Amedeo Curatoli
fuga dalla storia?
Appunti dal V° Congresso del PRC
Ciò
detto, conviene soffermarsi su quello che ha significato - in ultima analisi
- la svolta di questo quinto congresso. I temi trattati nelle 63 tesi di
maggioranza (ed anche negli emendamenti proposti) erano davvero tanti (forse
troppi), e tali da mettere a dura prova il bagaglio culturale e teorico nonché
la capacità di riflessione di tutti i compagni: insomma una vera sfida alle
"certezze" o peggio alle incrostazioni dogmatiche che possono
albergare nel cervello di ognuno di noi , di noi che ci stiamo arrovellando da
anni (o da decenni, dipende dall’età) per tentare di immaginare le vie
di una possibile alternativa socialista (italiana, europea, mondiale?)
nell’era del crollo sovietico e della potenza planetaria statunitense. Ma
sulle questioni discusse: imperialismo e impero, partito e movimento, classe
operaia o nuova classe operaia, guerra civile planetaria o guerra imperialista
ecc. ne campeggia una che sembra la più lontana, la più anacronistica, e
apparentemente la più inutile da tirar fuori proprio ora, ma che in realtà è ancora
la più attuale di tutte: l’antistalinismo. Ecco, in ultima analisi,
dove risiede la svolta di questo congresso: nell’aver voluto chiudere i conti
con lo stalinismo. Non c’è riuscito Trotski, non c’è riuscito Krusciov, ci
riproviamo ancora una volta noi oggi, nel secondo anno del nuovo Millennio. E
chi ha perseguito con più coerenza la via di questo regolamento dei conti è
stato Bertinotti, il quale è senz’altro il più consapevole di tutti (anche
degli stessi compagni dell’Ernesto) del fatto che, prima ancora di definire
una politica come che sia, occorre mettere le cose a posto dal punto di vista ideologico,
che fra politica ed ideologia il primato spetta a quest’ultima, che una
politica duratura non regge se non ha come retroterra un’ideologia. Noi siamo
soliti attribuire a questo termine (ritenendo presuntuosamente di essere
portatori di istanze di concretezza) solo il valore negativo di falsa coscienza.
L’ideologia è - filosoficamente parlanndo - falsa coscienza quando implica
l’esclusione (dai contenuti della coscienza, appunto) di qualsiasi presupposto
oggettivistico. Ma se invece essa viene definita come un complesso sistematico
di idee (di principi) posti a base di un atteggiamento politico o culturale, o
tutti e due messi insieme, allora l’ideologia, così intesa, è una forza che
muove la storia. Questo, Bertinotti, lo ha capito - ripetiamo - più di ogni
altro, e bisogna dargliene atto. Nel suo discorso di Rimini egli ha raccontato
che qualcuno gli ha chiesto: "ma perché proprio ora i conti così duri e
profondi con lo stalinismo?" e lui ha risposto (in verità senza darsi la
pena di dimostrarlo con solidi argomenti, ma solo tirando in ballo la presenza
di un forte movimento) che è giunto il momento (se non ora, quando?) della
necessità di "rifondare la politica".
