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nr.2 - nuova serie - giugno 2001

(redazionale)

Gli anniversari della nostra memoria storica:

Alessandro Vaia e Emilio Sereni


E il 23 maggio scorso ci ha lasciati anche il segretario dell’ultimo Pci che “mutava geneticamente”, Alessandro Natta


 

 

Liberazione se ne è occupata con articoli e schede di Giuseppe Sacchi nel numero dell’11 febbraio, mentre Sereni è stato ricordato con un articolo di Claudio Grassi il 25 marzo scorso. Riportiamo, di entrambi gli articoli, alcuni stralci (tra virgolette) interpolati da nostri commenti

 

SCHEDA BIOGRAFICA DI ALESSANDRO VAIA

 

Alessandro vaia si iscrisse al PCI nel 1926. Giovanissimo, divenne allievo ufficiale dell’esercito italiano. Irriducibile antifascista, pagò con cinque anni di duro carcere militare la sua vversione alla tirannide fascista. Uscito dal carcere, da clandestino lascia l’Italia e da allora è un rivoluzionario di professione. In quegli anni lo troviamo a Mosca alla scuola leninista prima e a quella militare poi, dalla quale ricava preziosi insegnamenti  che saranno per lui utilissimi per le lotte che è chiamato a organizzare e dirigere prima in Spagna e poi in Italia nel corso della guerra di Liberazione. In Spagna è comandante delle Brigate Garibaldi e dà un inestimabile contributo a quella gloriosa lotta. Successivamente viene rinchiuso nel campo di concentramento di Fernet e da qui trasferito in un carcere francese; nel corso della prigionia organizza la fuga con altri compagni. Durante la guerra di Liberazione lo troviamo comandante delle Brigate Gap e delle Brigate Garibaldine che operano nelle Marche. Per il contributo dato, è stato decorato medaglia d’argento al valor militare.

Dopo la Liberazione lavora presso la Direzione del partito in Alta Italia, insieme a Longo e Secchia e, come ispettore della direzione, dà un notevole contributo alla costruzione del partito. Diventa segretario della federazione di cremona, poi di Brescia e infine vice-segretario a Milano. Nel 1977 pubblica, per la Teti editore, un libro autobiografico dal titolo 2Da galeotto a genrale”. Per molti anni è mebro del Comitato Centrale del Pci. E’ Tra gli artefici fondamentali della nascita di Rifondazione Comunista.

 

Vaia è stato un eccellente dirigente comunista della scuola di Pietro Secchia. In particolare, l’aver lavorato con lui alla direzione milanese del Pci durante la Resistenza, sviluppò in lui princìpi e metodi coerentemente marxisti-leninisti, tali da permettergli di leggere correttamente la realtà e la vita interna stessa del Pci. Fu contrario, ad esempio, all’estromissione di Alberganti da segretario della Federazione di Milano, nel 1958, a favore del giovane Armando Cossutta, considerato tra i “rinnovatori”. Fondò la casa editrice “Aurora”, che tentò di porre argine al dilagante revisionismo storico e politico del partito negli anni ’80. Ha scritto Giuseppe Sacchi:

“Egli era un esempio di attenzione contro le leggerezze e le improvvisazioni: insegnava ad amministrare con oculatezza e parsimonia i beni e i mezzi che i lavoratori mettono a disposizione del partito. E sapeva immergersi nel concreto quotidiano mantenendo pur sempre una motivazione generale, combinando dunque slancio ideale e tenacia organizzativa. Di lui ricordo in particolare l’importanza che attribuiva anche ai problemi apparentemente secondari dell’organizzazione del partito, l’importanza che dava al modo in cui si dovevano concludere le riunioni, con delle decisioni e con la distribuzione di compiti, il controllo sull’attuazione delle decisioni prese e sulla permanente iniziativa politica. “Il partito – diceva – non si sviluppa con le prediche ma con l’iniziativa politica: dove questa manca cresce il pettegolezzo, lo scontento tra i compagni e persino la divisione. Quindi si produce l’indebolimento e non il rafforzamento del partito”. (..)

Ricordo le sofferte discussioni circa le difficoltà e l’opportunità di continuare la lotta nel partito e la ferma posizione di Vaia di continuarla fino all’ultimo. “E’ vero- sosteneva – che la maggioranza dispone di tutto, apparati e stampa, che emargina e discrimina chi le si oppone, ma tutto questo non significa la rinuncia alla lotta”. Ed a chi dubitava circa il risultato, rispondeva che non bisogna mai cedere senza combattere.” Questo è il primo insegnamento a cui deve uniformarsi un comunista, non dimenticando mai che i diritti non si chiedono ma si conquistano. E preparandosi ad ogni evenienza, non esclusa quella di dare vita a un nuovo partito”.

