Ferdinando Dubla
MARXISMO-LENINISMO
E MAOISMO
A proposito di due opposti articoli (“Scintilla” e “La Voce”) sul maoismo come terza e superiore tappa del marxismo-leninismo
in appendice: Due tipi di unilateralità (Mao, 1959)
“In
ogni cosa è necessario appurare due metodi e confrontarli. La dialettica
consiste proprio in questo: se non fosse così sarebbe solo della
metafisica”. Così
scrisse Mao nel 1958, evidentemente riprendendo i suoi celebri scritti del
1937 Sulla pratica e Sulla contraddizione, che erano il suo
elevato contributo all’interpretazione marxista del concetto filosofico
di dialettica e alla sua applicazione funzionale alla trasformazione
rivoluzionaria.[1] Recentemente
sono stati pubblicati due articoli di tenore opposto a proposito del
maoismo: l’uno della rivista Scintilla (nr.2/marzo 2002- Marxismo-leninismo
o maoismo?- Critica della “terza e superiore deviazione”,
reperibile in Internet all’indirizzo www. geocities.com/scintilla_mail/MAOISMO.htm)
e l’altro della rivista La Voce [nr.10/2002 – L’ottava
discriminante-Sulla questione del maoismo come terza e superiore tappa del
pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo, anch’esso
reperibile in Internet all’indirizzo www.lavoce.freehomepage.com/voce/voce10/otta2a.htm,
a sua volta seconda parte di uno scritto de La Voce nr.9 (www.la
voce.freehomepage.com/voce/voce9/L8ADIS1.htm), a firma Nicola P.]. Il
paradosso, che è solo apparente, è che entrambi gli scritti muovono da
una preoccupazione: la necessità che la classe operaia italiana si doti
dello strumento principale per la sua definitiva emancipazione: il partito
comunista. Per questa intrapresa, si chiamano a raccolta le forze
soggettive e gruppi organizzati della sinistra di classe in nome
dell’unità. Un’unità che però entrambi gli scritti ritengono non
possa essere indistinta e generica (“bisogna prima delimitarsi
risolutamente”); tant’è vero che l’estensore della nota de La
Voce pone non il maoismo,
ma la considerazione del maoismo come “terza e superiore tappa del
m-l” come discriminatoria per la stessa unità. D’altra parte,
l’estensore dell’articolo di Scintilla, pone il maoismo come
“deviazione” rispetto a una interpretazione del marxismo-leninismo che
non può non essere quella prodotta evidentemente dalla stessa
elaborazione della rivista. Le perorazioni all’unità, degli uni e degli
altri, presenti a ogni piè sospinto in altri articoli-saggio delle due
riviste, in realtà nascondono una falsa coscienza di ultrasettari e
schematici idealisti. Infatti, per riprendere l’affermazione di Mao nel
nostro incipit, non si tratta di due metodi, ma di uno soltanto, ed
è un metodo che scade nella metafisica e nella a-dialetticità
(unilaterale). Cercheremo di dimostrarlo, ma chiariamo che cosa intendiamo
per metodo metafisico e a-dialettico (idealistico e unilaterale): uno
schema di pensiero fisso e immutabile, una categoria di interpretazione
della realtà, che ignora però proprio la realtà e il concreto processo
storico e interpreta se stesso attraverso il pensiero. Le categorie in
questione sono: per Scintilla quella di ‘deviazione’, per La
Voce quella di ‘terza e superiore tappa’. L’a-dialetticità è
data da sillogismi e assiomi apparentemente razionali e autoevidenti, ma
assomigliano alla figura mitica della Fenice. L’affermazione “La
Fenice è un mammifero che vola” non dimostra l’esistenza reale della
Fenice. Che infatti non esiste, nonostante alcuni possano affermare che se
non esiste oggi potrà esistere domani. Allo stesso modo, l’affermazione
“Il cerchio perfetto non esiste in natura” non pregiudica che oggetti
della realtà e della natura possano essere interpretate come figure
geometriche. Che vogliamo affermare? Come già abbiamo evidenziato in
scritti precedenti,[2]
l’insegnamento prezioso che ci fornisce la lezione marxista (leninista e
maoista) dell’uso della dialettica, è che sempre la realtà è più
complessa e contraddittoria delle rappresentazioni descrittive con cui ci
si sforza di comprenderla (sia
per Lenin che per Mao l’astrazione più alta è quella che si
avvicina maggiormente alla realtà, al concreto). Per
quanto infatti il pensiero possa sforzarsi di interpretare la realtà,
quest’ultima è irriducibile alle rappresentazioni del pensiero: qui è
la rivoluzione teoretico-pratica di Marx rispetto alla dialettica
hegeliana, appunto una dialettica idealistica a cui deve contrapporsi una
dialettica materialistica. L’insistenza dello stesso Mao sulla pratica
sociale come verifica della teoria, è una sottolineatura dell’aspetto
principale e dirimente della dialettica materialistica. In
definitiva, gli assiomi apparentemente autoevidenti, non sono
dimostrabili: a seguire il ragionamento (con lo stesso metodo) di entrambi
gli articolisti, il maoismo o è “una deviazione” o “una terza e
superiore tappa”. Rispetto a che cosa? Rispetto a un impianto
marxista-leninista che entrambi rivendicano come quello “giusto”.
