Fiom.
5) L’istituzione di una “Agenzia per il lavoro” che si proponga di ridurre il
tasso di disoccupazione per il Mezzogiorno.
Questi riteniamo debbano essere gli obiettivi minimi al di sotto dei quali,
pur mantenendo la disponibilità ad unire le forze per sconfiggere Berlusconi,
non possiamo entrare in un governo.
Come avrete letto anche nella mozione “Un’alternativa di società” ci sono
alcuni di questi punti, ma a nostro parere sono largamente insufficienti
poiché manca un riferimento esplicito sulla guerra, sul recupero automatico
dei salari e sulla abrogazione della controriforma delle pensioni, ma a parte
questo anche su quei pochi punti non vi è alcun vincolo esplicito per
stabilire se si entra o meno nel governo qualora venissero respinti.
La nostra posizione è quindi chiara ed è quella sostenuta da sempre da
Rifondazione Comunista: gli accordi si fanno a partire dai contenuti. Nessun
rifiuto aprioristico, ma nessuna accettazione senza impegni programmatici
precisi, scritti e vincolanti.
Un altro tema centrale della nostra mozione è il tema del lavoro. Mentre
abbiamo assistito in questi ultimi anni, anche a sinistra, al fiorire di
infinite teorie sulla fine del lavoro, sul superamento della centralità della
contraddizione capitale/lavoro, tutti i dati statistici, in Italia e ancor di
più nel mondo, ci dicono che i lavoratori non sono diminuiti, ma sono
aumentati. Certo, il lavoro è cambiato, la fabbrica si è parcellizzata, ad una
produzione di serie finalizzata al magazzino si è sostituita la produzione
personalizzata finalizzata al mercato, ma ciò che rimane costante in questo
processo è lo sfruttamento della forza-lavoro, che, paradossalmente proprio
nel momento in cui è stata decretata la morte del lavoro si è brutalmente
intensificato. Dalla sconfitta della Fiat ad oggi è stato un susseguirsi di
arretramenti e peggioramenti della condizione lavorativa. La responsabilità
delle organizzazioni sindacali e anche della Cgil, già a partire dalla linea
dei sacrifici dell’Eur, è massima. Sul versante politico, con l’eccezione del
Pci del periodo di Berlinguer che ha avuto il coraggio di recarsi ai cancelli
della Fiat e di sostenere il referendum in difesa della scala mobile
nonostante Lama e metà partito fossero contrari, sul versante politico –
dicevo – l’accettazione delle compatibilità e la subalternità al Psi di Craxi
ha portato i lavoratori a una sconfitta storica.
Una sconfitta che prosegue anche per tutti gli anni 90 in conseguenza della
scelta della concertazione da parte dei sindacati e di governi, anche di
centro-sinistra, che hanno continuato a individuare nel costo del lavoro e in
presunte rigidità del mercato del lavoro i punti su cui intervenire per
rispettare i dettami dell’Europa di Maastricht e del Fondo Monetario
Internazionale. Il risultato di questi venti anni di sacrifici è stato un
ingente spostamento di ricchezza dai salari, stipendi e pensioni alla rendita,
ai profitti, una riduzione drastica dei diritti nei luoghi di lavoro, il
ribaltamento della modalità di assunzione che è passata dal contratto a tempo
indeterminato al contratto a tempo indeterminato come eccezione. Insomma, un
gigantesco processo di precarizzazione, di aumento dello sfruttamento, di
riduzione del potere d’acquisto, di riduzione della capacità contrattuale
delle organizzazioni sindacali.
Per le giovani generazioni ormai il lavoro precario diventa una normalità, con
tutte le conseguenze che questo comporta: l’insicurezza, l’impossibilità di
programmarsi un futuro e inoltre, in conseguenza delle ultime controriforme
pensionistiche, l’impossibilità di avere una pensione che ti possa consentire
di sopravvivere, a meno che tu non riesca a pagarti una pensione integrativa.
Per i migranti lo sfruttamento è ancora più bestiale, anche perché ad esso si
associa la condizione di discriminazione nella società, di difficoltà ad
ottenere permessi e regolarizzazioni, di difficoltà nel trovare oltre che un
lavoro dignitoso e pagato regolarmente, un’abitazione a prezzo accessibile.
Insomma i migranti, che il governo con la Bossi-Fini e con la costruzione del
Centri di Permanenza Temporanea cerca di gestire con lo sfruttamento e la
repressione, sono sempre più parte integrante del nuovo proletariato con cui è
decisivo costruire un’iniziativa politica e di lotta.
