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nr.4 - nuova serie - gennaio 2002

Oscar Minniti

RIFONDARE O RINNEGARE? 

Un intervento del compagno Minniti, della Federazione di Reggio Calabria del PRC, per la Tribuna Congressuale

  Nessuno mette in dubbio la necessità di fornire nuova linfa al processo di rifondazione del comunismo; processo, peraltro, intrapreso nel nostro Paese ben prima della dissoluzione del Pci e della nascita del nostro partito. Tutt’altro. Già in tempi non sospetti, a partire dalla “svolta di Salerno” e passando per il “partito nuovo” e l’VIII congresso del Pci, fino a tutti gli anni ’60 e ’70, autorevoli compagni –che oggi si ritrovano sulla lista nera stilata dai nostri dirigenti “modernisti”- hanno bruciato nei tempi il Prc, sostenendo più volte di ambire ad <<un partito vivo, democratico, battagliero, aperto verso l’esterno, capace di cogliere tutte le spinte, tutte le contraddizioni, tutte le possibilità offerte dalla situazione, allo scopo di convogliarle in un grande e consistente movimento unitario>> (Longo).

Quando si rivendica, giustamente, l’eliminazione di incrostazioni burocratiche, il rifiuto di qualsiasi dogma precostituito, l’esigenza di sviluppare con creatività la pratica politica, non si dice proprio nulla d’innovativo e dirompente rispetto a quanto è stato compiuto in passato, da compagni che hanno inciso nella nostra realtà molto più di quanto lo abbiano fatto i loro odierni accusatori. Anche le generazioni di compagni che ci hanno preceduti, pur salvaguardando e sviluppando l’essenza delle concezioni marxiste e leniniste, non hanno mai rinunciato ad aprirsi <<alla comprensione di ogni fatto nuovo, in cui si esprima l’inarrestabile tendenza all’evoluzione delle cose e al progresso della conoscenza e della coscienza degli uomini>> (Togliatti). E non basta neanche dichiararsi “disobbedienti” e auspicare “un altro mondo possibile”, per potersi ergere al di sopra della storia di lavoratori e lavoratrici, di milioni di italiani e italiane, che nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle hanno dato forza al più grande partito comunista d’Occidente, e come giudici supremi puntare implacabilmente l’indice contro “errori” ed orrori”.

Prima degli occupanti dei Mc Donald’s e delle tute bianche imbottite di gommapiuma, non sono forse già stati “disobbedienti” i partigiani che hanno sfidato tribunali speciali, forche e campi di sterminio, per far sbocciare la primavera della Liberazione? E i giovani genovesi con le magliette a strisce che, quattro decenni prima delle giornate del G8, hanno ottenuto col sangue la caduta di Tambroni? Come per Carlo Giuliani, non era “un altro mondo possibile” quello in cui hanno creduto, prima di essere falciati dal piombo democristiano, i contadini di Portella della Ginestra e di Melissa e gli operai delle Fonderie Orsi? Quando ancora i Centri sociali e i Social Forum non erano neanche in fase embrionale, il Pci – negli anni terribili di De Gasperi e Scelba- poteva vantare un numero impressionante di Case del popolo e una ragnatela di organizzazioni di massa, dall’Anpi all’Udi, fino ai Partigiani della pace e i Comitati per la terra, che per radicamento e seguito farebbero impallidire le realtà più avanzate del “movimento dei movimenti”; eppure i nostri dirigenti continuano ad accanirsi contro l’operato di quel partito, considerato troppo impermeabile e ferraginoso, contraddistinto <<dal primato della politica istituzionale a danno della politica come pratica sociale e da un gradualismo riformista non più sostenibile>> (da un recente intervento su “Liberazione”).

La storia del Pci, e dei comunisti che hanno militato sotto le sue bandiere, è davvero troppo vasta, variegata e illustre, anche con le sue vicende alterne e gli inevitabili incidenti di percorso, per non trovare in essa insegnamenti e stimoli per le battaglie in corso e per essere ridotta, alla vigilia di un congresso decisivo per il Prc, ad uno scheletro da tenere nascosto da occhi indiscreti. I compagni e le compagne che, dopo la vergogna della Bolognina, ruppero con Occhetto e la sua cesoia revisionistica, si prefiggevano l’obiettivo di rifondare il pensiero e l’azione comunista in Italia; dove per rifondare s’intendeva la ricostruzione di una struttura politica, adeguata alle esigenze di fase, sulle salde fondamenta di quella disciolta. Il simbolo che il Prc si è dato è l’esempio più lampante della volontà dei pionieri del partito di ricollegarsi alle migliori tradizioni del Pci. Ma tanta acqua è passata sotto i ponti e, a dieci anni di distanza, questo valido proposito è stato completamente  stravolto da alcuni compagni. Adesso non si parla più di rifondare, bensì di rinnegare.

 

  Omar MinnitiFederazione PRC di Reggio Calabria,
gennaio 2002

 


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