Insegnate ai bambini

 

Insegnate ai bambini che trentasei anni fa c’erano tanti giovani diversi, migliori; che si sarebbero sentiti vivi e felici solo se lo fossero stati anche tutti i loro simili.

Insegnate ai bambini che quei giovani la notte si addormentavano con la speranza che la mattina dopo si sarebbero svegliati in un mondo migliore, più giusto; e con la certezza che ognuno di loro avrebbe fatto qualcosa per creare quel mondo migliore e più giusto. Insieme agli altri.

Insegnate ai bambini che quei giovani, per costruire quel mondo, avevano imparato a lottare divertendosi e a divertirsi lottando. Nelle scuole, nelle università, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle parrocchie.

Insegnate ai bambini che la passione, la vitalità, l’idealità, l’innocenza di quei giovani furono violentate, uccise un pomeriggio di dicembre. A Milano. In una banca. Da coloro che non volevano un mondo migliore, che difendevano il mondo peggiore; che non volevano che quei giovani lottassero, che si divertissero in un modo diverso da quello “normale”, in quel modo così diverso, “sovversivo”. Furono uccise pur di difendere il mondo peggiore.

Insegnate ai bambini che quel pomeriggio di dicembre coloro che difendevano il mondo peggiore non esitarono a uccidere, con l’innocenza di quei giovani, in quella banca, diciassette vite umane inermi; che in quel momento compilavano un bollettino di conto corrente; che versavano l’incasso di una giornata di lavoro; che prelevavano i soldi per gli acquisti di Natale.

Insegnate ai bambini che, dopo che ebbero ucciso l’innocenza di quei giovani ed il corpo di quelle persone, coloro che difendevano il mondo peggiore vollero uccidere anche la dignità ed il corpo di altre persone: giovani, innocenti, idealiste. In un altro modo. Senza bombe. Con la galera. Con il complotto. Con l’esecrazione suscitata nelle persone “normali”. Pur di difendere il mondo peggiore.

Insegnate ai bambini che queste altre persone erano colpevoli esclusivamente di credere in una società retta solo dalle leggi della giustizia, della fratellanza, dell’amore.

Insegnate ai bambini che una di queste persone faceva il ballerino, un’altra il ferroviere. Era facile trentasei anni fa, e forse ancor oggi, ordire una trappola contro un ballerino e contro un ferroviere. Giovani. Innocenti. Anarchici.

Insegnate ai bambini che quel ballerino fu tenuto in galera tanti anni; fu descritto come un mostro; fu additato al pubblico orrore. Giovane. Innocente. Anarchico.

Insegnate ai bambini che il giornalista che, in televisione, leggendo una velina della questura di Milano, disse, per primo, di quel ballerino: “è stato catturato il mostro”, ha il cognome come il nome di un insetto. Che ronza molesto ancor oggi in televisione; nelle case di milioni di persone “normali”. Ogni sera. Porta a porta.

Insegnate ai bambini che quel ferroviere fu sequestrato per tre giorni nella questura di Milano; fu circuito; fu tormentato; fu torturato perché ammettesse una colpa tremenda che non aveva commesso: l’uccisione di quelle diciassette persone.

Insegnate loro che dopo tre giorni di quelle torture, di notte, quel ferroviere ebbe un malore e cadde dalla finestra di una stanza al quarto piano della questura, precipitando al suolo. Uno strano malore, un “malore attivo”; che lo fece cadere a peso morto sul selciato. Come inanimato. Come chi ha ricevuto prima un colpo di karate. Ed ha perso i sensi. E viene portato vicino ad una finestra. E diventa la diciottesima vittima; cadendo. Dalla finestra di un ufficio di polizia diretto da chi era già stato a capo di un confino fascista per oppositori politici, trent’anni prima.

Insegnate ai bambini che quelli che spiavano per conto di coloro che difendevano il mondo peggiore sapevano già poche ore dopo chi poteva aver messo quella bomba; chi poteva aver ucciso quelle diciassette persone. Ma non lo dissero. Mentirono. Mestarono. Depistarono. Protessero i colpevoli, fascisti. Perseguirono gli innocenti, anarchici. Ingannarono i magistrati che indagavano; le vittime che soffrivano; i giusti che trepidavano; la democrazia che moriva.

Insegnate ai bambini che per la strage di quelle persone si sono fatti undici processi. Per individuare alcuni colpevoli dopo che li si era assolti per sempre; altri dopo che erano fuggiti all’estero. Per vedere spioni di Stato ricercati da magistrati dello Stato e aiutati da altri pezzi di Stato a sfuggire alla cattura ordinata da quel primo pezzo di Stato. Per vedere avvocati difendere le vittime e poi i carnefici; e poi diventare presidenti di commissioni parlamentari sulla giustizia. Per vedere assassinare la giustizia; insieme a quei diciotto innocenti.

Insegnate ai bambini che per queste e per mille altre ragioni la strage di Piazza Fontana è una strage di Stato.

Insegnate ai bambini che per questa ragione lo Stato, il nostro Stato, si è autoassolto da questo crimine, da questi omicidi. Come da tanti altri: da quelli di Portella della Ginestra, di Reggio Emilia, di Avola, di Battipaglia, di Pino Pinelli, di Saverio Saltarelli, di Roberto Franceschi, di Piero Bruno, di Giannino Zibecchi, di Giorgiana Masi, di Carlo Giuliani….

Insegnate ai bambini il nome, il volto di uno soltanto di tutti quei morti di Stato; la storia della loro vita. Spesso è il modo migliore per capire le ragioni della loro morte.

Insegnate ai bambini che la lettura del grande libro della memoria non tollera salti: bisogna leggerle tutte le pagine, prima di girarle, per capire l’ultima. Quella che stiamo vivendo noi oggi.

Insegnate ai bambini che non esistono diritti conquistati per sempre, democrazie incrollabili, libertà inattaccabili; che questi valori vanno difesi ogni giorno. Con la passione civile, con l’intelligenza sociale, con la lotta democratica. Come quelle di quei giovani di trentasei anni fa.

            Fasano, 6\5\2005

           Stefano Palmisano

 

            Certo che non è per la violenza, è partigiano della fratellanza universale, lui vuole soltanto una società più umana” (Camilla Cederna, “Pinelli, Una finestra sulla strage”)

 

            Dopo trent’anni le stragi sono ancora e sempre ‘impunite’. È un’espressione ormai consunta. Perché mai lo Stato dovrebbe punire se stesso per quello che ha fatto? Perché dovrebbe , se i movimenti che lo misero in crisi, e per la cui repressione la strategia delle stragi prese corpo, non sono più sulla scena politica? Perché dovrebbe criticarsi, se i suoi più accesi critici hanno percorso in pochi anni la via del ‘pentimento’ e l’approdo al liberismo più selvaggio, al bellicismo senza remore, alla distruzione sistematica delle residue garanzie della forza lavoro?” (BimLeoncavalloOdradek, dalla Nota editoriale della riedizione del 1999 de “La strage di stato”)

 

           

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