“Giusto” rispetto alla storia e “giusto” per l’interpretazione
del presente. Presente che si fa beffe di entrambe queste posizioni: esse
chiamano all’unità nello stesso momento in cui discriminano, in un
momento storico che vede le forze che si richiamano al comunismo in forte
difficoltà e con una scarsissima presa sulle masse popolari.
A vedere le cose dappresso, il metodo è lo stesso , le conclusioni
opposte: ma perché non vi siano equivoci, è bene dire che per la nostra
analisi le conclusioni non sono equivalenti; gravissime e addirittura
ottuse ci sembrano le conclusioni di Scintilla, unilaterali e
avulse dalla realtà quelle de La voce. Ma l’una o l’altra
“per me pari non sono”. Scintilla
sostiene -
Che la linea seguita dal
P.C.C., con alla testa Mao, fu incapace di sfruttare le possibilità e le
condizioni che si erano create per abolire lo sfruttamento e passare al
socialismo, di trasformare cioè la rivoluzione democratico-borghese in
rivoluzione proletaria: dunque la rivoluzione cinese sarebbe una
rivoluzione borghese condotta dal proletariato e dai ceti contadini, o una
rivoluzione proletaria egemonizzata dalla borghesia? O una rivoluzione
dimezzata, combinazione delle due? Il metodo di Scintilla non porta
a nessuna delle tre conclusioni, che infatti sarebbero errate e
anti-storiche. Non porta da nessuna parte. -
Mao lottò contro la linea di destra di Lu Shao-chi, tuttavia era
convinto che bisognava allearsi con la borghesia nazionale, che era
possibile "rieducarla", mentre questa classe sfruttatrice
esprimeva una fortissima resistenza per non perdere i propri privilegi.
Dal che non si comprende: se Lu Shao-chi era rappresentante oggettivamente
della borghesia nazionale, contro chi combattè allora Mao? -
La rivoluzione culturale non nacque spontaneamente, ma fu preparata da
Mao e da un gruppo di dirigenti a lui fedeli secondo un piano preciso.
E allora? Scintilla vorrebbe sostenere che le rivoluzioni non si preparano? Dovrebbero rileggersi meglio tutti i classici che recitano a memoria, evidentemente senza mai comprenderne l’essenza. Gli
errori di Mao (?) naturalmente non si fermano qui; infatti c’è da
rilevare: a)
l' errata concezione del rapporto
fra la rivoluzione democratica e rivoluzione proletaria; b)
l’errata
concezione del rapporto fra società di transizione (socialismo) e
comunismo, che non vengono colti come due fasi di uno stesso
processo; c)
l’errata
concezione e la ancor più erronea pratica di costruzione del partito, di
sviluppo del suo ruolo dirigente. Nel maoismo il partito non ha precisi
confini di classe, non è parte di una sola classe, non è partito di
avanguardia della classe operaia bensì una articolata coalizione di
classi composta di molte
frazioni; d)
la
teorizzazione della esistenza e della lotta fra le due linee dentro il
partito come qualcosa di “naturale” e permanente, a causa del
principio della universalità della contraddizione; e)
i
gravi errori di linea nella questione della edificazione delle basi
economiche del socialismo; f)
la scelta di sviluppare la produzione mercantile e di estendere quindi
il campo di azione della
legge del valore; g)
la
teoria della partecipazione nella direzione dello stato “democratico”
dei partiti borghesi; h)
la
tesi interclassista secondo cui la "nuova cultura" e la
"nuova ideologia" in Cina sono frutto comune del proletariato,
della borghesia e della piccola borghesia (vedi "Sulla nuova
democrazia" del 1940); i)
la
insufficiente, limitata e in alcuni aspetti erronea concezione delle leggi
della dialettica marxista (vedi in particolare il saggio “Sulla
contraddizione” del 1937), del rapporto tra base-sovrastruttura, tra
forze produttive e rapporti di produzione, tra essere sociale e coscienza
(vedi ancora "Sulla nuova democrazia"); l)
l’
apertura all’ influenza ideologica della borghesia nelle masse tramite
la cosiddetta “libertà di pensiero”; m)
il
giudizio sul pensiero e sull’ opera di Stalin che secondo
