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nr.2 - nuova serie - giugno 2001

Eros Barone

LE ARMI DELLA CRITICA


Eros Barone spiega, in un intervento che riprendiamo nei suoi stralci significativi dalla pubblicazione La locomotiva, del PRC di Ferno (Va), il senso del suo ultimo libro "Le armi della critica": la necessità di ricostruire il partito comunista e la validità del materialismo storico e dialettico 


LE ARMI DELLA CRITICA - Lettere alla "Prealpina" su argomenti di politica, economia e cultura. Prefazione di Fausto Bonoldi, Macchione ed., 1999

 

Il libro, come indica per altro il sottotitolo, offre una silloge degli interventi da me svolti nel corso degli ultimi tre anni, sotto forma di lettere e di articoli, su temi di carattere politico, economico e culturale e (quasi sempre) pubblicati dalla Prealpina, grazie allo spazio che alcuni giornalisti culturalmente aperti e politicamente sensibili garantiscono, nella rubrica delle "Lettere e opinioni", all'espressione di posizioni anticonformiste ed eterodosse rispetto all'ideologia dominante e, in particolare, rispetto alla tradizione piccolo-borghese, clericale, moderata e conservatrice che impera nel Varesotto e di cui la stessa Prealpina è storica (anche se non monolitica) espressione (oltre a Pisati, che è qui con noi, è dove roso ricordare Fausto Bonoldi, caporedattore centrale del giornale).

Orbene, il senso di questo libro è duplice: a) denuncia e demistificazione del 'pensiero unico'; b) rilancio del materialismo storico. L'ottica che contraddistingue gli interventi è focalizzata sulle questioni nodali da cui dipende, a mio giudizio, la rinascita del movimento comunista nel nostro Paese: la denuncia delle degenerazioni opportuniste, revisioniste, collaborazioniste e trasformiste della sinistra (qui elencate in ordine di gravità crescente) e la riaffermazione del ruolo antagonista e rivoluzionario di un movimento comunista degno di questo nome (cfr. l'alternativa fra Proteo e Anteo a pag. 70); la difesa e il rilancio della tradizione comunista del movimento operaio sia sul piano teorico sia su quello politico; la permanente necessità della mobilitazione antifascista e l'intransigente difesa del valore storico, politico e ideale della Resistenza; l'imprescindibile esigenza, per la ricostruzione del movimento comunista, di una teoria non solo politica ma anche filosofica (cfr. il dibattito sul rapporto fra teoria, prassi e verità); il compito, oggi più che mai irrinunciabile, di una lotta ideologica, coerente e permanente, contro l'oscurantismo clericale (cfr. la contestazione dell'iniziativa del liceo scientifico statale di Gallarate sulla Sindone, la condanna dell'infame odg. del Consiglio Comunale di Gallarate contro le coppie di fatto e la polemica condotta contro le posizioni di Luigi Patrini, professore ciellino dello stesso liceo ed ex-sindaco di Gallarate, sulla conversione di Concetto Marchesi 'in puncto mortis' e sulla diaspora cattolica); l'analisi marxista della crisi economica mondiale e la 'messa in opera' delle categorie interpretative della critica dell'economia politica; la battaglia per la difesa e la riaffermazione del carattere statale, formativo e laico della scuola; l'impegno sul terreno della divulgazione rigorosa del materialismo storico e dialettico; l'impegno, infine, sul terreno della ricostruzione della memoria di classe (cfr. p. 155).

Invito inoltre a prestare attenzione alle lettere non pubblicate, giacché hanno "sapor di forte agrume" (in particolare, la lettera intitolata Fides aut ratio a pag. 134 e la lettera intitolata Corsi, ricorsi e divini soccorsi a pag. 143).

In definitiva, due sono le indicazioni che provengono dalle Armi della critica: ricostruzione del partito comunista e conquista dell'egemonia (secondo la classica lezione di Gramsci). A chi sono rivolte queste indicazioni? La risposta, contenuta nell'introduzione del libro, è nitida: «E, proprio perché la storia continua, per l'essenziale, lungo il tracciato scoperto 150 anni fa da Marx e da Engels, i naturali destinatari di queste pagine sono i lavoratori, che sanno che la loro lotta sarebbe una vana fatica di Sisifo se, oltre a difendere il posto di lavoro e il salario, non mirasse ad abolire l'intero sistema del lavoro salariato; sono gli studenti che hanno compreso di quante sottili violenze e di quante cocenti ingiustizie sia gravida la società in cui vivono e che ricercano un'alternativa globale alla degradazione della vita sotto il capitalismo; sono infine gli intellettuali che non si sono venduti ai padroni vecchi e nuovi e che non rinunciano, per il timore di entrare in conflitto con i poteri costituiti, ad esercitare la loro essenziale funzione critica e antagonistica ».

La seconda questione ("come è possibile riuscire a collegare organica mente tre istanze fondamentali: la critica radicale dell'esistente, l'analisi positiva del presente e l'azione trasformatrice del movimento di classe?") si sdoppia in due distinti problemi concernenti, rispettivamente, la funzione della critica in una prospettiva rivoluzionaria e la ricostruzione del partito comunista. Rispetto al primo problema, per situare nella giusta prospettiva il mio contributo è opportuno rileggere il passo marxiano della «Introduzione» alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, da cui ho tratto il titolo del libro: «L'arma della critica non può sostituire la critica delle armi; la potenza materiale deve essere abbattuta dalla potenza materiale; però anche la teoria diventa potenza materiale non appena si impadronisce delle masse».

