(redazionale)
Gli
anniversari della nostra memoria storica:
Liberazione
se ne è occupata con articoli e schede di Giuseppe Sacchi nel numero dell’11
febbraio, mentre Sereni è stato ricordato con un articolo di Claudio Grassi il
25 marzo scorso. Riportiamo, di entrambi gli articoli, alcuni stralci (tra
virgolette) interpolati da nostri commenti
Alessandro
vaia si iscrisse al PCI nel 1926. Giovanissimo, divenne allievo ufficiale
dell’esercito italiano. Irriducibile antifascista, pagò con cinque anni di
duro carcere militare la sua vversione alla tirannide fascista. Uscito dal
carcere, da clandestino lascia l’Italia e da allora è un rivoluzionario di
professione. In quegli anni lo troviamo a Mosca alla scuola leninista prima e a
quella militare poi, dalla quale ricava preziosi insegnamenti
che saranno per lui utilissimi per le lotte che è chiamato a organizzare
e dirigere prima in Spagna e poi in Italia nel corso della guerra di
Liberazione. In Spagna è comandante delle Brigate Garibaldi e dà un
inestimabile contributo a quella gloriosa lotta. Successivamente viene rinchiuso
nel campo di concentramento di Fernet e da qui trasferito in un carcere
francese; nel corso della prigionia organizza la fuga con altri compagni.
Durante la guerra di Liberazione lo troviamo comandante delle Brigate Gap e
delle Brigate Garibaldine che operano nelle Marche. Per il contributo dato, è
stato decorato medaglia d’argento al valor militare.
Dopo
la Liberazione lavora presso la Direzione del partito in Alta Italia, insieme a
Longo e Secchia e, come ispettore della direzione, dà un notevole contributo
alla costruzione del partito. Diventa segretario della federazione di cremona,
poi di Brescia e infine vice-segretario a Milano. Nel 1977 pubblica, per la Teti
editore, un libro autobiografico dal titolo 2Da galeotto a genrale”. Per molti
anni è mebro del Comitato Centrale del Pci. E’ Tra gli artefici fondamentali
della nascita di Rifondazione Comunista.
Vaia
è stato un eccellente dirigente comunista della scuola di Pietro Secchia. In
particolare, l’aver lavorato con lui alla direzione milanese del Pci durante
la Resistenza, sviluppò in lui princìpi e metodi coerentemente
marxisti-leninisti, tali da permettergli di leggere correttamente la realtà e
la vita interna stessa del Pci. Fu contrario, ad esempio, all’estromissione di
Alberganti da segretario della Federazione di Milano, nel 1958, a favore del
giovane Armando Cossutta, considerato tra i “rinnovatori”. Fondò la casa
editrice “Aurora”, che tentò di porre argine al dilagante revisionismo
storico e politico del partito negli anni ’80. Ha scritto Giuseppe Sacchi:
“Egli era un esempio di attenzione
contro le leggerezze e le improvvisazioni: insegnava ad amministrare con
oculatezza e parsimonia i beni e i mezzi che i lavoratori mettono a disposizione
del partito. E sapeva immergersi nel concreto quotidiano mantenendo pur sempre
una motivazione generale, combinando dunque slancio ideale e tenacia
organizzativa. Di lui ricordo in particolare l’importanza che attribuiva anche
ai problemi apparentemente secondari dell’organizzazione del partito,
l’importanza che dava al modo in cui si dovevano concludere le riunioni, con
delle decisioni e con la distribuzione di compiti, il controllo
sull’attuazione delle decisioni prese e sulla permanente iniziativa politica.
“Il partito – diceva – non si sviluppa con le prediche ma con
l’iniziativa politica: dove questa manca cresce il pettegolezzo, lo scontento
tra i compagni e persino la divisione. Quindi si produce l’indebolimento e non
il rafforzamento del partito”. (..)
Ricordo le sofferte discussioni circa le
difficoltà e l’opportunità di continuare la lotta nel partito e la ferma
posizione di Vaia di continuarla fino all’ultimo. “E’ vero-
sosteneva – che la maggioranza dispone di tutto, apparati e stampa, che
emargina e discrimina chi le si oppone, ma tutto questo non significa la
rinuncia alla lotta”. Ed a chi dubitava circa il risultato, rispondeva che
non bisogna mai cedere senza combattere.” Questo è il primo insegnamento a
cui deve uniformarsi un comunista, non dimenticando mai che i diritti non si
chiedono ma si conquistano. E preparandosi ad ogni evenienza, non esclusa quella
di dare vita a un nuovo partito”.
Da qui la decisione di fondare la Casa
Editrice Aurora, Interstampa, il Centro Culturale “Concetto Marchesi”. Da
qui le decisioni di stabilire contatti e favorire iniziative unitarie con altre
forze di sinistra, decisioni fortemente volute da Vaia e per le quali diede fino
all’ultimo un contributo determinante.
