lavoro politico
 
sito web di materiali marxisti per la linea rossa
 
webmaster: Ferdinando Dubla
nr.4 - nuova serie - gennaio 2002

Ferdinando Dubla

PER UNA LIA (“lotta ideologica attiva”) all’interno del PRC

Quale ruolo può assumere oggi la militanza marxista-leninista nella dialettica interna al PRC? Il significato di una battaglia congressuale da affrontare con rigore teorico e tattica accorta, ma senza perdere di vista la prospettiva strategica: ricostruire il partito dei comunisti in Italia.

I motivi per un impegno serrato all’interno del PRC di militanti e quadri che si richiamano al marxismo-leninismo, sono innumerevoli. Il PRC occupa oggi uno spazio politico, visibile e storicamente affermato, della sinistra antagonista e alternativa e connotata in senso comunista. Il come lo occupa e con quali prospettive strategiche, è oggetto del dibattito congressuale che avrà come esito l’assise del 4-7 aprile p.v. con la celebrazione del V° Congresso nazionale.

- in Rifondazione si confrontano dialetticamente tre posizioni: una di maggioranza (Bertinotti-Ferrero-Maitan) che si caratterizza in senso movimentista e accentua la sua visione economicista stemperando la prospettiva strategica in una nebulosa senza contorni definiti; per far questo, ha bisogno di recidere quanto più è possibile il legame della propria formazione storica con la storia e l’eredità del PCI (e i quadri che ad esse si ispirano anche in maniera critica), ma anche con il leninismo e il Gramsci interprete creativo del leninismo: l’attacco liquidatorio allo stalinismo e a tutte le esperienze statuali del socialismo del Novecento è funzionale e propedeutico alla progressiva trasformazione di Rifondazione in componente organica del ‘movimento dei movimenti’. Nello stesso tempo, però, il ceto politico conserva il suo primato nella prassi istituzionale: nessuna problematicità per gli accordi periferici con il centro-sinistra, in un quadro nazionale di distinzione da esso per conservare un vitale spazio politico. L’impianto delle 63 tesi di maggioranza è sostanzialmente questo, debitore teoricamente a Negri (“impero” e non “imperialismo”) e a Marcos (gli ossimori del tipo “rivoluzione capitalista”).

- A questa visione si oppone, ma non in alcuni punti decisivi, il documento della minoranza trotskista di Ferrando-Grisolia: un partito comunista rivoluzionario che non deve porsi il problema delle alleanze, ma quello dell’egemonia. Come costruire l’egemonia? culturalmente chiedendo ugualmente l’abiura dello stalinismo e delle esperienze storiche e tendenzialmente ricostruendo la Quarta Internazionale. Nella sostanza, è questo documento che chiede integralmente di trasformare Rifondazione in una formazione politica alla francese, consegnando all’eredità comunista classica il ruolo del moderatismo compatibilista.

-          Infine, l’area leninista-gramsciana che fa riferimento a Claudio Grassi e G.Pegolo, Fausto Sorini e A.Burgio: cercare di organizzare la battaglia interna intorno a punti considerati dirimenti per opporre una corposa resistenza (qualunque sia l’esito congressuale) al mutamento di Rifondazione in senso movimentista ed economicista, porre attenzione seria alla costruzione di un fronte progressista contro le destre senza rinunciare ad una prospettiva strategica, la costruzione del processo rivoluzionario in direzione del socialismo.

Alcuni seri limiti di quest’area su come condurre la battaglia è possibile purtroppo riscontrarli: il primo e più evidente è che una componente attiva non si improvvisa, ma la si costruisce nel tempo e questo è mancato per il primato del gruppo dirigente rispetto alle istanze di base. Un limite che se ripetuto (non mantenere un coordinamento dell’area ecc..) significherebbe la liquidazione totale dell’esperienza. Proprio il primato politico senza organizzazione, ha comportato un’impostazione eccessivamente difensiva: si è deciso di non emendare la tesi 53 (Comunismo contro stalinismo) tra le altre la peggiore per il suo significato trasversale, mentre era possibile utilizzare l’analisi maoista sull’esperienza storica del socialismo (gli scritti del ’56 di prossima pubblicazione per la Nuova Editrice Oriente) e finanche l’elaborazione togliattiana di ‘Nuovi Argomenti’ (vedi il mio LO SCHELETRO E L’ARMADIO, inviato anche alla rivista L’Ernesto) per passare dalla difensiva alla controffensiva: il tatticismo non può prevalere sul respiro strategico di una battaglia, che, oltre che rimanere egualmente perdente (ma non è il vero problema, le battaglie quando si conducono bene, anche se si perdono, lasciano sempre un segno profondo) rimarrebbe fine a se stessa e scollegata alla strategia.  Ad ogni modo, anche l’emendamento  alla tesi 53 sarà presentato in molte realtà di base.

