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nr.2 - nuova serie - giugno 2001

(Nicola Matarrese, 1947)

Organizzazione=totalitarismo?


L'articolo d'"attualità" scelto per questo numero di LP tratta dell’organizzazione comunista che non è mai sfuggita alle critiche di “totalitarismo” mosse non solo dall’esterno (eppure il modello organizzativo del PCI di quegli anni sarà sempre reso sinonimo di coesione ed efficienza) ma anche da alcune istanze di partito che debbono dar conto del loro lavoro e del perseguimento degli obiettivi preposti. 


UNITA’ PROLETARIA , anno III, nr.4 – 16 marzo 1947

Riportiamo l’articolo in fondo alla seconda pagina, rubrica Vita di Partito, firmato da Nicola Matarrese e titolato emblematicamente ORGANIZZAZIONE UGUALE TOTALITARISMO?:

“Prendendo spunto dall’articolo di cui al titolo, apparso nel n.3 del 19-1-47 di “Vie Nuove”, desideriamo chiarirlo in riferimento ad alcune organizzazioni di base dirette da compagni della nostra Provincia; i quali certamente non hanno letto e per conseguenza non agiscono secondo le direttive in esso contenute, direttive che non sono state neanche assimilate in alcuni settori della nostra organizzazione.

Ad un certo punto l’articolista di “Vie Nuove” scrive: “E’ chiaro che la funzione del Partito non può esaurirsi nella registrazione dei bisogni immediati delle classi lavoratrici e dei progressi conseguiti. In tal modo esso si ridurrebbe ad una entità senza prospettive, ad un semplice spettatore dello sviluppo delle classi lavoratrici, ad una loro inutile sovrastruttura.

“I compiti del Partito non possono, perciò, limitarsi a questa funzione meccanica e passiva di registrare quanto va succedendo ai lavoratori. Al contrario il Partito, essendo il “reparto d’avanguardia” (Lenin) dei lavoratori, deve vedere più lontano, deve essere la guida dei lavoratori”.

Una volta riconosciuta la funzione dirigente del Partito ne deriva, come inevitabile corollario, che il Partito, che deve assolvere il compito estremamente difficile di guidare i lavoratori nella lotta per la conquista del potere politico, ha bisogno di un’arma efficace e questa non può essere che l’organizzazione. Senza l’organizzazione, senza una disciplina unitaria, non sarebbe possibile al Partito proporsi per realizzare una qualsiasi linea politica, ed esso si frantumerebbe in un numero stragrande di correnti individuali, di rivendicazioni particolari, isolate e senza prospettive.

Perciò, tra simpatizzante e membro del Partito, esiste una differenza sostanziale. Per considerarsi membro del Partito Comunista, la mera accettazione della sua linea politica non è sufficiente; è necessario sentirsi disciplinato, riconoscere l’autorità politica degli organi dirigenti, ad essi derivante dal fatto di essere stati eletti democraticamente, è necessario accettare la volontà della maggioranza.

Detto ciò, dovrebbe apparire chiaro come il militante del nostro Partito viene a trovarsi in una condizione tale da non doversi limitare ad un lavoro di critica ma, ispirato da quel senso di responsabilità di cui deve sentire il peso, riconosciuto nell’organizzazione il carattere specifico per la funzione del Partito “come avanguardia dei lavoratori”, egli stesso deve trovare nella disciplina il mezzo più adatto per sentire e far sentire che non vi sarà mai organizzazione o funzione dirigente del Partito nella vita nazionale se questa non sarà ispirata nella più stretta e doverosa disciplina. Noi tutti potremo avere ben assimilata la linea politica del nostro Partito, ma non saremo mai in grado di applicarla e farla applicare se non partiremo da questa premessa fondamentale: organizzarsi nella disciplina.

Sviluppando più ampiamente questo concetto dobbiamo rilevare che, mentre vengono emanate direttive precise che sono il risultato delle democratiche espressioni della maggioranza, una volta giunte ai compagni, si ritorna ad una discussione inutile e faziosa, che porta ad uno sviamento e ad un dannoso ritardo dell’applicazione se non alla deformazione delle stesse.

Quindi, mentre diciamo ai nostri avversari che non si deve confondere organizzazione con totalitarismo, ribadiamo ancora una volta ai compagni che si dovrà agire, sia pure discutendo, secondo le direttive che sono l’emanazione della volontà della maggioranza. Questa è democrazia e non totalitarismo. Questa, è la nostra democrazia.”


Rimane il problema cardine del centralismo democratico, assunto da Lenin come metodo di organizzazione interna capace di isolare le tendenze opportuniste: come si modifica una linea politica che non corrisponde più ai princìpi costitutivi dell’identità? Il centralismo democratico, senza direzione collegiale e lo sviluppo dell’”intellettuale collettivo” che eviti il culto leaderistico della personalità, può essere un’arma a doppio taglio e diventare funzionale all’autodissolvimento della stessa identità. Come dimostrerà la storia successiva del PCI. 

(lavoro politico, giugno 2001)



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