Bertinotti
accusa i compagni dell’Ernesto di conservatorismo, di richiamarsi
astrattamente a Lenin visto che dimenticano che "fu proprio Lenin il
protagonista di quella che Gramsci chiamò "la rivoluzione contro il
Capitale" perché Marx aveva previsto la rivoluzione nei punti alti dello
sviluppo capitalistico e invece l’Ottobre avviene, contraddicendolo, in un
paese tra i più arretrati". Bene, ma Gramsci fu a favore della
"rivoluzione contro il Capitale" non solo quando i bolscevichi
conquistarono il Palazzo d’Inverno, lo fu anche quando condivise pienamente la
linea leninista della possibilità della costruzione del socialismo in un solo
paese. Fu Lenin, fin dal 1915 che diede le basi teoriche all’eventualità
della costruzione del socialismo in un solo paese, non Stalin. Egli scrisse: "L’ineguaglianza
dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Ne
risulta che è possibile il trionfo del socialismo all’inizio in alcuni paesi,
o anche in un solo pae-se capitalistico preso separatamente"
(Lenin, XXI pag.314). Fin quando Lenin fu in vita, Trotski non osò mai tirar
fuori la questione del socialismo in un solo paese, lo fece solo in concomitanza
con la scomparsa di Lenin. Quando, il 14 ottobre del 1926, poco prima di
essere arrestato, Gramsci scrisse - su incarico dell’ufficio politico del
partito comunista italiano - una lettera al CC del Pcus, egli, nel consigliare
alla maggioranza guidata da Stalin di non "stravincere" contro Trotski,
Zinoviev e Kamenev , espresse tuttavia il suo sostegno (inequivocabile) alla
linea della costruzione del socialismo in un solo paese: "Nella
ideologia e nella pratica del blocco delle opposizioni - scrisse in quella
famosa lettera - rinasce in pieno tutta la tradizione della
socialdemocrazia". (cit. in : G.Fiori, Vita di Gramsci, pag.249). Era
infatti la socialdemocrazia occidentale che contrapponeva l’ortodossia
marxista alla rivoluzione che i comunisti russi avevano "osato"
scatenare e vincere (come a dire: come vi siete permessi di fare la rivoluzione
in un paese arretrato se Marx ha previsto diversamente da voi?). E dovevano
essere così calunniose e petulanti le critiche mosse alla giovane repubblica
dei Soviet (da parte di quelli del "ritorno" a Marx) da far perdere la
pazienza a Lenin che scrisse, in occasione del IV anniversario dell’Ottobre: "Lasciate
che i bastardi e i porci della moribonda borghesia e dei democratici
piccolo-borghesi che le strisciano dietro, ammucchino imprecazioni, oltraggi e
derisioni per i rovesci che possiamo subire, gli errori che possiamo commettere
nel lavoro di costruzione del nostro sistema sovietico"
(Lenin, XXXIII pag.40).
Ritornando
a Bertinotti, c’è da dire che egli, in più occasioni, ha riproposto gli
argomenti della socialdemocrazia occidentale e di Trotski. Per esempio,
in opposizione al cosiddetto stalinismo, egli parla di "rivoluzione come
indivisibile fenomeno mondiale", oppure, come nel discorso di Livorno,
dice: "La scelta del socialismo in un solo paese non ricade solo su
Stalin. Essa era anche la risultante della convinzione del movimento comunista
internazionale che un’epoca era chiusa e che quindi si dovesse pensare alle
vie nazionali al socialismo". Proviamo a interpretare il pensiero del
segretario di un partito che vuole "rifondare" il comunismo. Siamo nel
1927: dopo un’aspra lotta politica segnata da una divergenza teorica, non
accademica, ma che investiva il destino stesso della Repubblica sovietica, il
partito comunista bolscevico, con la complicità del movimento comunista
internazionale ("la scelta non ricade solo su Stalin"), commette il
crimine di edificare il socialismo in un solo paese senza dare ascolto a Trotski
che sostiene il principio marxista della "rivoluzione come indivisibile
fenomeno mondiale". Anzi, il povero Trotski, viene espulso dal partito.
Dopodiché, nei locali messi cortesemente a disposizione dallo "stato
guida", si riuniscono i rappresentanti dei vari partiti comunisti (che
eseguono a bacchetta gli ordini di Stalin), e qualcuno dice: beh, ragazzi,
un’epoca si è chiusa, bisogna pensare alle vie nazionali al socialismo".
Ecco come un nano seduto sulle spalle dei giganti reinterpreta la nostra storia.
Le
cosiddette vie nazionali al socialismo, che conducono all’abbandono della
prospettiva di una rottura rivoluzionaria, diventano un fatto politico nuovo,
effettivo, reale, ufficializzato, si potrebbe dire "rifondativo", solo
30 anni dopo il 1927, quando il 20° congresso del Pcus, 1956, dopo aver
"estirpato" lo "stalinismo", vara la linea della
competizione economica con gli Usa. Prima o poi - disse il rifondatore Krusciov
- le nostre popolazioni mangeranno più carne degli americani (fu ironicamente
chiamato il "socialismo del goulash" cioè dello spezzatino), e allora
sarà chiaro per tutti che il socialismo è migliore del capitalismo. E il 20°
congresso dichiarò anche, esplicitamente, che erano possibili le vie legali,
parlamentari al socialismo, per i partiti comunisti non ancora giunti al potere.
In preparazione dell’8° congresso del Pci, che seguì a ruota il 20° del
Pcus, la rivista teorica Rinascita "traduceva" in lingua italiana la
svolta antistalinista krucioviana.