E.
Sereni nacque il 13 agosto 1907 a Roma da una famiglia ebrea di intellettuali
antifascisti. Quando nel 1927 si laurea a Portici in agronomia, è già da un
anno iscritto al Partito Comunista d’Italia e inizia un’opera di
proselitismo tra il proletariato di Napoli. Nel ’30 è a Parigi in contatto
con il Centro esterno del Pci; nel settembre dello stesso anno è arrestato: il
Tribunale speciale lo condanna a venti anni, ridotti poi a 15 per il cumulo
delle pene. Liberato per amnistia nel ’35, espatria clandestinamente a Parigi;
qui è responsabile del lavoro culturale e redattore capo di “Stato Operaio”
e “La Voce degli italiani”. Nel giugno del ’43 è arrestato nuovamente e
viene condannato a 18 anni per “associazione sovversiva”. Solo nell’agosto
1944 riesce a fuggire e si stabilisce a Milano, dove il partito gli assegna
l’incarico di dirigere l’ufficio di agitazione e propaganda. Scrive Grassi
nella chiusa del suo articolo:
“E’ nella lotta di resistenza, con
Longo rappresenta il Pci nel CLN ed è mebro del comando generale delle brigate
Garibaldi; nell’aprile ’45 è tra i dirigenti dell’insurrezione al Nord.
Al V° congresso del Pci (29 dicembre1945) è eletto mebro del Comitato Centrale
e della Direzione (della quale continuerà a fare parte fino al 1975), Due volte
ministro, senatore, membro dell’esecutivo mondiale dei partigiani della pace,
presidente dell’Alleanza nazionale dei contadini, direttore di 2Critica
marxista”: anche la sua attività, come la sua capacità di studio, è
eccezionale, instancabile.
Tra le sue opere principali Il capitalismo
nelle campagne, Il Mezzogiorno all’opposizione, La questione agraria nella
rinascita nazionale italiana, La rivoluzione italiana; ma i suoi scitti sono
innumerevoli. Quando il 20 marzo 1977 muore, ventiquattro anni fa, il suo
archivio diventerà il 2Fondo Emilio Sereni” che conta oltre duemila buste,
63.000 pezzi e 1.843 voci, dalle questioni agrarie al Mezzogiorno,
dall’archeologia e dall’antichità, alla storia economica e sociale. Non
solo una cultura di stampo umanistico, nei suoi interessi c’è posto per
matematica, fisica, cibernetica, linguistica; anche per la “cultura
materiale”, il folclore, i canti popolari, i miti, i costumi, la storia
dell’alimentazione. La bibliografia curata da Giuseppe Prestipino elenca ben
1.071 scritti, il primo dei quali risale al 1930.
Per alcuni fu troppo ortodosso, troppo ideologicamente inflessibile, troppo aderente al modello sovietico. Nel drammatico ’56, al tempo dell’Ungheria, si schierò dalla parte dell’URSS. “Emilio Sereni – scrive Gerardo Chiaromonte – aveva una visione drammatica della lotta di classe a livello internazionale; e questa visione drammatica lo portava a considerare che non ci si poteva staccare in alcun modo dall’Unione Sovietica”. Comunista appassionato e scienziato rigoroso, lui non vi trovò mai contraddizione.”
E
non la troviamo neppure noi, che ammiriamo in Sereni il suo impegno politico
come responsabile della Commissione Cultura dal dopoguerra al 1955 secondo
rigorosi principi marxisti-leninisti a cui mai rinunciò e la sua capacità,
davvero insuperata, di avviare l’inchiesta sulla composizione di classe in
Italia, che purtroppo le vicende del Pci successive misero in secondo piano.
E’
morto il 23 maggio scorso, nella sua casa di Oneglia, quello che può essere
considerato l’ultimo “vero” segretario del Pci che “mutava
geneticamente”, il Pci post-berlingueriano. Non riuscì, Natta, a fermare la
deriva liquidazionista che ormai aveva corroso le fondamenta del partito:
nonostante la sua profonda onestà e rigore morale, anch’egli fu vittima delle
sue stesse contraddizioni. In pratica, non riuscì ad arginare quel falso
“nuovismo” di cui si ammantavano gli opportunisti di ogni specie e, una
volta utilizzato come “transizione” da un passato glorioso ad un futuro
carico di incognite, fu spremuto ed emarginato dopo l’88, perché quel passato
non potesse costituire più ostacolo alla cancellazione del Pci. Quel passato, e
quella sua stessa onestà e rigore morale.