Nel Mezzogiorno, questa condizione complessiva è ancora più pesante poiché si
inserisce in un contesto dove i governi che si sono succeduti dal dopoguerra
non hanno fatto nulla per ridurre il divario con il Nord: quasi nulla è stato
fatto per la realizzazione di quegli interventi basilari sulle infrastrutture
quali ferrovie, servizi, strade, ponti, senza i quali qualsiasi ipotesi di
investimenti produttivi resta una pura utopia. In compenso il governo ha
investito sull’Alta velocità – opera d’alto impatto ambientale che riduce di
poco i tempi di percorrenza nel centro-nord, mentre al sud il sistema
ferroviario è in molti tratti a binario unico e non elettrificato. E oggi
Berlusconi vorrebbe costruire il Ponte sullo Stretto, opera inutile e
distruttiva dell’ambiente.
Ecco, rispetto a queste problematiche: lavoro, precariato, migranti,
Mezzogiorno, ambiente, negli ultimi anni si sono sviluppate lotte importanti.
In particolare, grazie alla nuova linea assunta dalla Fiom, a partire dal 2001
si sono realizzati scioperi, vertenze, contratti, che hanno ridato
protagonismo ai lavoratori: Fincantieri e soprattutto Melfi, anche
simbolicamente, hanno lasciato intravedere che non solo si può resistere
all’offensiva padronale, ma si possono anche strappare risultati, così come il
May Day di Milano e la manifestazione del 6 novembre a Roma ci dicono che il
mondo del precariato si sta organizzando e le lotte di Scanzano, Acerra,
Rapolla, Terlizzi, ma anche Melfi, Termini Imerese e Polti di Cosenza, ci
parlano di un Sud che vuole riscattarsi.
IL NOSTRO PARTITO
Il nostro partito sconta un limite grave nel radicamento nei luoghi di lavoro,
di presenza nelle organizzazioni sindacali. Da tutte le statistiche pubblicate
che analizzano il nostro elettorato e i nostri iscritti emerge chiaramente che
nel nostro partito i lavoratori non sono la componente più significativa.
Non dimentichiamoci che la mutazione genetica del Partito Comunista Italiano
avvenne parallelamente alla fuoriuscita dai gruppi dirigenti e dalle
istituzioni di quadri e militanti provenienti dal mondo del lavoro.
Noi riteniamo, e questo lo sottolineiamo con forza nella mozione, che il
nostro partito debba rimettere al centro delle sue iniziative i temi del
lavoro, della condizione dei lavoratori (non dimentichiamoci che nel nostro
paese ci sono 1400 morti sul lavoro ogni anno) e quindi è grave che in questi
anni i pochi circoli che erano presenti nei luoghi di lavoro si siano
ulteriormente ridotti, così come è inspiegabile il fatto che i compagni di
Rifondazione Comunista iscritti alla Cgil abbiano contribuito in modo
determinante – nello scorso congresso della Cgil - al risultato della
componente di sinistra Lavoro Società/Cambiare Rotta e non abbiano potuto
avere un loro rappresentante nella segreteria nazionale della stessa Cgil. A
tutti questi limiti pensiamo si debba porre rimedio assumendo, già in questo
congresso, la centralità del lavoro, ponendo di conseguenza al centro
dell’iniziativa politica delle nostre strutture centrali e periferiche, una
attenzione prioritaria su questi temi.
Ma i limiti del partito non sono riferibili esclusivamente al suo scarso
radicamento nei luoghi di lavoro e alla sua scarsa presenza nelle
organizzazioni sindacali, il problema è più generalizzato e investe una crisi
seria di tutta la nostra struttura organizzata.
Da anni ormai registriamo un calo costante degli iscritti. Il dato
preoccupante è che, mentre fino al 1998l’elevato turn over era compensato
dall’ingresso di nuovi iscritti, dal 1999 ad oggi il saldo tra mancate
iscrizioni e nuovi iscritti si chiude negativamente, portando il numero totale
di adesioni al partito al punto più basso della sua storia. Ciò è ancora più
grave e contraddittorio poiché avviene in concomitanza con una crescita di
movimenti (no global, per la pace, sindacali), come non si vedeva da tempo e
all’interno dei quali il nostro partito vi è stato molto di più di tanti
altri. Certo, non ci sfugge una difficoltà che riguarda tutti i partiti con
basi di massa, in particolare della sinistra, ma la crisi della nostra
organizzazione riteniamo sia una conseguenza di limiti soggettivi e
soprattutto di scelte politiche e organizzative sbagliate.
