(Nicola Matarrese, 1947)
Organizzazione=totalitarismo?
UNITA’ PROLETARIA , anno III, nr.4 – 16 marzo 1947
Riportiamo
l’articolo in fondo alla seconda pagina, rubrica Vita
di Partito, firmato
da Nicola Matarrese e titolato emblematicamente ORGANIZZAZIONE UGUALE
TOTALITARISMO?:
“Prendendo
spunto dall’articolo di cui al titolo, apparso nel n.3 del 19-1-47 di “Vie
Nuove”, desideriamo chiarirlo in riferimento ad alcune organizzazioni di base
dirette da compagni della nostra Provincia; i quali certamente non hanno letto e
per conseguenza non agiscono secondo le direttive in esso contenute, direttive
che non sono state neanche assimilate in alcuni settori della nostra
organizzazione.
Ad
un certo punto l’articolista di “Vie Nuove” scrive: “E’ chiaro che la
funzione del Partito non può esaurirsi nella registrazione dei bisogni
immediati delle classi lavoratrici e dei progressi conseguiti. In tal modo esso
si ridurrebbe ad una entità senza prospettive, ad un semplice spettatore dello
sviluppo delle classi lavoratrici, ad una loro inutile sovrastruttura.
“I
compiti del Partito non possono, perciò, limitarsi a questa funzione meccanica
e passiva di registrare quanto va succedendo ai lavoratori. Al contrario il
Partito, essendo il “reparto d’avanguardia” (Lenin) dei lavoratori, deve
vedere più lontano, deve essere la guida dei lavoratori”.
Una
volta riconosciuta la funzione dirigente del Partito ne deriva, come inevitabile
corollario, che il Partito, che deve assolvere il compito estremamente difficile
di guidare i lavoratori nella lotta per la conquista del potere politico, ha
bisogno di un’arma efficace e questa non può essere che l’organizzazione.
Senza l’organizzazione, senza una disciplina unitaria, non sarebbe possibile
al Partito proporsi per realizzare una qualsiasi linea politica, ed esso si
frantumerebbe in un numero stragrande di correnti individuali, di rivendicazioni
particolari, isolate e senza prospettive.
Perciò,
tra simpatizzante e membro del Partito, esiste una differenza sostanziale. Per
considerarsi membro del Partito Comunista, la mera accettazione della sua linea
politica non è sufficiente; è necessario sentirsi disciplinato, riconoscere
l’autorità politica degli organi dirigenti, ad essi derivante dal fatto di
essere stati eletti democraticamente, è necessario accettare la volontà della
maggioranza.
Detto
ciò, dovrebbe apparire chiaro come il militante del nostro Partito viene a
trovarsi in una condizione tale da non doversi limitare ad un lavoro di critica
ma, ispirato da quel senso di responsabilità di cui deve sentire il peso,
riconosciuto nell’organizzazione il carattere specifico per la funzione del
Partito “come avanguardia dei lavoratori”, egli stesso deve trovare nella
disciplina il mezzo più adatto per sentire e far sentire che non vi sarà mai
organizzazione o funzione dirigente del Partito nella vita nazionale se questa
non sarà ispirata nella più stretta e doverosa disciplina. Noi tutti potremo
avere ben assimilata la linea politica del nostro Partito, ma non saremo mai in
grado di applicarla e farla applicare se non partiremo da questa premessa
fondamentale: organizzarsi nella disciplina.
Sviluppando
più ampiamente questo concetto dobbiamo rilevare che, mentre vengono emanate
direttive precise che sono il risultato delle democratiche espressioni della
maggioranza, una volta giunte ai compagni, si ritorna ad una discussione inutile
e faziosa, che porta ad uno sviamento e ad un dannoso ritardo
dell’applicazione se non alla deformazione delle stesse.
Quindi, mentre diciamo ai nostri avversari che non si deve confondere organizzazione con totalitarismo, ribadiamo ancora una volta ai compagni che si dovrà agire, sia pure discutendo, secondo le direttive che sono l’emanazione della volontà della maggioranza. Questa è democrazia e non totalitarismo. Questa, è la nostra democrazia.”
Rimane il problema cardine del centralismo democratico, assunto da Lenin come metodo di organizzazione interna capace di isolare le tendenze opportuniste: come si modifica una linea politica che non corrisponde più ai princìpi costitutivi dell’identità? Il centralismo democratico, senza direzione collegiale e lo sviluppo dell’”intellettuale collettivo” che eviti il culto leaderistico della personalità, può essere un’arma a doppio taglio e diventare funzionale all’autodissolvimento della stessa identità. Come dimostrerà la storia successiva del PCI.
(lavoro politico, giugno 2001)
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