E’ questa l’area a cui oggi i marxisti-leninisti debbono far riferimento, almeno quei compagni che militano all’interno del PRC. Cerchiamo di spiegarne i punti dirimenti.

 

L’ATTUALIZZAZIONE DELLA CATEGORIA LENINISTA DI IMPERIALISMO

  La categoria di imperialismo, nella sua accezione leninista, è adeguata anche all’analisi attuale dei movimenti del capitalismo nella sua dimensione internazionale. La fecondità di quella categoria, infatti, consiste nella profonda interpretazione marxista dei processi che conducono allo sbocco di guerra la crisi del capitale. E infatti, l’esito di ciò che nella fase viene indicata come “globalizzazione liberista” è la guerra imperialista, squadernata davanti ai nostri occhi come proclamata guerra permanente di lunga durata dall’imperialismo USA. Le cause di questa guerra sono nella sostanza le stesse di quelle analizzate da Lenin, anche se gli effetti e i modi si sono modificati. Non è dunque l’impianto di lettura della guerra che siamo chiamati a trasformare, ma l’analisi di fase, ed è su questo che dovremmo concentrare la nostra attenzione. Oggi la guerra imperialista di lunga durata, nutrita dalle conflittualità interimperialiste che non possono essere assunte come contraddizione principale oggi per la supremazia militare dell’imperialismo USA, si rende necessaria per le borghesie dominanti, non per “l’incalzare dell’offensiva del movimento rivoluzionario”, nonostante le forme di resistenza più o meno organizzate (anche degli e dentro gli Stati nazionali) che non godono più del riequilibrio della costruzione statale sovietica, ma per le contraddizioni interne al sistema (di cui il fondamentalismo religioso in alcuni paesi islamici è, ad es. un’espressione) che ne minano una riproduzione allargata: è la crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale e l’egemonia del capitale speculativo-finanziario e la sovrapproduzione di merci che ne derivano che provoca l’esito della guerra permanente.

 

PER LA CRESCITA DEL MOVIMENTO ANTIGLOBALIZZAZIONE COME MOVIMENTO ANTICAPITALISTA E ANTIMPERIALISTA

Per i comunisti, il movimento è come l’acqua per i pesci: essi nuotano, vivono, solo insieme ad esso. Ma senza un indirizzo ideale e programmatico, si sarebbe in balìa delle correnti, di tutte le correnti. Questo movimento, noto come “movimento no-global” va costruito e rafforzato come movimento coerentemente anticapitalistico e antimperialistico: in questo senso deve essere letto il contributo dei comunisti e la loro contaminazione per il movimento, per portare in esso delle interpretazioni di classe dei processi sociali, politici ed economici e contribuire ad una prospettiva strategica che determini il superamento definitivo del capitalismo e dell’imperialismo.

Il movimento detto “no global” diverrà movimento coerentemente anticapitalista e antimperialista se saprà fondersi con il movimento operaio e le modalità sia classiche che innovative della lotta di classe.

A questo movimento infatti, paradossalmente, è mancata compiutamente sinora la ‘contaminazione’ propria dei princìpi comunisti. I quali non possono assolutizzare nessuna forma di lotta: la non-violenza assurta a valore assoluto e la resistenza simbolica tipica della ‘disobbedienza civile’, già in contraddizione tra loro, confliggono (ma, appunto, solo se assolutizzate) potenzialmente con gli esiti possibili della lotta di classe e più in generale con la lotta delle masse popolari. Il nesso che i marxisti pongono è quello tra potere politico-economico dominante/forme della lotta di classe/ processo e rottura rivoluzionaria. Leninisticamente, la fissazione assoluta del secondo termine del rapporto, cambia anche il primo e il terzo: in concreto, la richiesta al potere politico-economico della globalizzazione imperialista di rapporti sociali ‘più equi e giusti’ e non la rivendicazione del potere politico-economico per le classi popolari; un protagonismo mass-mediatico simbolico e la spettacolarizzazione del ‘gesto ribelle’ e non la partecipazione cosciente delle grandi masse, guidata dai ceti produttivi, alla trasformazione rivoluzionaria. Un riformismo compatibilista in un involucro massimalista e ribellistico, che assegna a determinate forme di lotta e resistenza un valore assoluto e paradigmatico. I comunisti devono farsi sì contaminare dalla fase peculiare che le forme di resistenza al liberismo capitalista assegnano al periodo storico, ma senza rinunciare a porre quel nesso fondamentale che non può essere ridotto ad una ‘caricatura’ schematica come quella della coscienza portata dall’esterno dalle avanguardie e alla presunzione egemone del problema della direzione che mirerebbe ad annichilire le differenze. Ogni movimento è il risultato di fasi storiche determinate: rivestirsi esso stesso dell’essere storia, tant’è che nulla è come prima e tutto si è modificato, potrebbe voler significare la rinuncia ad un progetto sociale davvero radicalmente alternativo al sistema capitalista.