"Non
ribadiamo mai abbastanza questo concetto - scriveva Fausto Gullo - proprio
e specialmente ora che il XX congresso ha ritenuto necessario affermare la
possibilità di arrivare al socialismo attraverso la via parlamentare. E’
tutt’altro che difficile considerare che tale possibilità intanto è potuta
sorgere nell’attuale momento storico in quanto appunto c’è stata la
conquista violenta del potere nell’Unione sovietica, in Cina e in tutti gli
altri stati guadagnati al socialismo o nei quali il socialismo ha posto le
immancabili premesse. La grandiosa vittoria del proletariato socialista in un
terzo della superficie terrestre, rendendo ormai, se non proprio impossibile,
certamente molto difficile una violenta resistenza delle forze capitalistiche
alle ulteriori avanzate delle classi lavoratrici, costituisce il fatto nuovo che
dà ora, per la prima volta, consistenza alla possibilità della via
parlamentare" (Antologia di scritti di Rinascita, Landi editore, vol.2°
pag.873). A parte l’aspetto abbastanza ignobile di queste affermazioni (il
sangue versato da altri popoli consentirà a noi parassitariamente di salire con
comodità nella carrozza di prima classe della via parlamentare al socialismo),
vi è anche l’utopistica e disarmante "previsione" che le forze
reazionarie, imperialismo americano in testa, "difficilmente"
opporranno una resistenza al futuro esproprio degli espropriatori per via
legislativa, parlamentare (abbiamo saputo poi che erano pronti a fare stragi di
comunisti nel nostro paese attraverso strutture illegali clandestine dirette
dalla Cia). Ma Togliatti, da par suo, è meno ingenuo: "La garanzia che
noi siamo una forza democratica, la quale si propone di costruire, senza uscire
dal terreno anche formale della democrazia, una società socialista, sta nella
lotta stessa che abbiamo condotto fino ad oggi e in quella che conduciamo, nel
fatto che abbiamo educato l’avanguardia della classe operaia, che in passato
era in parte massimalista, in parte anarchica, a combattere in modo nuovo, che
ha creato e reso solido l’ordinamento democratico" (ibid. pag.897).
Su quello stesso numero di Rinascita Valentino Gerratana scrisse un lunghissimo
saggio: "Preparando il congresso del partito: La teoria marxista dello
Stato e la via italiana al socialismo" (ibid. pag.900 e segg.) per cercare
di dimostrare che era possibile armonizzare Stato e rivoluzione e via italiana
al socialismo. Converrebbe che i compagni leggessero questo saggio, per rendersi
conto di che gran quantità di mistificazione vi sia bisogno per assoggettare
alle necessità di una svolta opportunistica il pensiero di un rivoluzionario.
Non
vorremmo ripetere l’abusato aforisma dei drammi storici che si ripresentano,
talvolta, sotto forma di farsa. Tuttavia dobbiamo ammettere che se la
"rifondazione" del Pci dell’8° congresso implicava comunque
il riconoscimento dell’esistenza, in un terzo del globo terrestre, di
stati socialisti, la rifondazione di questo 5° congresso nega recisamente che
sul nostro pianeta vi sia mai stato il socialismo. E ciò, al di là di ipocriti
richiami all’Ottobre, che se si eccettua la "o" maiuscola, nel loro
dire sta ad indicare poco più che il decimo mese dell’anno. Per esprimere con
estrema chiarezza la compiuta ideologia della maggioranza dei compagni
che vogliono estirpare fino alle radici lo "stalinismo", ci serviamo
di un’ultima citazione che ha il pregio, come quella di Gullo riportata più
sopra, di esporre con chiarezza come stanno effettivamente le cose, senza
contorcimenti linguistici, come quel bambino che disse: "uh, guarda, il re
è nudo!" mentre gli adulti facevano finta di non accorgersene. E’ una
citazione tratta da un vecchio giornale trotskista, Avanguardia operaia
(n.11/12), con cui anni fa i leninisti polemizzavano asprissimamente
(rinnovando, ammettiamo pure, una vecchia tradizione e un vecchio stile da
ambedue le parti). Scrivevano questi compagni: "Nella Seconda grande
guerra imperialista il revisionismo (cioè lo stato sovietico e il partito
bolscevico ndr) ha fabbricato un volto democratico per i feroci imperialismi
Usa, britannico e francese, in funzione dell’alleanza anti-hitleriana, e ha