A questo proposito è indicativo il fatto che nonostante gli iscritti calino
sistematicamente da 5 anni, non si sia mai tenuta una riunione del Comitato
politico nazionale o della Direzione per capirne le cause e trovare, se
possibile, i rimedi. Sono state annunciate ripetutamente conferenze
organizzative che non si sono mai tenute, ma soprattutto sono state introdotte
pseudo-innovazioni allo scorso congresso che – di fronte ad un fallimento
indiscutibile – dovrebbero essere riviste. In nome di una vulgata, assunta
anche da Rifondazione Comunista, che tendeva ad equiparare tutto quanto aveva
a che fare con i partiti e con l’organizzazione come un fattore negativo,
antidemocratico, burocratico, novecentesco, si è proceduto allo smantellamento
del dipartimento nazionale dell’organizzazione, si sono diradate fino a
scomparire le riunioni nazionali dei responsabili organizzativi delle
federazioni, sono stati estromessi dagli esecutivi i tesorieri, determinando
il fatto che l’importantissimo tema dell’autofinanziamento diventasse
marginale nel lavoro del partito. La stessa discussione collettiva sulla
gestione nazionale delle risorse – che la nuova legge sul finanziamento
pubblico rende assai più cospicue che in passato – avviene in ambienti sempre
più ristretti e discrezionali.
Sono stati tolti dagli organismi dirigenti del partito, Comitati federali e
Comitato politico nazionale, i segretari di circolo e di federazione; il
tesseramento e la ricerca di nuovi iscritti non è quasi mai oggetto di
discussione politica, la stessa scelta di posticiparne l’inizio da novembre a
gennaio si è rivelata sbagliata e il tutto viene lasciato ai soliti pochi
compagni, sempre meno purtroppo, che una volta all’anno fanno il giro degli
iscritti per ritesserarli. Un esempio allarmante di come questo quadro non
rappresenti una forzatura, ci è dato dalla scarsa partecipazione – la più
bassa della nostra storia – alla manifestazione nazionale di settembre che
abbiamo tenuto qui a Roma in piazza del Popolo.
Noi chiediamo che queste pseudo-innovazioni attuate allo scorso congresso
vengano riviste. Già allora – ricorderete – noi presentammo un emendamento sul
partito che denunciava questi pericoli, che chiedeva una maggiore attenzione
alla nostra organizzazione, ci venne risposto che ci attardavamo su modalità
organizzative che ormai erano superate e che la sola presenza nei movimenti
avrebbe consentito al nostro partito di crescere. Non è stato così. Anzi, al
progressivo indebolimento delle nostre strutture organizzative si è affermata
parallelamente una modalità sempre meno democratica di assunzione delle
decisioni sia organizzative che politiche.
Questa autoriforma del partito che doveva aumentare il coinvolgimento dal
basso, la collegialità – ricordate l’enfasi del “partito a rete”? – si è
paradossalmente sostanziata nel suo opposto ed oggi ci troviamo a leggere sui
giornali o ad ascoltare in trasmissioni televisive cambiamenti sostanziali di
linea politica.
Così come non possiamo non rilevare una pesante contraddizione, da parte dei
compagni della maggioranza, tra il sostenere in tutte le sedi un distacco e
una critica all’autoritarismo che avrebbe contraddistinto i comunisti del 900,
e la decisione di commissariale il Comitato regionale della Calabria solo
perché il nuovo segretario regionale aveva votato gli emendamenti.
Così come è contraddittorio parlare di democrazia, contaminazione, pluralità e
poi costituire gruppi parlamentari che escludono le minoranze; e non c’è molta
coerenza nel contrastare il sistema maggioritario all’esterno e praticarlo,
teorizzandone la validità, all’interno del partito, per cui con il 51% si
prende il 100%.
Noi riteniamo che alla base delle difficoltà e della crisi del nostro partito
vi siano queste cause, queste scelte sbagliate.
Il non coinvolgimento dei circoli determina la convinzione di non contare
nulla e ciò porta progressivamente al disorientamento, alla passività e alla
disaffezione. Il partito si trasforma sempre più in partito leggero, mediatico,
legato alle istituzioni dalle quali sempre più dipende economicamente; inoltre
i militanti più attivi coincidono sempre più spesso con i compagni inseriti
nelle istituzioni ai vari livelli.
