Redazione pugliese di Nuova Unità
GIOCO AL MASSACRO SULLA PELLE DEI LAVORATORI E DELLA CITTA'
Possibile, si chiedono in molti, che la sindaca di Taranto Rossana Di Bello, esponente di spicco di Forza Italia, si sia convertita all’ambientalismo? Certo, i dati di decessi per tumore nella città dei due mari è impressionante: siamo oltre i dati nazionali, 525 nuovi casi l’anno, che, aggiunti a quelli della provincia (662) fanno 1.187 (dati del Bollettino epidemiologico dell’Azienda sanitaria locale del 22 ottobre u.s.). Ma la sindaca, alla ricerca del facile plauso elettorale, non aveva mosso un dito quando era assessore regionale all’Industria. Inoltre, si circonda di personaggi del vecchio ceto politico socialista, come l’ex-sindaco PSI Mario Guadagnolo, diventato “difensore dei cittadini” per nomina dello stesso centro-destra e che qualche responsabilità per l’ignavia delle istituzioni nei confronti dell’inquinamento per tutti gli anni ’80 deve pur averlo. E allora? Il problema è che la fin troppo rapida privatizzazione dell’Ilva di Taranto, un regalo dei governi di centro-sinistra al padrone dell’acciaio italico e che consegnava nel 1995 una delle poche industrie di livello internazionale delle partecipazioni statali in attivo, ha lasciato profondi malumori in tutti i settori sociali, naturalmente con profonde differenze motivazionali.
- Per i lavoratori, una perdita secca di diritti e prerogative e un incremento selvaggio dello sfruttamento intensivo, tradotto in un cambio generazionale doloroso e fruttifero per l’azienda: fuori le vecchie maestranze, pre-pensionate, in cassa integrazione, in mobilità e con varie provvidenze per favorirne l’esodo, dentro i giovani in formazione-lavoro (più di 4500 negli ultimi 5 anni) maggiormente ricattabili, per niente sindacalizzati e con meno storie per i lavori ‘sporchi’. Tant’è che gli incidenti sul lavoro, troppi anche mortali, si sono susseguiti senza soluzione di continuità.
-
Per l’intera cittadinanza:
l’inquinamento si è fatto sempre più asfissiante, i danni alle cose e alle
persone, specie nei quartieri popolari a ridosso del colosso siderurgico, sempre
più ingenti; la popolazione non ne può più, si muore sempre più di tumori e
leucemie, nascono comitati spontanei che inscenano manifestazioni nelle strade
cittadine, si impone il tema alle pigre istituzioni joniche, partiti e
associazioni, fino ad allora muti, aprono vertenze e si scoprono sensibili alle
ire dell’esausta cittadinanza.
Infine,
-
per la piccola e media industria locale: l’indotto anche in parte
parassitario che godeva della committenza statale, si vede per buona parte
estromessa dalla fabbrica o comunque ridimensionata, per far posto ad aziende
amiche del padrone Emilio Riva.
In
questa situazione, a febbraio 2001 (vedi scheda), il sindaco decide di farsi
paladina dell’anti-inquinamento. D’altra parte, è stata eletta con i voti
controllati dalle associazioni di categoria e dalle traballanti corporazioni
industriali della città. Con un’ordinanza senza precedenti, emette una
disposizione che impone la chiusura delle cokerie 3 e 6, da tempo nell’occhio
del ciclone, obsolete e usurate, produttrici di alto inquinamento e oggetto
delle lotte dei lavoratori, quando però non se le filava nessuno.
In questo modo, non solo ottiene il consenso tipico del populismo, non
solo si ricongiunge agli interessi della media borghesia cittadina, ma rivendica
potere contrattuale nei confronti dello Stato; questi iperliberisti bussano
continuamente a quattrini: ci vogliono strade, infrastrutture, aree demaniali,
porto e retroportualità, si approva e si ottiene il finanziamento della comunità
europea per il progetto “Urban II”. Insomma, il disinquinamento come
business da gestire in loco, per sostenere uno sviluppo compatibile, come
è ormai nel gergo dominante.
