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nr.3 - nuova serie - ottobre 2001

Redazione pugliese di Nuova Unità

GIOCO AL MASSACRO SULLA PELLE DEI LAVORATORI E DELLA CITTA'


Cos’è in palio nell’apparente braccio di ferro tra il sindaco di Taranto e il padrone dell’Ilva? Richieste di provvidenze statali copiose. L’assenza di un reale punto di vista autonomo di classe


Possibile, si chiedono in molti, che la sindaca di Taranto Rossana Di Bello, esponente di spicco di Forza Italia, si sia convertita all’ambientalismo? Certo, i dati di decessi per tumore nella città dei due mari è impressionante: siamo oltre i dati nazionali, 525 nuovi casi l’anno, che, aggiunti a quelli della provincia (662) fanno 1.187 (dati del Bollettino epidemiologico dell’Azienda sanitaria locale del 22 ottobre u.s.). Ma la sindaca, alla ricerca del facile plauso elettorale, non aveva mosso un dito quando era assessore regionale all’Industria. Inoltre, si circonda di personaggi del vecchio ceto politico socialista, come l’ex-sindaco PSI Mario Guadagnolo, diventato “difensore dei cittadini” per nomina dello stesso centro-destra e che qualche responsabilità per l’ignavia delle istituzioni nei confronti dell’inquinamento per tutti gli anni ’80 deve pur averlo. E allora? Il problema è che la fin troppo rapida privatizzazione dell’Ilva di Taranto, un regalo dei governi di centro-sinistra al padrone dell’acciaio italico e che consegnava nel 1995 una delle poche industrie di livello internazionale delle partecipazioni statali in attivo, ha lasciato profondi malumori in tutti i settori sociali, naturalmente con profonde differenze motivazionali.

- Per i lavoratori, una perdita secca di diritti e prerogative e un incremento selvaggio dello sfruttamento intensivo, tradotto in un cambio generazionale doloroso e fruttifero per l’azienda: fuori le vecchie maestranze, pre-pensionate, in cassa integrazione, in mobilità e con varie provvidenze per favorirne l’esodo, dentro i giovani in formazione-lavoro (più di 4500 negli ultimi 5 anni) maggiormente ricattabili, per niente sindacalizzati e con meno storie per i lavori ‘sporchi’. Tant’è che gli incidenti sul lavoro, troppi anche mortali, si sono susseguiti senza soluzione di continuità.

- Per l’intera cittadinanza: l’inquinamento si è fatto sempre più asfissiante, i danni alle cose e alle persone, specie nei quartieri popolari a ridosso del colosso siderurgico, sempre più ingenti; la popolazione non ne può più, si muore sempre più di tumori e leucemie, nascono comitati spontanei che inscenano manifestazioni nelle strade cittadine, si impone il tema alle pigre istituzioni joniche, partiti e associazioni, fino ad allora muti, aprono vertenze e si scoprono sensibili alle ire dell’esausta cittadinanza.

Infine,

- per la piccola e media industria locale: l’indotto anche in parte parassitario che godeva della committenza statale, si vede per buona parte estromessa dalla fabbrica o comunque ridimensionata, per far posto ad aziende amiche del padrone Emilio Riva.

 

In questa situazione, a febbraio 2001 (vedi scheda), il sindaco decide di farsi paladina dell’anti-inquinamento. D’altra parte, è stata eletta con i voti controllati dalle associazioni di categoria e dalle traballanti corporazioni industriali della città. Con un’ordinanza senza precedenti, emette una disposizione che impone la chiusura delle cokerie 3 e 6, da tempo nell’occhio del ciclone, obsolete e usurate, produttrici di alto inquinamento e oggetto delle lotte dei lavoratori, quando però non se le filava nessuno.  In questo modo, non solo ottiene il consenso tipico del populismo, non solo si ricongiunge agli interessi della media borghesia cittadina, ma rivendica potere contrattuale nei confronti dello Stato; questi iperliberisti bussano continuamente a quattrini: ci vogliono strade, infrastrutture, aree demaniali, porto e retroportualità, si approva e si ottiene il finanziamento della comunità europea per il progetto “Urban II”. Insomma, il disinquinamento come business da gestire in loco, per sostenere uno sviluppo compatibile, come è ormai nel gergo dominante.