impedito lo sviluppo di una lotta di classe rivoluzionaria nei paesi
capitalistici economicamente sviluppati incanalando la lotta proletaria verso
l’obiettivo della difesa della patria, cioè della difesa della borghesia del
proprio paese e della difesa del ‘primo stato socialista’ che avrebbe poi
esportato nei paesi che toccarono all’Urss dalla spartizione del bottino tra
gli imperialisti vincitori e si formarono due blocchi imperialisti
concorrenziali, l’uno egemonizzato dagli Usa e l’altro dall’Urss, venne
elaborata la ‘teoria’ dei due mercati, quello capitalista e quello ‘socialista’,
onde occultare la reale natura dei rapporti sociali di produzione all’interno
del blocco sovietico e tra questo e il resto del mondo". E’ azzardato
dire che la cultura dominante in Rifondazione affonda le sue radici in questo
humus ideologico? Fu istituita una Commissione per redigere un nuovo statuto di
Rifondazione, presieduta dal compagno Grassi. La cosa andò pressappoco così:
su un punto di forte significato simbolico, se occorreva o no inserire un
richiamo a Lenin e/o a Gramsci, la commissione non trovò l’accordo e rimise
tutto nelle mani del Comitato politico nazionale. Bertinotti propose una
"mediazione": eliminiamo tutti e due. Non sarà per caso che Gramsci
è stato espunto dallo Statuto per la sua fedeltà, che è rimasta tale per
tutta la vita, alla "rivoluzione contro il Capitale", cioè alle
imprese che compivano i leninisti dell’Unione sovietica? Quando fu arrestato,
il 14 ottobre 1926, egli aveva 35 anni ed era ormai il dirigente più
prestigioso del partito comunista. I fascisti - vogliamo raccontare ancora una
volta queste cose anche se tutti i compagni le conoscono - lo hanno torturato
per l’intera durata della prigionia: ogni giorno dell’anno, per dieci anni,
un secondino, a tutte le ore della notte andava a "verificare" se
l’inferriata della cella fosse manomessa, impedendogli di dormire. Questa
criminale tortura l’ebbe vinta sulla vita di Antonio Gramsci ma non fiaccò il
suo cervello, che fino all’ultimo giorno non "smise di pensare".
Egli, figura integerrima in cui si fusero saggezza rivoluzionaria e socratico
disprezzo per i suoi aguzzini, che ci ha dato una grandiosa lezione di vita, si
è rivelato non solo fra i più profondi pensatori marxisti del novecento, ma è
anche stato il Martire della prima ora dell’antifascismo italiano. Oggi i
giovani delle più svariate tendenze sventolano la bandiera rossa con
l’effigie di Che Guevara. Perché non accade ciò anche con Antonio Gramsci?
Rifiutare di richiamarsi a questo grande uomo nello Statuto di un partito che si
dice comunista è un’ignominia che difficilmente i nostri compagni comunisti
di altri paesi e continenti potrebbero perdonarci.
Si
vuole una resa dei conti. Però si dice che ci è estranea l’idea di gruppi
dirigenti omogenei, che è un’idea militare che va sconfitta culturalmente e
praticamente. Si vedrà. I leninisti di rifondazione, cui quei gran signori del
Manifesto appioppano l’etichetta di "destra", costretti a scendere
in campo aperto, hanno dimostrato di avere al loro seguito il 27 per cento del
partito. E’ un grande risultato. Già comincia a comparire sulla stampa la
foto di Grassi, e il giornale l’Ernesto ha una prospettiva di più forte
diffusione. E’ un grande risultato. Domenico Losurdo, un intellettuale
leninista di prestigio, noto non solo in Italia, è stato eletto nel nuovo
Comitato politico nazionale. Anche questo è un risultato di rilievo. E quel 27
per cento del partito avrebbe seguito i compagni dell’Ernesto anche se questi
ultimi avessero proposto di abolire quella tesi 53 così violentemente offensiva
dell’intelligenza dei compagni, di tutti i compagni. Quel 27 per cento li
avrebbe seguiti anche se avessero avuto il coraggio di semplicemente nominare la
parola Stalin senza attribuirgli un connotato di infamia, cosa che si son
guardati bene dal fare. In questo, Bertinotti ha avuto più coraggio di voi,
compagni dell’Ernesto.
Amedeo Curatoli
l'ingresso del padiglione del V° Congresso del PRC a Rimini (4-7 aprile 2002)
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