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nr.3 - nuova serie - ottobre 2001

Tariq Ali

IL PALADINO CHE TRADI'

Per una storia dell'Afghanistan e di Osama, l'americano


I dirottatori responsabili dell'aggressione dell'11 settembre non erano fanatici illetterati e barbuti provenienti dai villaggi dell'Afghanistan. Erano tutti professionisti istruiti e altamente qualificati appartenenti alla middle-class. Tredici dei diciannove uomini coinvolti erano cittadini dell'Arabia Saudita. I loro nomi sono riconoscibili. I tre Alghadi sono chiaramente provenienti dalla provincia di Hijaz del Regno Saudita, la zona delle città sante Mecca e Medina. Mohamed Atta, nato in Egitto, viaggiava con un passaporto saudita. Che sia stato lui a dare l'ordine oppure no, è indiscutibile che il grosso dei veri quadri di Osama Bin Laden (contrariamente ai soldati di fanteria) si trovano in Egitto o in Arabia Saudita, i due principali alleati degli Usa nella regione a parte Israele. In Arabia Saudita Bin Laden gode di forte sostegno. Ecco perché finora il regime saudita nonostante il suo appoggio agli Usa non "intende permettere che vengano usate le sue basi".
In tempi normali il regno Saudita è a malapena coperto dai media occidentali. Perché l'attenzione si focalizzi sul regime di Riyadh è necessario l'arresto di un cittadino americano o britannico, oppure che un'infermiera inglese venga gettata fuori da una finestra. Ancor meno si sa sulla religione di stato, che non è una versione ordinaria dell'Islam Sunnita o Shiita, ma una varietà particolarmente virulenta e ultra-puritana nota come Wahhabismo (Wahhabism).
Questa è la religione dei reali sauditi, della burocrazia statale, dell'esercito e dell'aeronautica e, naturalmente, di Osama bin Laden, il cittadino saudita più famoso al mondo, attualmente residente in Afghanistan.
Grossomodo, l'equivalente di questo in Gran Bretagna sarebbe se la Chiesa d'Inghilterra fosse rimpiazzata dalla Chiesa Riformata Unita del Dottor Ian Paisley, la famiglia reale diventasse ardentemente paisleyana e la burocrazia di stato e le forze armate fossero interdette ai non-paislesiani.
Lo sceicco Mohammed Ibn Abdul Wahhab, ispiratore di questa setta, era un contadino che nel XVIII secolo si stancò di far crescere le palme e di pascolare il bestiame e cominciò a predicare localmente, auspicando il ritorno alla fede pura del settimo secolo. Era contrario all'eccessiva venerazione del profeta Maometto, denunciava la venerazione dei santuari e dei luoghi sacri e sottolineava l'"unità di un solo Dio". Di per sé questo era abbastanza innocuo, ma erano le sue prescrizioni sociali a creare problemi persino nel 1740: egli insisteva sul ricorso a punizioni corporali islamiche e non solo: le adultere dovevano essere lapidate a morte, i ladri sottoposti all'amputazione, i criminali giustiziati in pubblico. Quando egli cominciò a mettere in pratica ciò che predicava, i leader religiosi della regione obiettarono e il capo locale di Uyayna gli chiese di andarsene. Wahhab scappò a Deraiya nel 1744 e nello stesso anno convertì il suo governante, Mohammed Ibn Saud. Ibn Saud, il fondatore della dinastia che oggi governa l'Arabia Saudita, utilizzò il fervore revivalista per inculcare nelle tribù un senso di disciplina prima di lanciarle in battaglia contro l'Impero Ottomano. Wahhab considerava il sultano di Istanbul un ipocrita che non aveva il diritto di essere il califfo dell'Islam e predicava le virtù di una jihad (guerra santa) permanente contro i modernizzatori islamici, ipocriti come l'infedele. Gli ottomani reagirono, occuparono la provincia di Hijaz e presero possesso di Mecca e Medina, ma l'influenza di Wahhab rimase e le battaglie eroiche divennero parte del folklore locale. Questo proto-nazionalismo fu utilizzato dai successori di Saud per espandere la loro influenza attraverso la penisola.

Due secoli più tardi essi hanno posto le fondamenta di quella che oggi è l'Arabia Saudita, ma è stata la scoperta dell'oro liquido a cambiare la regione per sempre. Temendo la competizione della Gran Bretagna, gli Stati Uniti hanno unito la Esso, la Texaco e la Mobil per formare la Arabian American Oil Company (Aramco). Questo collegamento istituito nel 1933 è stato rafforzato durante la seconda guerra mondiale, quando la base Usaf a Dhahran fu ritenuta cruciale per "la difesa degli Stati Uniti". Il monarca saudita ricevette milioni di dollari per favorire lo sviluppo del Regno Saudita. Il regime era dispotico, ma era visto come un importante baluardo contro il comunismo e il nazionalismo nella regione e, per questo motivo, gli Stati Uniti scelsero di ignorare quanto accadeva dentro i suoi confini.
L'ingresso degli Stati Uniti e la creazione del Regno Saudita sono stati brillantemente descritti in uno dei contributi più notevoli alla narrativa dell'Arabia: la pentalogia "Le città di sale" del romanziere saudita in esilio, Abdelrahman Munif, la cui nascita nel 1933 coincise con quella del nuovo stato. La scrittura stratificata di Munif - selvaggia, surreale e satirica - suscitò l'ira della famiglia reale. Fu privato della sua nazionalità e bandito per sempre dal paese. I suoi libri sono diventati succulenta merce di contrabbando circolante dappertutto, compresi i palazzi reali. Quando, circa dieci anni fa, lo incontrai in un raro viaggio a Londra era lucido come sempre: "Il ventesimo secolo è quasi finito, ma quando l'Occidente ci guarda tutto ciò che vede è il petrolio e i petro-dollari. L'Arabia Saudita non ha ancora una Costituzione, la gente è privata di tutti i diritti più elementari, persino quello di sostenere il regime senza chiedere il permesso. Le donne, che detengono una larga fetta della ricchezza privata nel paese, sono trattate come cittadine di terza classe. A una donna non è consentito lasciare il paese senza il permesso scritto di un parente maschio. Tale situazione produce una cittadinanza disperata, senza un senso di dignità o di appartenenza...".