Ma il braccio di ferro lo si sta sostenendo con un grande protetto delle famiglie capitaliste italiane, quell’Emilio Riva che spera di trasferire a Taranto le lavorazioni inquinanti liguri e che ha a noia ogni scatto d’orgoglio e di mobilitazione dei lavoratori della “sua” azienda. Riva non rispetta le ordinanze, continua nel turn-over delle maestranze e risponde che se deve chiudere le famigerate cokerie inquinanti, deve mettere in mora più della metà dei lavoratori. In una città flagellata dalla disoccupazione, sarebbe una ‘mazzata’ insostenibile. E per ribadire il concetto, il paròn spende oltre 30 milioni per far giungere a tutti i cittadini, firmata 17 ottobre, una lettera il cui succo è: “non costringetemi a dimezzare la produzione, ne va dell’ occupazione”. Anche qui, l’intenzionalità è duplice: da una parte si brandisce il solito ricatto, o morite lavorando e asfissiati o morite di fame per il non-lavoro; dall’altra, si bussa indirettamente (ancora!) alle casse dello Stato, per rimettere in sesto le cokerie “con la necessaria tempistica” (come si evince dalla lettera).

 

E’ un gioco al massacro dei poteri forti: e la posta in palio sono finanziamenti statali, copiosi finanziamenti magari dal governo dell’amico (per entrambi) Berlusconi. Si suona, insomma, alla casa del solito Pantalone: ma chi ci va di mezzo sono i lavoratori e le masse popolari, pedine del solito sporco gioco di “lor signori”.

Di fronte a questi scenari, ci vorrebbe innanzitutto un’analisi seria e forte degli avvenimenti, un’analisi di classe. Che manca quasi del tutto. Rifondazione Comunista (e le associazioni ambientaliste) va al rimorchio del sindaco in Consiglio Comunale, stentando a trovare gli spazi per una autonoma mobilitazione contro tutti i poteri forti. Le organizzazioni sindacali consociative (ancora forti in azienda, nonostante una perdita secca in termini di sfiducia massiccia) sembrano impigliate nel ricatto padronale, consce della desertificazione che hanno provocato negli anni e invitano alla calma e alla conciliazione.

 

Una storia emblematica per le vicende del nostro paese: l’autonomia di classe deve trovare le gambe e gli strumenti per potersi organizzare in mobilitazione popolare e staccarla dalla demagogia populista dei poteri forti. E’ il compito di tutti gli autentici comunisti, a Taranto come altrove.

 

Ottobre 2001

Redazione pugliese di Nuova Unità


SCHEDA

 

·         Il 6 febbraio 2001 la sindaca di Taranto Rossana Di Bello (Forza Italia), emette un’ordinanza con cui ordina all’Ilva di provvedere alla sostituzione delle batterie 3 e 6 della cokeria. I successivi controlli sugli impianti non danno riscontri positivi. Il 22 maggio la Di Bello emette una nuova, analoga ordinanza: l’11 giugno è la volta di un terzo provvedimento, più circostanziato dei precedenti

·         Gli ambientalisti, intanto, rendono noti i dati dell’incidenza tumorale a Taranto: il 50% dei casi in più negli ultimi 15 anni rispetto alla media nazionale

·         L’8 settembre u.s. la sindaca annuncia: “Chiederò al prefetto di far intervenire la forza pubblica per chiudere la cokeria”. La CGIL esprime dissenso, auspicando il ricorso al negoziato. L’11 settembre il giudice delle indagini preliminari dispone il sequestro preventivo delle batterie 3,4,5 e 6 della cokeria. La chiusura diventa imminente

·         Il 20 settembre l’Ilva fa ricorso in Cassazione contro il provvedimento di sequestro disposto dal GIP. E’ ancora guerra delle carte bollate. I lavoratori dell’Ilva scioperano per 4 ore, con due cortei che attraversano la città

·         Il 17 ottobre, Riva firma una lettera a tutti i cittadini di Taranto, in cui minaccia: “Fermare l’impianto vuol dire correre il rischio di non poterlo più rimettere in funzione. Vuol dire rinunciare a circa il 50% della produzione complessiva dell’Ilva, con tutto ciò che ne consegue.”

·         E intanto i lavoratori della Belleli, da oltre un anno in cassa-integrazione, occupano il 18 ottobre la sala del Consiglio Comunale…….


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