 

LA COSTRUZIONE DEI SOCIAL FORUM cittadini, di paese, di quartiere sono, anche rispetto ai fini dello sviluppo del movimento in chiave anticapitalista e antimperialista, uno strumento indispensabile e i comunisti vi apporteranno il loro contributo senza pretese egemoniche, ma attenti a combattere forme di sterile leaderismo movimentista e fermi e rigorosi nel rilanciare un punto di vista radicalmente alternativo alle compatibilità capitaliste, per la centralità operaia nel processo di crescita della soggettività rivoluzionaria anche nel lavoro  di unificazione tra figure sociali diverse, in generale tra proletariato classico e moderno, in particolare - tra i lavoratori e i giovani, prima di tutto, tra i garantiti e i non garantiti, tra gli operai e gli studenti, tra i “nativi” e i migranti - per un fronte ampio e popolare nella promozione di battaglie che affondino le loro ragioni nelle contraddizioni del sistema capitalistico.

IL RADICAMENTO SOCIALE DEL PARTITO COMUNISTA COME FORMA DELL’INNOVAZIONE

Il partito è il tramite organizzativo col quale il proletariato si libera dal ‘destino’ predeterminato ed incide consapevolmente sui processi storici.  Non è, chiaramente, dal principio dell’organizzazione che possono essere dipese le involuzioni burocratiche e, infine, sul piano strategico, moderate di alcuni partiti comunisti. Una delle molteplici cause potrebbe essere piuttosto rappresentata dall’abbandono stesso della concezione leninista-gramsciana del partito comunista costruito essenzialmente nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro e del conflitto capitale/lavoro.

Se l’insorgenza e lo sviluppo del movimento detto ‘no global’, gli ‘ossimori’ di Marcos e l’esperienza di Porto Alegre, nonché la guerra imperialista di lunga durata che si affaccia all’alba del XXI secolo, dovessero cambiare i connotati organizzativi della forma-partito leninista, sarebbe l’ennesima, degenerativa mutazione genetica di un partito comunista. La forma-partito leninista si è sì modificata nel tempo, ma non in base alle mutate condizioni storiche, semmai in base all’opportunismo e allo scambio ineguale quote di potere/modificazione della struttura e dei fini dei partiti comunisti rispetto all’impianto leninista. Ed è Antonio Gramsci che, mutuando in pieno la lezione leninista, individua nel Partito Comunista, nella sua autonomia progettuale, il soggetto in grado di rompere con il determinismo, di aprire contraddizioni rivoluzionarie, di rovesciare i rapporti di forza e tendere all’egemonia.

 

Il PRC non è nato dal nulla: è la conseguenza di un fatto storico rilevantissimo, quale soprattutto la mutazione genetico-identitaria del Partito Comunista di Gramsci e di Togliatti. Dunque, non è un tentativo ex-novo di fondazione, ma il deliberato proposito di ri-fondazione di una formazione politica. Il fatto poi che nel periodo 1989-91, siano state interrotte le esperienze di transizione dei paesi del cosiddetto ‘socialismo reale’, ha reso più urgente e non peregrino questo compito storico.

I pregi del PRC sono oggettivi e storici e ancora superano le carenze soggettive:

- l’occupazione di uno spazio politico di rappresentanza sociale antagonista al sistema capitalista;

- la preservazione di una memoria storica contro l’offensiva revisionista delle classi dominanti.

Questi due pilastri su cui si fonda l’esistenza stessa del PRC, però, devono essere riempiti di contenuti: cioè da una tattica legata ad una più complessiva finalità strategica; ad un progetto sociale ampio che sostanzi gli obiettivi immediati e intermedi; da un’analisi storica e un bilancio critico dell’esperienza del ‘900 del movimento comunista internazionale.

E’ necessario sostanziare un progetto connaturato all’identità fondata storicamente: la ri-fondazione del Partito Comunista nel nostro paese, non solo di quadri e di avanguardie, ma di massa; nello stesso tempo  popolare e con qualità d’avanguardia.

