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nr.3 - nuova serie - ottobre 2001

Angiolo Gracci ('Gracco')

Rifondare il partito comunista per

lottare contro la globalizzazione  imperialista


Il rapporto tra partito e movimento in un lucido scritto del partigiano ispiratore della "linea rossa" italiana, mai pubblicato su Liberazione. Un'analisi scomoda per Rifondazione, ma fondamentale per i comunisti italiani

Firenze, 3 settembre 2001

Caro compagno Curzi,

 sono un vecchio militante comunista e cofondatore del nostro Partito.

Avverto l’esigenza politico-morale di contribuire con l’unito intervento al sempre più vivace confronto che sta sviluppandosi intorno alla posizione da assumere verso il movimento dell’antiglobalizzazione nel nostro Paese.

 Confido, quindi, nell’ospitalità su “Liberazione” già ampiamente data a compagni dirigenti di primo piano.

  Ti ringrazio e saluto fraternamente.

 

Angiolo Gracci


Lo sconvolgente trauma collettivo di Genova sta sempre più alimentando il dibattito sul rapporto “Rifondazione-classe-partito-movimento” aperto dall’ormai noto articolo dei compagni Grassi-Burgio pubblicato da “Il Manifesto” poco prima di quelle rivelatrici giornate.

Scongiurato il pericolo iniziale del rapido esaurirsi del confronto politico in un disastroso e al momento inconcepibile scontro personalistico frontale all’interno del gruppo dirigente, i successivi contributi pubblicati da “Liberazione” consentono già di rilevare che nello sviluppo del dibattito stanno emergendo sostanzialmente  due diverse visioni politiche.

Da una parte, sull’onda potentemente emotiva di quella inaudita aggressione terroristica di massa, si delinea una tendenza che, per quanto differenziata, vede Rifondazione come una componente qualificata del vastissimo arcipelago di soggettività eterogenee rappresentato dal “movimento No global” in cui vi si colloca “alla pari”.

In tale contesto il ruolo esistenziale di Rifondazione  apparirebbe inscindibilmente legato all’evolversi, consolidarsi e crescere di quel medesimo movimento e ciò, comunque,  prescindendo o soprassedendo -di fatto e almeno in questa fase- dal dare, con l’imminente congresso, concreto sbocco al percorso che i militanti fondatori del P.R.C si erano esplicitamente  proposti per la ricostruzione del P.C nel nostro Paese.

Dall’altra parte, invece, - sul  piano dell’aspirazione a razionale recupero, in positivo, della tradizione del movimento comunista in generale e di quello italiano, in particolare-  si delinea una ancora non sufficientemente chiara tendenza protesa a sottolineare l’esigenza prioritaria di pervenire al più presto allo sblocco della paralizzante situazione di protratta ambiguità in cui Rifondazione vive ormai da troppi anni rispetto all’assolvimento del preciso e tassativo obiettivo iniziale propostosi e che, per altro, l’ha validamente legittimata consentendole di svolgere, fino ad oggi, una preziosa funzione di catalizzazione e mantenimento delle altrimenti disperse potenzialità del movimento comunista.

Ebbene, quell’obiettivo, appunto   - quello di ridare al più presto alla classe operaia (e, quindi, al relativo movimento) la sua “avanguardia cosciente e organizzata”-  va, a mio avviso considerato dominante e prioritario e condizionante ogni altra scelta anche verso i movimenti intesi nella loro accezione più generale, movimento “No global” incluso. Trattasi , infatti,  di raggiungere, con l’effettiva rifondazione del Partito Comunista, lo strumento  storicamente indispensabile per tornare a conferire a quel settore essenziale della società nazionale , il proletariato operaio, efficace rappresentatività politica, autonoma capacità di orientamento strategico e di scelte tattiche, concreta possibilità di valida difesa dei diritti  propri e delle altre classi subalterne, il pieno dispiegamento della propria capacità di direzione politica, di modificazione dei rapporti di forza necessaria per  inserirsi, anch’essa, al massimo livello di quel potere da cui la borghesia capitalista imperialista l’ha tenuta e la mantiene totalitariamente esclusa.

  Consegue che,  la “prima tendenza”, pur nelle vicine prospettive del quarto Congresso nazionale, continua sostanzialmente a considerare Rifondazione un movimento che, anche attraverso questa ennesima tappa congressuale, dovrebbe mettere “a punto” una sua più confacente “centralizzazione” nei confronti del più ampio movimento “No global”, tentando, magari, di portare questo a solidalizzare, a sua volta, con la prossima stagione di lotte dei metalmeccanici FIOM, per altro presenti a Genova .

La “seconda tendenza”, invece, tenendo conto del recente e rilevante salto qualitativo verificatosi nella lotta di classe nel Paese, pone, come imprescindibile e urgente, l’esigenza di cogliere la vicina scadenza congressuale di Rifondazione quale occasione indifferibile e, come congiuntura favorevole, irripetibile, per uscire da una perdurante e inconcludente ambiguità parapartitica-paramovimentista per convogliare viceversa le preziose energie ancora disponibili al suo interno (ma anche quelle compatibilmente disponibili all’esterno) per compiere, finalmente, l’atteso sforzo risolutivo, necessario e sufficiente, per far risorgere il Partito Comunista d’Italia nel solco innegabilmente glorioso di quello di Gramsci e, così, ridando davvero, alla nostra classe operaia la reale possibilità di riprendere il suo ruolo storico “centralizzandosi” sull’intero movimento proletario nazionale e, in tal modo, dando   un decisivo aiuto al consolidarsi e crescere dello stesso nuovo  movimento spontaneo di massa “anti global”.

