Angiolo Gracci ('Gracco')
Rifondare
il partito comunista per
lottare
contro la globalizzazione
imperialista
Firenze, 3 settembre 2001
Caro compagno Curzi,
sono un vecchio militante comunista e cofondatore del nostro
Partito.
Avverto l’esigenza politico-morale di contribuire con l’unito intervento al
sempre più vivace confronto che sta sviluppandosi intorno alla posizione da
assumere verso il movimento dell’antiglobalizzazione nel nostro Paese.
Confido, quindi, nell’ospitalità su “Liberazione” già
ampiamente data a compagni dirigenti di primo piano.
Angiolo
Gracci
Lo
sconvolgente trauma collettivo di Genova sta sempre più alimentando il
dibattito sul rapporto “Rifondazione-classe-partito-movimento” aperto
dall’ormai noto articolo dei compagni Grassi-Burgio pubblicato da “Il
Manifesto” poco prima di quelle
rivelatrici giornate.
Scongiurato
il pericolo iniziale del rapido esaurirsi del confronto politico in un
disastroso e al momento inconcepibile scontro personalistico frontale
all’interno del gruppo dirigente, i successivi contributi pubblicati da
“Liberazione” consentono già di rilevare che nello sviluppo del dibattito
stanno emergendo sostanzialmente
due diverse visioni politiche.
Da
una parte, sull’onda potentemente emotiva di quella inaudita aggressione
terroristica di massa, si delinea una tendenza che, per quanto differenziata,
vede Rifondazione come una componente qualificata del vastissimo arcipelago di
soggettività eterogenee rappresentato dal “movimento No global” in cui vi
si colloca “alla pari”.
In
tale contesto il ruolo esistenziale di Rifondazione
apparirebbe inscindibilmente legato all’evolversi, consolidarsi e
crescere di quel medesimo movimento e ciò, comunque,
prescindendo o soprassedendo -di fatto e almeno in questa fase- dal dare,
con l’imminente congresso, concreto sbocco al percorso che i militanti
fondatori del P.R.C si erano esplicitamente
proposti per la ricostruzione del P.C nel nostro Paese.
Dall’altra
parte, invece, - sul
piano dell’aspirazione a razionale recupero, in positivo, della
tradizione del movimento comunista in generale e di quello italiano, in
particolare- si
delinea una ancora non sufficientemente chiara tendenza protesa a sottolineare
l’esigenza prioritaria di pervenire al più presto allo sblocco della
paralizzante situazione di protratta ambiguità in cui Rifondazione vive ormai
da troppi anni rispetto all’assolvimento del preciso e tassativo obiettivo
iniziale propostosi e che, per altro, l’ha validamente legittimata
consentendole di svolgere, fino ad oggi, una preziosa funzione di catalizzazione
e mantenimento delle altrimenti disperse potenzialità del movimento comunista.
Ebbene,
quell’obiettivo, appunto -
quello di ridare al più presto alla classe operaia (e, quindi, al relativo
movimento) la sua “avanguardia cosciente e organizzata”-
va, a mio avviso considerato dominante e prioritario e condizionante ogni
altra scelta anche verso i movimenti intesi nella loro accezione più generale,
movimento “No global” incluso. Trattasi , infatti,
di raggiungere, con l’effettiva rifondazione del Partito Comunista, lo
strumento storicamente
indispensabile per tornare a conferire a quel settore essenziale della società
nazionale , il proletariato operaio, efficace rappresentatività politica,
autonoma capacità di orientamento strategico e di scelte tattiche, concreta
possibilità di valida difesa dei diritti propri
e delle altre classi subalterne, il pieno dispiegamento della propria capacità
di direzione politica, di modificazione dei rapporti di forza necessaria per
inserirsi, anch’essa, al massimo livello di quel potere da cui la
borghesia capitalista imperialista l’ha tenuta e la mantiene totalitariamente
esclusa.
La
“seconda tendenza”, invece, tenendo conto del recente e rilevante
salto qualitativo verificatosi nella lotta di classe nel Paese, pone, come
imprescindibile e urgente, l’esigenza di cogliere la vicina scadenza
congressuale di Rifondazione quale occasione indifferibile e, come congiuntura
favorevole, irripetibile, per uscire da una perdurante e inconcludente ambiguità
parapartitica-paramovimentista per convogliare viceversa le preziose energie
ancora disponibili al suo interno (ma anche quelle compatibilmente disponibili
all’esterno) per compiere, finalmente, l’atteso sforzo risolutivo,
necessario e sufficiente, per far risorgere il Partito Comunista d’Italia nel
solco innegabilmente glorioso di quello di Gramsci e, così, ridando davvero,
alla nostra classe operaia la reale possibilità di riprendere il suo ruolo
storico “centralizzandosi” sull’intero movimento proletario nazionale e,
in tal modo, dando un decisivo aiuto al consolidarsi e crescere dello
stesso nuovo movimento spontaneo di
massa “anti global”.