 

Alcuni esempi:

·         la deriva a destra degli attuali DS, allarga lo spazio politico per il PRC; ma può portarlo anche a snaturarsi per occupare uno spazio non originariamente proprio. E’ così che negli anni il PRC ha ristretto il suo profilo ex-Pci (su cui si è pateticamente e in modo grossolanamente strumentale fiondato il Pdci di Cossutta e Diliberto, risultato invece di un’operazione meramente opportunistica) e ha rafforzato il suo radicalismo neokeynesiano.  Ciò rischia di piegare il PRC, senza un adeguato respiro strategico, verso il vizio dell’economicismo, un difetto che deve essere estraneo ad un partito comunista, come insegnò Lenin che non a caso si spese molto in questa battaglia.

 

La scarsa attenzione per la formazione dei quadri, per intessere quel reticolo fitto di materiali, riviste, seminari, strumenti, case editrici, ecc..,  che solo può motivare oggi all’agire politico in una formazione comunista, è uno dei limiti più gravi del PRC. E’ uno dei motivi con cui va spiegato, ad es., l’impressionante turn-over nel tesseramento: e non solo. E’ così che si spiega l’inattività passiva in molti circoli. I giovani vengono affascinati dall’ideale comunista: possono allontanarsi dall’impegno politico quando non capiscono più il nesso fra il quotidiano, il contingente e i valori, le idee della prospettiva socialista.

In conclusione, occupare uno spazio politico non è sufficiente per dare impulso espansivo al progetto rifondativo; lo è purtroppo solo per l’autoreferenzialità del ceto politico professionalizzatosi nelle istituzioni. Questo, ad esempio, è garantito anche al Pdci di Cossutta, che, asfissiato dalla mancanza di spazio, è alla coda della coalizione dell’Ulivo per poter sopravvivere solo come ceto in funzione anti-PRC.

La scarsa attenzione data alle motivazioni ideali e all’autonomia progettuale strategica (la lotta per e l’esito del socialismo; quali forme, modi, rapporti, ecc…) è la causa fondamentale dell’ eccessiva litigiosità nei e tra i gruppi dirigenti, di base, intermedi e di vertice, che molte e troppe volte assumono forme pre-politiche e/o individualistiche e di carriera.

La principale forma dell’innovazione del partito comunista adeguata alla fase storica è dunque il suo radicamento sociale.

 

Naturalmente, militare da marxisti-leninisti all’interno del PRC e scegliere di condurre con forza questa battaglia congressuale, una vera e propria LIA (Lotta Ideologica Attiva), è un decisivo passo, ma di transizione appunto attiva, che rinuncia all’attendismo. Certo, non può essere considerata risolutiva per un’area che deve essere costruita ancora anche all’interno della componente leninista-gramsciana: ma è un primo passo essenziale e fondamentale. Strategicamente, infatti, quest’area deve avere come obiettivo la ricostruzione di un partito comunista davvero all’altezza delle sfide concrete della fase, nonchè porsi la funzione di interloquire anche con quelle componenti m-l esterne a Rifondazione. Inoltre, deve porsi il compito di lavorare con più continuità e perseveranza all’immissione del maoismo nella tradizione classica comunista del nostro paese e più in generale dell’occidente. E’ un lavoro di lunga lena - altro che autopromozioni dall’alto di leaders di se stessi che rinunciano alle fatiche e ai sacrifici che ci impone la fase storica! - di autoformazione e formazione di quadri, che richiede collocazione politica, ma anche ‘attrezzatura’ culturale e impianti teorici forti per una prassi che rifugga dalla sterilità, dal minoritarismo testimoniale, dal settarismo autoreferenziale, l’altra faccia del ceto politico professionalizzato. Lenin affermava: L’avvenire è nel comunismo! Anche noi siamo il suo avvenire, dimostriamocene degni.

 

Ferdinando Dubla, febbraio 2002

 

Questo numero di Lavoro politico è quasi interamente dedicato a materiali per il prossimo Congresso di Rifondazione Comunista nel senso della battaglia di cui abbiamo scritto sopra. Tutti i compagni possono servirsene o elaborarli dialetticamente o informarsi con più precisione per interloquire. Il prossimo numero di LP sarà dedicato (ad aprile-maggio) all’esito-bilancio critico del Congresso stesso. Crediamo così di interpretare il nostro strumento di rivista telematica come utile documentazione per una prassi concreta senza perdere in serietà analitica. Dunque, a tutte e a tutti, un buon lavoro!

 


vai all' index di Lavoro Politico nr.4      vai all'home Linea Rossa      scrivi alla redazione       webmaster