Noi proponiamo una riforma di questo partito in senso democratico e
partecipativo. All’inizio di Rifondazione Comunista, ragionando sul nostro
modello organizzativo, si parlava di “piramide rovesciata”. Facevamo questo
ragionamento poiché avevamo visto – e in molti vissuto – la degenerazione
burocratica dell’ultimo Pci; forse erano parole d’ordine - la piramide
rovesciata, il circolo come luogo prioritario della elaborazione della linea
politica – un po’ ingenue, ma oggi siamo all’opposto e così si rischia il
distacco tra base e vertice.
Proponiamo una vera e propria rigenerazione democratica del partito, che
esalti il carattere collegiale e unitario della direzione politica.
Unità, collegialità, democrazia, rispetto delle diversità e ricerca della
sintesi sono valori da affermare sia nella cultura che nella pratica del
partito. Proponiamo una partecipazione effettiva del corpo attivo del partito
all’elaborazione della sua linea. Proponiamo che i circoli ridiventino non
solo i luoghi principali dell’iniziativa politica sul territorio, ma anche la
sede dove si discutono le decisioni principali che il partito assume.
E’ giusto criticare la cristallizzazione del nostro dibattito interno e una
pericolosa deriva correntizia, ma occorre sapere che questo è il prodotto del
rifiuto pregiudiziale della sintesi.
Per quanto ci riguarda, anche nello svolgimento di questo congresso, siamo
stati l’unica mozione che ha proposto fino alla fine non un congresso a
mozioni contrapposte, ma un congresso con documenti a tesi emendabili;
rispetto a questa ipotesi è stato posto dalla maggioranza un sistematico
rifiuto.
Proponiamo, affinché il radicamento del partito nei territori, nei luoghi di
lavoro e di studio, non resti uno slogan privo di riscontri, che si decida un
cospicuo investimento in mezzi e in risorse perché ciò si realizzi. A questo
proposito va stabilita una quota parte di finanziamento pubblico che, ogni
anno, deve essere obbligatoriamente investita per il radicamento capillare del
partito e delle sue sedi. Proponiamo che si riprenda la politica dell’acquisto
delle sedi che negli anni passati ci aveva consentito di dotare numerose
federazioni provinciali e anche circoli territoriali di un luogo di proprietà,
risparmiando sugli affitti e dotando il partito, nel suo insieme, di una
robusta solidità finanziaria.
Proponiamo di investire nel lavoro di formazione – non si tratta di allestire
corsi di “indottrinamento”, ma di considerare la crescita culturale e politica
dei quadri un fattor decisivo per la capacità stessa dei circoli di fare
politica in modo intelligente ed adeguato ai tempi. Una conoscenza non
dogmatica delle opere dei dirigenti più importanti del movimento comunista e
socialista, nonché una adeguata preparazione al fare politica nella società e
nelle istituzioni possono contribuire a formare i compagni e le compagne, a
superare approcci pragmatici ed elettoralistici ancora troppo diffusi.
Proponiamo infine che il nostro giornale Liberazione – ne approfittiamo per
formulare i migliori auguri di buon lavoro al nuovo direttore – pur nella
giusta distinzione di ruoli e di autonomia rispetto al partito, diventi sempre
più uno strumento nel quale ogni militante o simpatizzante possa riconoscersi.
Per realizzare ciò, la direzione deve tenere conto della pluralità di
orientamento, di pensiero che sono presenti nel partito, ma anche
nell’elettorato e quindi tra i lettori del giornale. A questo proposito ci
sentiamo di suggerire maggior intervento e approfondimento (magari riducendo
le notizie un po’ banali legate alla quotidianità politica) sul mondo del
lavoro, sulle questioni internazionali informandoci anche sulle forze
rivoluzionarie e comuniste nel mondo. Faccio tre esempi per farmi capire e che
potrebbero aiutare anche la nostra riflessione politica sul tema del governo.
In Brasile la vittoria di Lula è stata salutata giustamente come un fatto
importante, oggi sta attraversando un momento di difficoltà ed è sottoposto ad
una critica da sinistra da parte di importanti movimenti come i Sem Terra.
Sappiamo che tra le forze di governo vi è anche il partito comunista
brasiliano: sarebbe interessante sapere cosa dice, quali sono le sue
difficoltà, qual è il suo dibattito interno.