D’altra
parte, è proprio dall’interno della stessa drammatica prima esperienza di
quel movimento che sono pervenuti a “Liberazione” (Paolo e Lorenzo su
“Liberazione” del 19.8) significativi e
angosciati appelli sintetizzati nella domanda “Gli uomini politici che si stanno interessando a noi fino a quando ci
appoggeranno? E che forza potranno avere?” e questa domanda non è
sorta soltanto dallo smarrimento di compagni di base perché la riteniamo,
sicuramente, eco di uno stato d’animo ampiamente diffusosi tra i
giovani e non, reduci dal trauma subito a Genova.
Del
resto, e’ stato un profondo sentimento di paura quello che si è voluto
deliberatamente diffondere tra i trecentomila convenuti in quella città e, non
a caso, pressochè in coincidenza dell’anniversario delle storiche giornate
del luglio ’60 che avevano lanciato al Paese, grazie alla scesa in campo della
classe operaia, un ben diverso messaggio politico. Questo effetto terroristico
di paura è stato apertamente confessato, per esempio, dal ventiduenne allievo
infermiere Luca Casini, rimasto invalido a vita per la milza spappolata dai
super-manganelli forniti dagli USA impugnati, con violenza selvaggia, da chi protetto
dall’uniforme di “difensore dell’ordine” repubblicano -operando, di
fatto, da “collaborazionista”- ha potuto impunemente pestare senza pietà
altri suoi compatrioti gridando loro “Pacifisti di merda, dovete
morire!” (L’Unità,
19.8).
E
allora – dal momento che la
classe politica dirigente resta, in quanto classe, quella stessa che , per
decenni, ha colluso con le stragi pianificate per “salvare l’Italia dai
comunisti “ – non è in
alcun modo possibile, per Rifondazione, leggere le giornate di Genova fuori dal
quadro della strategia terroristica portata avanti dagli USA e realizzata, come
la non lontana aggressione bellica al popolo serbo, grazie all’appoggio
della loro vasta rete di basi installate, da padroni,
sul nostro territorio.
Si
pone, allora e qui, l’ineludibile problema di esigere della coerente
credibilità, interna ed esterna di Rifondazione e, per essa, del suo gruppo
dirigente. Da mesi, infatti, è sorprendentemente scomparso dal lessico dei
nostri dirigenti e perfino dai programmi della annuale festa di Liberazione ( la
prossima “nazionale” inclusa) ogni
riferimento tematico alla lotta per liberare l’Italia dalla presenza intrusiva
e oppressiva di quelle basi.
Eppure,
questo obiettivo, era apparso a suo tempo,
esplicitamente annunciato come programmaticamente qualificante
nell’atto costitutivo di Rifondazione attraverso una delle sue
più note parole d’ordine conclusive :
“...fuori
l’Italia dalla NATO; fuori le basi USA-NATO dall’Italia!” .
Di
conseguenza, ancora più grave e allarmante è la mancata risposta al “Perché
?”, la scorsa primavera -
addirittura nell’imminenza delle elezioni che avrebbero portato al potere la
destra filo-fascista- nel corso del
Congresso nazionale dell’A.N.P.I., ( coi suoi 100.000 iscritti la
più numerosa organizzazione di massa direttamente legata alla Resistenza
), la delegazione inviata da Rifondazione, in sintonia oggettiva con quella
presidenza congressuale egemonizzata dai DS si pronunciò contro la
presentazione di un ordine del giorno che chiedeva a quel medesimo Congresso di
rivolgere un tempestivo appello al Paese per denunciare, come umiliante e
incompatibile con gli ideali della
Resistenza e i principi della Costituzione, il protrarsi della permanenza delle
basi imperialiste straniere , tantopiù dopo l’ accertato coinvolgimento nella
strategia stragista riconosciuto perfino da una commissione parlamentare.
Incomprensibile
e politicamente grave e contraddittorio appare, dunque, il pubblico prodigarsi
di compagni dirigenti nazionali a sostegno del movimento anti-global , mentre,
da oltre quattro mesi essi tardano
a dare una risposta soddisfacente e
democraticamente doverosa, a chi, militando in Rifondazione e sostenendone
attivamente la linea costitutiva,
aveva presentato a quel prestigioso congresso un ordine del giorno il cui
solenne accoglimento, avrebbe
potuto, tra l’altro, aiutare moltissimi
elettori italiani ad orientare il proprio voto con maggior senso di
responsabilità civica e patriottica.
Angiolo
Gracci
(già
comandante partigiano garibaldino, comunista militante dal 1944,
medaglia d’argento della Resistenza)
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