Da qui la decisione di fondare la Casa Editrice Aurora, Interstampa, il Centro Culturale “Concetto Marchesi”. Da qui le decisioni di stabilire contatti e favorire iniziative unitarie con altre forze di sinistra, decisioni fortemente volute da Vaia e per le quali diede fino all’ultimo un contributo determinante.

 

EMILIO SERENI

 

E. Sereni nacque il 13 agosto 1907 a Roma da una famiglia ebrea di intellettuali antifascisti. Quando nel 1927 si laurea a Portici in agronomia, è già da un anno iscritto al Partito Comunista d’Italia e inizia un’opera di proselitismo tra il proletariato di Napoli. Nel ’30 è a Parigi in contatto con il Centro esterno del Pci; nel settembre dello stesso anno è arrestato: il Tribunale speciale lo condanna a venti anni, ridotti poi a 15 per il cumulo delle pene. Liberato per amnistia nel ’35, espatria clandestinamente a Parigi; qui è responsabile del lavoro culturale e redattore capo di “Stato Operaio” e “La Voce degli italiani”. Nel giugno del ’43 è arrestato nuovamente e viene condannato a 18 anni per “associazione sovversiva”. Solo nell’agosto 1944 riesce a fuggire e si stabilisce a Milano, dove il partito gli assegna l’incarico di dirigere l’ufficio di agitazione e propaganda. Scrive Grassi nella chiusa del suo articolo:

“E’ nella lotta di resistenza, con Longo rappresenta il Pci nel CLN ed è mebro del comando generale delle brigate Garibaldi; nell’aprile ’45 è tra i dirigenti dell’insurrezione al Nord. Al V° congresso del Pci (29 dicembre1945) è eletto mebro del Comitato Centrale e della Direzione (della quale continuerà a fare parte fino al 1975), Due volte ministro, senatore, membro dell’esecutivo mondiale dei partigiani della pace, presidente dell’Alleanza nazionale dei contadini, direttore di 2Critica marxista”: anche la sua attività, come la sua capacità di studio, è eccezionale, instancabile.

Tra le sue opere principali Il capitalismo nelle campagne, Il Mezzogiorno all’opposizione, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana, La rivoluzione italiana; ma i suoi scitti sono innumerevoli. Quando il 20 marzo 1977 muore, ventiquattro anni fa, il suo archivio diventerà il 2Fondo Emilio Sereni” che conta oltre duemila buste, 63.000 pezzi e 1.843 voci, dalle questioni agrarie al Mezzogiorno, dall’archeologia e dall’antichità, alla storia economica e sociale. Non solo una cultura di stampo umanistico, nei suoi interessi c’è posto per matematica, fisica, cibernetica, linguistica; anche per la “cultura materiale”, il folclore, i canti popolari, i miti, i costumi, la storia dell’alimentazione. La bibliografia curata da Giuseppe Prestipino elenca ben 1.071 scritti, il primo dei quali risale al 1930.

Per alcuni fu troppo ortodosso, troppo ideologicamente inflessibile, troppo aderente al modello sovietico. Nel drammatico ’56, al tempo dell’Ungheria, si schierò dalla parte dell’URSS. “Emilio Sereni – scrive Gerardo Chiaromonte – aveva una visione drammatica della lotta di classe a livello internazionale; e questa visione drammatica lo portava a considerare che non ci si poteva staccare in alcun modo dall’Unione Sovietica”. Comunista appassionato e scienziato rigoroso, lui non vi trovò mai contraddizione.”

 

E non la troviamo neppure noi, che ammiriamo in Sereni il suo impegno politico come responsabile della Commissione Cultura dal dopoguerra al 1955 secondo rigorosi principi marxisti-leninisti a cui mai rinunciò e la sua capacità, davvero insuperata, di avviare l’inchiesta sulla composizione di classe in Italia, che purtroppo le vicende del Pci successive misero in secondo piano.

 

ALESSANDRO NATTA

 

E’ morto il 23 maggio scorso, nella sua casa di Oneglia, quello che può essere considerato l’ultimo “vero” segretario del Pci che “mutava geneticamente”, il Pci post-berlingueriano. Non riuscì, Natta, a fermare la deriva liquidazionista che ormai aveva corroso le fondamenta del partito: nonostante la sua profonda onestà e rigore morale, anch’egli fu vittima delle sue stesse contraddizioni. In pratica, non riuscì ad arginare quel falso “nuovismo” di cui si ammantavano gli opportunisti di ogni specie e, una volta utilizzato come “transizione” da un passato glorioso ad un futuro carico di incognite, fu spremuto ed emarginato dopo l’88, perché quel passato non potesse costituire più ostacolo alla cancellazione del Pci. Quel passato, e quella sua stessa onestà e rigore morale.