Ma il braccio di ferro lo si sta sostenendo con un grande protetto delle famiglie capitaliste italiane, quell’Emilio Riva che spera di trasferire a Taranto le lavorazioni inquinanti liguri e che ha a noia ogni scatto d’orgoglio e di mobilitazione dei lavoratori della “sua” azienda. Riva non rispetta le ordinanze, continua nel turn-over delle maestranze e risponde che se deve chiudere le famigerate cokerie inquinanti, deve mettere in mora più della metà dei lavoratori. In una città flagellata dalla disoccupazione, sarebbe una ‘mazzata’ insostenibile. E per ribadire il concetto, il paròn spende oltre 30 milioni per far giungere a tutti i cittadini, firmata 17 ottobre, una lettera il cui succo è: “non costringetemi a dimezzare la produzione, ne va dell’ occupazione”. Anche qui, l’intenzionalità è duplice: da una parte si brandisce il solito ricatto, o morite lavorando e asfissiati o morite di fame per il non-lavoro; dall’altra, si bussa indirettamente (ancora!) alle casse dello Stato, per rimettere in sesto le cokerie “con la necessaria tempistica” (come si evince dalla lettera).
E’ un gioco al massacro dei poteri forti: e la posta in palio sono finanziamenti statali, copiosi finanziamenti magari dal governo dell’amico (per entrambi) Berlusconi. Si suona, insomma, alla casa del solito Pantalone: ma chi ci va di mezzo sono i lavoratori e le masse popolari, pedine del solito sporco gioco di “lor signori”.
Di fronte a questi scenari, ci vorrebbe innanzitutto un’analisi seria e forte degli avvenimenti, un’analisi di classe. Che manca quasi del tutto. Rifondazione Comunista (e le associazioni ambientaliste) va al rimorchio del sindaco in Consiglio Comunale, stentando a trovare gli spazi per una autonoma mobilitazione contro tutti i poteri forti. Le organizzazioni sindacali consociative (ancora forti in azienda, nonostante una perdita secca in termini di sfiducia massiccia) sembrano impigliate nel ricatto padronale, consce della desertificazione che hanno provocato negli anni e invitano alla calma e alla conciliazione.
Una storia emblematica per le vicende del nostro paese: l’autonomia di classe deve trovare le gambe e gli strumenti per potersi organizzare in mobilitazione popolare e staccarla dalla demagogia populista dei poteri forti. E’ il compito di tutti gli autentici comunisti, a Taranto come altrove.
Ottobre
2001
Redazione pugliese di Nuova Unità
SCHEDA
·
Il 6 febbraio 2001 la sindaca di Taranto Rossana Di Bello (Forza
Italia), emette un’ordinanza con cui ordina all’Ilva di provvedere alla
sostituzione delle batterie 3 e 6 della cokeria. I successivi controlli sugli
impianti non danno riscontri positivi. Il 22 maggio la Di Bello emette una
nuova, analoga ordinanza: l’11 giugno è la volta di un terzo provvedimento,
più circostanziato dei precedenti
·
Gli ambientalisti, intanto, rendono noti i dati dell’incidenza
tumorale a Taranto: il 50% dei casi in più negli ultimi 15 anni rispetto alla
media nazionale
·
L’8 settembre u.s. la sindaca annuncia: “Chiederò al prefetto di
far intervenire la forza pubblica per chiudere la cokeria”. La CGIL esprime
dissenso, auspicando il ricorso al negoziato. L’11 settembre il giudice delle
indagini preliminari dispone il sequestro preventivo delle batterie 3,4,5 e 6
della cokeria. La chiusura diventa imminente
·
Il 20 settembre l’Ilva fa ricorso in Cassazione contro il
provvedimento di sequestro disposto dal GIP. E’ ancora guerra delle carte
bollate. I lavoratori dell’Ilva scioperano per 4 ore, con due cortei che
attraversano la città
·
Il 17 ottobre, Riva firma una lettera a tutti i cittadini di Taranto, in
cui minaccia: “Fermare l’impianto vuol dire correre il rischio di non
poterlo più rimettere in funzione. Vuol dire rinunciare a circa il 50% della
produzione complessiva dell’Ilva, con tutto ciò che ne consegue.”
·
E intanto i lavoratori della Belleli, da oltre un anno in
cassa-integrazione, occupano il 18 ottobre la sala del Consiglio Comunale…….
vai all' index di Lavoro Politico nr.3 vai all'home Linea Rossa scrivi alla redazione webmaster