Secondo esempio, in Sudafrica, paese importantissimo del continente africano
con tassi di sviluppo elevati, vi è un forte partito comunista, presente nel
governo: quali sono le sue posizioni, cosa sta facendo, quali le sue
difficoltà? Non sappiamo quasi nulla.
Infine, terzo esempio, l’India. Oltre un miliardo di persone. Recente vittoria
elettorale delle forze progressiste grazie ai voti dei due partiti comunisti
che raccolgono circa il 15% dell’elettorato. Hanno scelto di appoggiare il
governo dall’esterno: perché? Con quali risultati? Con quali problemi?
Sarebbero informazioni utili e, credo, non prive di interesse anche per i
lettori di Liberazione.
L’IDENTITA’ E LA NOSTRA STORIA
L’ultimo punto che vorrei toccare, in questa mia illustrazione della mozione,
riguarda il tema dell’identità e del rapporto con la nostra storia.
Su questa questione ci siamo trovati in questi ultimi anni a dover replicare
non solo ad un’offensiva che ci veniva portata dai nostri avversari – dal
Libro nero del comunismo agli attacchi continui di Berlusconi nei confronti
dei comunisti – ma anche dall’interno della Sinistra. Basta ricordare le
abiure avanzate a piene mani da Occhetto e da chi ha deciso nel 1989 di
avviare il processo di scioglimento del Pci, passando per l’attacco alla
Resistenza partigiana del “chi sa parli” di Otello Montanari, ai ragazzi di
Salò di Violante e ai libri di Pansa, per arrivare al libro di Revelli “Oltre
il Novecento” fino a dichiarazioni fatte anche dal nostro partito secondo le
quali il Novecento sarebbe un cumulo di errori e di orrori, che avremmo
“angelizzato” la Resistenza e che tutti i grandi pensatori del Novecento sono
morti non solo fisicamente, ma politicamente.
Non ci riconosciamo in questi bilanci che riteniamo storicamente e
politicamente errati.
Il movimento comunista ha dato forza alla rivendicazione dei diritti
fondamentali delle masse lavoratrici e si è sempre schierato contro la guerra.
L’insegnamento dei suoi più grandi dirigenti del Novecento – da Lenin a
Gramsci – è ancora un contributo prezioso per la analisi critica della società
capitalistica.
Le grandi rivoluzioni che si sono susseguite dopo il 1917 hanno liberato
sterminate masse di popolo e inaugurato una nuova epoca storica, nella quale
si colloca la nostra esperienza di comunisti. La Resistenza antifascista –
nella quale furono in prima fila i partigiani comunisti – e a questo proposito
siamo orgogliosi di avere come primo firmatario della nostra mozione il
comandante Giovanni Pesce, Medaglia d’Oro alla Resistenza; la Resistenza
antifascista, dicevo, ha permesso al nostro paese di riacquistare dignità,
libertà e democrazia dopo l’infame vicenda del fascismo, delle sue leggi
razziste e della guerra al fianco di Hitler.
Insomma, crediamo di non fare una forzatura nel sostenere che la storia
dell’umanità si troverebbe ad uno stadio ben più arretrato se non ci fossero
state le grandi rivoluzioni socialiste del Novecento.
Di questa storia siamo orgogliosi e non ne dimentichiamo i limiti e le pagine
buie, ma non condividiamo atteggiamenti liquidatori. La critica netta degli
errori e dei processi degenerativi che hanno macchiato alcuni momenti della
storia del movimento comunista e del “socialismo reale” fa irreversibilmente
parte del nostro patrimonio culturale, politico e morale. Siamo consapevoli
della loro portata e delle gravi conseguenze che ne sono derivate per chi non
ha disertato la lotta nel nome del comunismo. Avvertiamo ogni giorno
l’esigenza di capire meglio ciò che ha determinato la sconfitta di grandi
esperienze storiche.
Ma il necessario riconoscimento delle pagine buie della storia del movimento
operaio e comunista non ci impedisce di comprendere che oggi il pericolo
maggiore è di fuoriuscire da questa storia. Siamo quindi interessati ad un
bilancio critico non ad una abiura. Siamo interessati a riflettere sulla
nostra storia, ma non a tirarci una riga sopra. Rivisitare la storia non
significa rimuoverla. Insomma, siamo per la rifondazione comunista, non per la
rimozione comunista.