Claudio
Grassi lo ha così ricordato dalle colonne di Liberazione
del 24 maggio, con un articolo titolato UN COMUNISTA CHE HA ATTRAVERSATO I
GRANDI SNODI DEL NOVECENTO, di cui riportiamo stralci:
“Alessandro
Natta nasce a Oneglia, in provincia d'Imperia, il 7 gennaio 1918, sesto ed
ultimo figlio di una famiglia di condizione popolare, di origini contadine.
Nell'infanzia sono soprattutto le due sorelle a occuparsi della sua educazione e
a sostenere un ruolo quasi materno. Il padre, Antonio Natta, è commerciante di
bestiame, con macello in proprio, e macellaio. Nel negozio è impegnata anche la
moglie Delfina Muratorio. Antonio ha un orientamento socialista ed è amico e
coetaneo di Giacinto Menotti Serrati, anche se non arriverà mai a iscriversi al
partito, né a un impegno diretto nell'attività militante. Della madre, invece,
si ricorda una personalità polemica, ironica, con il gusto della battuta e
della critica. Fra gli eventi decisivi della formazione di Alessandro Natta c'è
il matrimonio della sorella più grande, Teresa. Con un operaio lattoniere, un sindacalista
attivo oltre che un socialista massimalista seguace di Serrati, destinato
a passare nel '21 con il partito comunista d'Italia.
Dopo
la scuola elementare frequenta l'istituto magistrale statale "Carlo
Amoretti" dove, nonostante uno stile educativo severo e le regole di
comportamento rigide, inizia a formarsi una personalità autonoma, con al centro
la passione per i classici greci e latini e un senso della cultura e dello
studio disinteressato. Gli anni di università, alla Normale di Pisa, segnano il
distacco da casa e dalla famiglia. (..)
L'esperienza
universitaria alla Normale si conclude nel 1941, al termine del primo anno di
perfezionamento, con la partenza per il servizio militare. Solo pochi anni fa
Natta ha reso noto le esperienze degli anni di guerra, lo sbandamento
dell'esercito italiano, le piccolezze e lo spirito particolaristico degli alti
gradi, l'altro capitolo della Resistenza di soldati e militari internati nei
campi in Germania.
Al
ritorno dalla prigionia fa seguito la decisione di iscriversi al Pci di Imperia
dove si getta nella militanza a tempo pieno. In breve, da consigliere comunale
diventa segretario di federazione, fino a diventare uno dei protagonisti della
politica del Pci di costruzione della democrazia repubblicana dal 1948 in poi,
partecipando come parlamentare a tre legislature. E' stretto collaboratore di
Togliatti, successivamente entra a far parte dei vertici del partito al fianco
prima di Longo e poi di Berlinguer. Segue poi tutte le vicende e gli snodi della
storia dei comunisti, dal terribile '56 alla vicenda del "Manifesto".
Ma è soprattutto negli anni Ottanta, nel centro degli eventi che portano il
partito verso una mutazione della sua funzione di classe, che Natta si trova,
per un attimo, in una posizione decisiva. All'inizio di quel decennio partecipa
attivamente al dibattito interno sullo strappo con l'Urss e si fa promotore di
una posizione riassumibile con le parole"rinnovare restando comunisti"
(..)
Dopo
la morte di Berlinguer il gruppo dirigente individua in Natta la soluzione
migliore per la successione in grado di garantire l'unità del partito e una
certa continuità politica. Non passa molto tempo e il suo ruolo si indebolisce.
Alla vicesegreteria di Achille Occhetto si somma l'inizio della malattia: Natta,
il segretario del possibile rinnovamento dentro la tradizione dei comunisti,
diventa un dimissionario della politica.
Esce
di scena ma continua a vigilare sulla situazione italiana senza più partecipare
alla vita di nessun partito. Prova ne sono queste parole, vero e proprio
testamento di uno fra i maggiori dirigenti comunisti del '900: "non mi
colloco nella coorte pur numerosa dei catastrofisti, e nemmeno in quella dei
pentiti di aver progettato delle società migliori. Ma certo abbiamo imparato,
anche attraverso le dure lezioni dei fatti, che l'innovazione, la
modernizzazione non rappresentano di per sé e sempre un incremento sociale e
politico. E ancor più che può essere illusorio credere che per aprire
prospettive nuove e migliori sia sufficiente rimuovere ed esorcizzare il
passato".
Vaia,
Sereni, Natta: tre comunisti, tre esempi diversi che oggi permettono a noi un
bilancio critico dell’esperienza del movimento operaio italiano. In
particolare, i marxisti-leninisti guardano all’opera e alla vita stessa di
questi nostri compagni di vita, agli errori, ai limiti del segretario del Pci
dall’’84 all’’88, agli esempi di coerenza e di rigore dei primi due.
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