D’altra parte, è proprio dall’interno della stessa drammatica prima esperienza di quel movimento che sono pervenuti a “Liberazione” (Paolo e Lorenzo su “Liberazione” del 19.8) significativi e  angosciati appelli sintetizzati nella domanda “Gli uomini politici che si stanno interessando a noi fino a quando ci appoggeranno? E che forza potranno avere?” e questa domanda non è sorta soltanto dallo smarrimento di compagni di base perché la riteniamo, sicuramente, eco di uno stato d’animo ampiamente diffusosi tra i  giovani e non, reduci dal trauma subito a Genova.

Del resto, e’ stato un profondo sentimento di paura quello che si è voluto deliberatamente diffondere tra i trecentomila convenuti in quella città e, non a caso, pressochè in coincidenza dell’anniversario delle storiche giornate del luglio ’60 che avevano lanciato al Paese, grazie alla scesa in campo della classe operaia, un ben diverso messaggio politico. Questo effetto terroristico di paura è stato apertamente confessato, per esempio, dal ventiduenne allievo infermiere Luca Casini, rimasto invalido a vita per la milza spappolata dai super-manganelli forniti dagli USA  impugnati, con violenza selvaggia, da chi protetto dall’uniforme di “difensore dell’ordine” repubblicano -operando, di fatto, da “collaborazionista”- ha potuto impunemente pestare senza pietà altri suoi compatrioti gridando loro “Pacifisti di merda, dovete morire!”  (L’Unità, 19.8).

E allora   – dal momento che la classe politica dirigente resta, in quanto classe, quella stessa che , per decenni, ha colluso con le stragi pianificate per “salvare l’Italia dai comunisti “ –   non è in alcun modo possibile, per Rifondazione, leggere le giornate di Genova fuori dal quadro della strategia terroristica portata avanti dagli USA e realizzata, come la non lontana aggressione bellica al popolo serbo, grazie all’appoggio   della loro vasta rete di basi installate, da padroni,  sul nostro territorio.

  Il compagno Fausto Bertinotti, intervenendo sulla scadenza del vertice NATO del 29 settembre, ha riconosciuto che “bisogna passare di nuovo per Napoli...bisogna farlo nello spirito di un attraversamento per andare oltre” ed ha prefigurato una “Costituente dei movimenti” collegata necessariamente anche alla lotta dei metalmeccanici, degli studenti, alla difesa dell’ambiente e della salute (Liberazione 12.8).

Si pone, allora e qui, l’ineludibile problema di esigere della coerente credibilità, interna ed esterna di Rifondazione e, per essa, del suo gruppo dirigente. Da mesi, infatti, è sorprendentemente scomparso dal lessico dei nostri dirigenti e perfino dai programmi della annuale festa di Liberazione ( la prossima “nazionale” inclusa)  ogni riferimento tematico alla lotta per liberare l’Italia dalla presenza intrusiva e oppressiva di quelle basi.  

Eppure, questo obiettivo, era apparso a suo tempo,  esplicitamente annunciato come programmaticamente qualificante nell’atto costitutivo  di Rifondazione attraverso una delle sue  più note parole d’ordine conclusive :   ...fuori l’Italia dalla NATO; fuori le basi USA-NATO dall’Italia!” .

Di conseguenza, ancora più grave e allarmante è la mancata risposta al “Perché ?”, la scorsa primavera   - addirittura nell’imminenza delle elezioni che avrebbero portato al potere la destra filo-fascista-  nel corso del Congresso nazionale dell’A.N.P.I., ( coi suoi 100.000 iscritti la  più numerosa organizzazione di massa direttamente legata alla Resistenza ), la delegazione inviata da Rifondazione, in sintonia oggettiva con quella presidenza congressuale egemonizzata dai DS si pronunciò contro la presentazione di un ordine del giorno che chiedeva a quel medesimo Congresso di rivolgere un tempestivo appello al Paese per denunciare, come umiliante e incompatibile  con gli ideali della Resistenza e i principi della Costituzione, il protrarsi della permanenza delle basi imperialiste straniere , tantopiù dopo l’ accertato coinvolgimento nella strategia stragista riconosciuto perfino da una commissione parlamentare.

Incomprensibile e politicamente grave e contraddittorio appare, dunque, il pubblico prodigarsi di compagni dirigenti nazionali a sostegno del movimento anti-global , mentre, da oltre quattro mesi essi  tardano a dare una risposta soddisfacente  e democraticamente doverosa, a chi, militando in Rifondazione e sostenendone attivamente  la linea costitutiva, aveva presentato a quel prestigioso congresso un ordine del giorno il cui solenne accoglimento,  avrebbe potuto, tra l’altro, aiutare  moltissimi elettori italiani ad orientare il proprio voto con maggior senso di responsabilità civica e patriottica. 

 

                                                        Angiolo Gracci

                (già comandante partigiano garibaldino, comunista militante dal 1944,

                              medaglia d’argento della Resistenza)


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