Con estrema concisione Marx spiega, in questo passo di una delle sue opere giovanili più importanti e decisive, perché la parola 'critica' esprime una categoria suprema del suo pensiero (di tutto il suo pensiero): e il motivo è chiaramente che si tratta di un pensiero rivoluzionario che implica una critica radicale dell'esistente (umano, sociale, storico). Circa la genesi di questo elemento critico, che costituisce un leitmotiv dell'intero sviluppo del pensiero di Marx, anche nelle sue fasi ed espressioni più si stematiche (cfr. Il Capitale), va ricordato che la formula citata ("critica dell'esistente") non era nuova: c'era già sia nella sinistra hegeliana (e lo stesso Marx l'aveva satireggiata nella Sacra famiglia, in cui Ruge, Bauer e Stirner, a causa del loro astratto radicalismo e del loro spirito elitario e piccolo-borghese, sono qualificati come gli esponenti della "critica critica"), sia nei "comunismi" e "socialismi" precedenti il socialismo scientifico, correnti dottrinali che infatti, nel Manifesto, Marx ed Engels definiscono "critico-utopistiche" e sottopongono a critica (in entrambi i casi abbiamo a che fare con un esempio di anticritica, ossia di critica della critica). La ragione di questa anticritica va ricercata nel fatto che, secondo Marx ed Engels, la critica dell'esistente non deve opporre un ideale all'esistente stesso, ma identificare in esso le potenzialità della sua trasformazione e indicare le vie reali per liberare queste potenzialità. Ciò, come tutti sanno, significa per essi la individuazione del soggetto rivoluzionario nel moderno proletariato.

Rispetto al secondo problema (il problema, cioè, della ricostruzione del partito comunista), mi limito ad avanzare la tesi seguente: occorre andare oltre un sapere semplicemente critico, inevitabilmente destinato a restare prigioniero entro gli effetti ideologici del pensiero borghese. In effetti, un sapere, per definirsi rivoluzionario, deve andare oltre l'oggetto criticato e questo è possibile solo quando la teoria è parte integrante di una posizione di classe rivoluzionaria. Ma una posizione di classe non può costituirsi senza una 'coscienza esterna', ossia senza un 'intellettuale collettivo' che, partendo dai punti più alti del pensiero borghese, elabori la conoscenza scientifica della società capitalistica e ne faccia il nucleo generatore della coscienza di classe, trasformando l'istinto di classe in una posizione di classe. D'altronde, come dimostra la sua stessa genesi, il marxismo non è un semplice riflesso della coscienza di. classe espressa dagli elementi avanzati della classe operaia e del ceto artigiano.

La ricostruzione del partito comunista, intesa ad un tempo come prospettiva teleologica entro cui inscrivere fin d'ora l'agire politico dei comunisti e come processo dialettico di interazione fra la teoria e la prassi, si rivela dunque come l'anello decisivo che, congiungendo la critica radicale dell'esistente all'analisi positiva del presente, le salda entrambe all'azione trasformatrice del movimento di classe.

L'ultima questione si può riassumere nella duplice domanda: quale contributo la cultura marxista può fornire all' integrazione di quelle tre istanze? e a quali condizioni può fornirlo?

Ebbene, la risposta alla prima domanda è che la cultura marxista può fornire un contributo essenziale a quella integrazione se si pone, in primo luogo, come espressione della lotta di classe e, in secondo luogo, se è capace di portarsi all'altezza dei problemi della società contemporanea. Ciò significa che la cultura marxista, se deve svolgere una funzione di trasformazione della società, deve accentuare sempre più il suo carattere di insegnamento. Né può accentuare tale carattere senza rispettare alcune condizioni minime, che corrispondono in sostanza ai caratteri fonda mentali del marxismo. Tali condizioni, che vanno rigorosamente garantite perché da esse dipendono sia la coerenza logica interna di questa cultura sia la sua corrispondenza conoscitiva con la realtà esterna sia la sua funzionalità pratica all' azione trasformatrice del movimento di classe, sono: 1) la teoria del valore e del plusvalore, concezione di base per l'analisi generale del sistema capitalistico e fondamento su cui poggia la teoria dello sfruttamento (quindi del profitto), analisi e teoria che sono costitutive della critica dell'economia politica; 2) la teoria del rapporto fra la struttura e le sovrastrutture, che è la teoria-chiave del materialismo storico ed afferma l'esistenza di un'opposizione dialettica tra la base materiale e la forma sociale (o forma antitetica dell'unità sociale), opposizione che costituisce il momento centrale del materialismo dialettico applicato all'analisi della società; 3) il senso della storia, che deriva dai due caratteri precedenti e si identifica con la visione dello sviluppo contraddittorio delle diverse forme sociali che si sono succedute (questo senso marxista della storia, lungi dall'essere qualcosa di generico, è in grado di individuare gli elementi di continuità e discontinuità che agiscono nei processi storici, perché si fonda sull'esame congiunto dei mo di di produzione e del loro divenire dialettico). La mancanza di uno solo di questi caratteri basta a snaturare il significato della cultura marxista ( e quindi a orientarla in direzione del revisionismo).



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