Per quanto riguarda la nostra nuova identità, proposta recentemente in alcuni
convegni ed interviste, non condividiamo la assunzione della teoria della
nonviolenza come nuovo tratto identitario di Rifondazione Comunista. La
violenza purtroppo è insita nel sistema di dominio capitalistico. E’ insita in
un sistema che si regge sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quindi
sosteniamo che le forme di lotta dipendono dal contesto in cui si praticano.
Oggi in Italia è possibile praticare la lotta pacifica anche perché ieri i
partigiani, con le armi in pugno, hanno sconfitto il fascismo; per contro in
Iraq – dopo una guerra e una occupazione illegittime – il popolo iracheno è
costretto a dare vita ad una Resistenza anche armata per sconfiggere gli
invasori.
Così come non condividiamo il concetto secondo il quale i comunisti non
lottano per conquistare il potere. Questa tesi ci pare non solo estranea alla
nostra storia, ma incomprensibile. Cercare di entrare in un governo e chiedere
ministri non significa lottare per avere un potere? Non c’è mai nella realtà
un vuoto di potere. Perdere di vista questo terreno significherebbe rinunciare
alla lotta politica e renderebbe nei fatti impraticabile l’obiettivo della
trasformazione in senso socialista della società.
Tra l’altro, come è facile dimostrare, queste due proposte – la nonviolenza e
il rifiuto del potere – che ci vengono presentate come due proposte innovative
sono in realtà teorie assai datate, sostenute dai movimenti anarchici o
cristiani contro i quali hanno scritto pagine straordinariamente efficaci già
Marx, Gramsci e tanti altri. Quindi non di innovazioni si tratta, ma di
riesumazioni di vecchie e consunte ideologie.
Abbiamo e proponiamo una concezione diversa della innovazione. Essa non
prescrive soluzioni calandole dall’alto, ma vive di uno stile di lavoro
partecipato e collettivo. Non comporta il rigetto dell’esperienza storica del
movimento comunista, ma quel continuo rinnovamento che ha consentito ai
comunisti di fornire un contributo decisivo alle lotte del proletariato di
tutto il mondo. La vera innovazione consiste nella difficile impresa di
confrontarsi con i nuovi orientamenti teorici e culturali senza smarrire il
filo della lotta di classe contro il capitalismo e della solidarietà con le
lotte di resistenza e di liberazione dei popoli; nel vivere col massimo
impegno le esperienze di movimento perseguendo al tempo stesso l’obiettivo
della ricomposizione di classe; nel saper valorizzare, senza settarismi, ogni
contributo di idee e di esperienza che possa aiutare la costruzione di un
“nuovo mondo possibile”.
Abbiamo chiamato la nostra mozione ESSERE COMUNISTI, non per un fatto
nostalgico, perché siamo legati ad un passato pur glorioso, ma perché
riteniamo che oggi nel nuovo millennio, di fronte alle ingiustizie del mondo,
alle guerre, alla distruzione dell’ambiente, alle persone che muoiono di fame,
di sete, di malattie curabili mentre si bruciano risorse incalcolabili in
armamenti, non ci sia nulla di più moderno del comunismo, di una società
liberata dallo sfruttamento e dalla guerra.
Siamo consapevoli che è una battaglia di lunga lena e che non sempre ci è
concesso di scegliere i modi con cui combatterla. Ma noi intendiamo perseguire
questa prospettiva storica di liberazione dell’umanità che rappresenta il
fondamento irrinunciabile del nostro essere comunisti.
Con questo congresso e, raccogliendo un consenso significativo attorno alla
nostra mozione, noi possiamo dare un grande contributo in questa direzione.
Ce ne sono tutte le condizioni, compagne e compagni, le richieste di adesione
alla nostra mozione aumentano di giorno in giorno e la nostra presenza è ormai
radicata su tutto il territorio nazionale, in tutte le federazioni.
Come sempre dobbiamo associare la passione – che non ci manca – all’impegno e
al lavoro sistematico e quotidiano già da domani con la consapevolezza che il
progetto per rafforzare in questo paese un partito comunista con basi di massa
passa attraverso un buon risultato della nostra mozione. A tutti noi un buon
lavoro.
[bozza non corretta]
E’ IN PREPARAZIONE UN VIDEO – SINTESI DELLA
MANIFESTAZIONE DEL 27 NOVEMBRE
Per prenotare una copia scrivere a
silvia.digiacomo@tiscali.it