Claudio Grassi lo ha così ricordato dalle colonne di Liberazione del 24 maggio, con un articolo titolato UN COMUNISTA CHE HA ATTRAVERSATO I GRANDI SNODI DEL NOVECENTO, di cui riportiamo stralci: 

“Alessandro Natta nasce a Oneglia, in provincia d'Imperia, il 7 gennaio 1918, sesto ed ultimo figlio di una famiglia di condizione popolare, di origini contadine. Nell'infanzia sono soprattutto le due sorelle a occuparsi della sua educazione e a sostenere un ruolo quasi materno. Il padre, Antonio Natta, è commerciante di bestiame, con macello in proprio, e macellaio. Nel negozio è impegnata anche la moglie Delfina Muratorio. Antonio ha un orientamento socialista ed è amico e coetaneo di Giacinto Menotti Serrati, anche se non arriverà mai a iscriversi al partito, né a un impegno diretto nell'attività militante. Della madre, invece, si ricorda una personalità polemica, ironica, con il gusto della battuta e della critica. Fra gli eventi decisivi della formazione di Alessandro Natta c'è il matrimonio della sorella più grande, Teresa.  Con un operaio lattoniere, un sindacalista  attivo oltre che un socialista massimalista seguace di Serrati, destinato a passare nel '21 con il partito comunista d'Italia.

Dopo la scuola elementare frequenta l'istituto magistrale statale "Carlo Amoretti" dove, nonostante uno stile educativo severo e le regole di comportamento rigide, inizia a formarsi una personalità autonoma, con al centro la passione per i classici greci e latini e un senso della cultura e dello studio disinteressato. Gli anni di università, alla Normale di Pisa, segnano il distacco da casa e dalla famiglia. (..)

L'esperienza universitaria alla Normale si conclude nel 1941, al termine del primo anno di perfezionamento, con la partenza per il servizio militare. Solo pochi anni fa Natta ha reso noto le esperienze degli anni di guerra, lo sbandamento dell'esercito italiano, le piccolezze e lo spirito particolaristico degli alti gradi, l'altro capitolo della Resistenza di soldati e militari internati nei campi in Germania.

Al ritorno dalla prigionia fa seguito la decisione di iscriversi al Pci di Imperia dove si getta nella militanza a tempo pieno. In breve, da consigliere comunale diventa segretario di federazione, fino a diventare uno dei protagonisti della politica del Pci di costruzione della democrazia repubblicana dal 1948 in poi, partecipando come parlamentare a tre legislature. E' stretto collaboratore di Togliatti, successivamente entra a far parte dei vertici del partito al fianco prima di Longo e poi di Berlinguer. Segue poi tutte le vicende e gli snodi della storia dei comunisti, dal terribile '56 alla vicenda del "Manifesto". Ma è soprattutto negli anni Ottanta, nel centro degli eventi che portano il partito verso una mutazione della sua funzione di classe, che Natta si trova, per un attimo, in una posizione decisiva. All'inizio di quel decennio partecipa attivamente al dibattito interno sullo strappo con l'Urss e si fa promotore di una posizione riassumibile con le parole"rinnovare restando comunisti" (..)

Dopo la morte di Berlinguer il gruppo dirigente individua in Natta la soluzione migliore per la successione in grado di garantire l'unità del partito e una certa continuità politica. Non passa molto tempo e il suo ruolo si indebolisce. Alla vicesegreteria di Achille Occhetto si somma l'inizio della malattia: Natta, il segretario del possibile rinnovamento dentro la tradizione dei comunisti, diventa un dimissionario della politica.

Esce di scena ma continua a vigilare sulla situazione italiana senza più partecipare alla vita di nessun partito. Prova ne sono queste parole, vero e proprio testamento di uno fra i maggiori dirigenti comunisti del '900: "non mi colloco nella coorte pur numerosa dei catastrofisti, e nemmeno in quella dei pentiti di aver progettato delle società migliori. Ma certo abbiamo imparato, anche attraverso le dure lezioni dei fatti, che l'innovazione, la modernizzazione non rappresentano di per sé e sempre un incremento sociale e politico. E ancor più che può essere illusorio credere che per aprire prospettive nuove e migliori sia sufficiente rimuovere ed esorcizzare il passato".

Vaia, Sereni, Natta: tre comunisti, tre esempi diversi che oggi permettono a noi un bilancio critico dell’esperienza del movimento operaio italiano. In particolare, i marxisti-leninisti guardano all’opera e alla vita stessa di questi nostri compagni di vita, agli errori, ai limiti del segretario del Pci dall’’84 all’’88, agli esempi di coerenza e di rigore dei primi due.



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