Negata ogni apertura secolare, in una società in cui la famiglia reale - un clan con molteplici fazioni e micro-fazioni - con i suoi mansueti sacerdoti domina ogni aspetto della vita quotidiana, si verificarono negli anni '60 e '70 una quantità di ribellioni. Uno dei romanzi di Munif, La trincea, ha un finale notevole. Vi sono due complotti rivoluzionari, uno dei quali da parte di giovani uomini arrabbiati ispirati da idee moderne. L'altro, invisibile, dentro il palazzo. Tutto finisce in lacrime, con i coprifuochi e i tank per le strade. I giovani rivoluzionari scoprono che ha avuto successo la rivolta sbagliata. Il riferimento era all'assassinio di Re Feisal nel 1975 da parte di un suo nipote, il principe Faisal Ibn Musaid. Dieci anni prima il fratello di Ibn Musaid, il principe Khalid, un fervente Wahhabita, aveva dimostrato in pubblico contro l'ingresso della televisione nel regno. La polizia saudita entrò in casa sua e gli sparò uccidendolo. Ancora oggi, il principe Khalid è venerato da credenti fondamentalisti e anni più tardi il governo dei Taleban gli ha pagato il suo tributo bruciando in pubblico audio-cassette e video e mettendo al bando la televisione.
Ma il Wahhabismo rimane la religione di stato dell'Arabia Saudita, importata con i petro-dollari per finanziare l'estremismo in altre parti del mondo. Durante la guerra contro l'Unione Sovietica, l'intelligence militare pakistana richiese la presenza di un principe saudita per condurre la jihad in Afghanistan. Poiché nessun volontario si era fatto avanti, i leader sauditi raccomandarono il rampollo di una ricca famiglia vicina alla monarchia. Osama bin Laden fu spedito al confine pakistano e arrivò in tempo per sentire Zbigniew Brezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter, turbante sulla testa, gridare: "Allah è dalla vostra parte".

Le scuole religiose in Pakistan, dove sono stati creati i Taleban, sono state fondate dai sauditi con un'influenza Wahhabi molto forte. L'anno scorso, quando i Taleban decisero di far saltare in aria i vecchi Budda, dagli antichi seminari di Qom e al-Azhar giunsero appelli a desistere con la motivazione che l'Islam è tollerante. Una delegazione Wahhabi dal Regno aveva consigliato ai Taleban di eseguire il piano. Lo fecero. L'insistenza Wahhabi su una jihad permanente contro tutti i nemici, musulmani e non, doveva lasciare un segno profondo sui giovani che più tardi presero Kabul. L'atteggiamento degli Stati Uniti in quei giorni era di simpatia. Un partito repubblicano zeppo di culti cristiani poteva a malapena dare un consiglio su questa materia e sia Clinton che Blair erano desiderosi di pubblicizzare la loro appartenenza al cristianesimo.
Proprio l'anno scorso, un ex esperto sul Pakistan del Dipartimento di Stato, il liberal Stephen P. Cohen, scriveva sul Wall Street Journal (edizione asiatica, 23 ottobre 2000): "alcune madrassas, o scuole religiose, sono eccellenti". Egli ammetteva che "altre sono il brodo di coltura per movimenti islamici fondamentalisti e fautori della jihad", però costituivano solo il 12 per cento circa del totale. Queste, diceva "devono essere aggiornate in modo da offrire ai loro studenti un'istruzione moderna". Tale indulgenza riflette con precisione lo stato d'animo ufficiale prima dell'11 settembre.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, l'opposizione interna è stata completamente dominata da gruppi religiosi. Questi Wahhabiti giudicano ora il Regno Saudita degenerato per la sua connection americana. Altri erano demoralizzati perché Riyadh non aveva difeso i palestinesi. La presenza dei soldati Usa nel paese dopo la guerra del Golfo è stato un segnale per attacchi terroristici contro i soldati e le basi. Coloro che li hanno ordinati erano sauditi, ma a volte immigrati pakistani e filippini sono stati accusati e giustiziati per rabbonire gli Stati Uniti.
Le forse di spedizione inviate in Pakistan per tagliare i tentacoli della piovra Wahhabita possono avere successo oppure no, ma la sua testa è sana e salva in Arabia Saudita, dove fa la guardia ai pozzi di petrolio mentre i tentacoli le ricrescono, protetta dai soldati americani e dalla base Usaf a Dhahran. Il fatto che Washington non abbia svincolato i suoi interessi vitali dal destino della monarchia saudita potrebbe portare a ulteriori ritorni di fiamma. Andrebbe raccolto l'avvertimento pronunciato per la prima volta dal poeta secolare arabo del X secolo, Abul Ala al-Maari, che ancora oggi appare appropriato:"E dove il principe comandò, ora il sibilo
Del vento soffia attraverso la corte dello stato:
'Qui', esso proclama, 'risiedeva un potentato
Che non sapeva sentire il pianto del debole'".

(Traduzione di Marina Impallomeni)

Tariq Ali

da Il Manifesto del 6 ottobre 2001


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