Mao avrebbe commesso parecchi grossolani errori ed avrebbe ignorato
la politica e le masse; n)
la
sottovalutazione ed in taluni aspetti la negazione nei fatti
della direzione del proletariato, della sua egemonia, del ruolo
guida della classe operaia nel partito e nella società; o)
la
sopravvalutazione del ruolo
dell’ esercito che – al di là delle affermazioni di facciata -
finisce per svolgere un ruolo superiore e principale rispetto a
quello del partito politico che si trova così alla coda degli avvenimenti, perdendo il suo ruolo dirigente; p)
l’errata
individuazione della contraddizione principale (che è quella fra
proletariato e borghesia e
non quella fra imperialismo e nazioni oppresse, paesi dipendenti) che
deriva direttamente dalle tesi maoiste; q)
la
contraffazione della teoria leninista dello stato; r)
la
generalizzazione del modello rivoluzionario
basato sulla esperienza della guerra di lunga durata e l’
accerchiamento delle città da parte delle campagne; s)
la pseudoteoria dei “tre mondi”, antimarxista, sciovinista e
revisionista. Un
grande guazzabuglio che confonde interpretazioni di fase con
generalizzazioni teoriche. Insomma, si potrebbe obiettare, se costoro
avessero senso dell’umorismo, che la rivoluzione cinese è meglio non ci
fosse stata: non corrisponde agli schemi idealistici di chi ignora i
processi storici reali. A seguire questo metodo, unilaterale e
a-dialettico, neanche la rivoluzione bolscevica allora ci sarebbe dovuta
essere;[3]
ma fortunatamente Lenin, al contrario dei compagni di Scintilla,
era un marxista creativo e geniale. D’altra parte, in tutti i punti,
credo vi sia un’unica accusa: Mao era un borghese opportunista, non un
comunista, la stessa accusa della variegata letteratura di matrice
trotskista. Naturalmente vale anche l’accusa opposta: un avventuriero
irresponsabile, la stessa accusa (attualmente va per la maggiore) che
muove la borghesia imperialista alla figura di Mao. La chiosa su tutti i
punti dell’analisi di Scintilla ci evita le chiose
particolareggiate su tutti i punti: ma alcune ‘perle’ vanno rilevate.
Il punto ‘m’ è sicuramente quello che più sta a cuore ai redattori
dell’articolo: e infatti che Stalin potesse commettere errori non può
da loro essere contemplato. Più staliniani di Stalin stesso, che è
figura enormemente grandiosa rispetto ai suoi epigoni (ma lo stesso può
dirsi, ahinoi dello stesso Mao!), tant’è che costantemente ricerca i
limiti del proprio operato. Limiti evidentissimi, ad esempio, proprio nei
confronti della rivoluzione cinese, il che non impedì a Mao e Stalin di
nutrire stima profonda reciproca, fino al punto da apparire i fari (nel
periodo 1949/53) dell’intero proletariato mondiale. Ed è proprio grazie
a Mao e alle sue prese di posizione che è possibile leggere
marxisticamente il periodo staliniano, senza ripudi e liquidazionismi, non
con l’asfittico procedere della talmudistica e della catechesi. Che non
spiega un punto dirimente: come mai la successione a Stalin vide il
prevalere dei ‘traditori revisionisti’? Un errore che un comunista non
può commettere è quello di rendersi indispensabile nello sviluppo
storico delle sue idee, il “senza di cui” quelle idee non sarebbero.
Errori e limiti sono individuabili, eccome: la categoria del
‘tradimento’ nulla spiega nel processo storico reale. Che è infatti
ciò che scompare dall’orizzonte della critica antimaoista. Inoltre, Scintilla
non ci dice che, se l’interpretazione della dialettica proposta da
Mao non è corretta, qual è la corretta interpretazione della dialettica?
E dove si applica? Ed è da una concezione dialettica, non unilaterale,
dogmatica e metafisica, che vanno interpretati errori e limiti
dell’esperienza storica del socialismo. Scintilla, per
l’incomprensione di questo punto, critica le concezioni della ‘lotta
tra le due linee’, della ‘linea di massa’, della ‘rivoluzione
ininterrotta’ e della ‘rivoluzione per tappe’, alla base della
strategia delle ‘rivoluzioni di nuova democrazia’. Perché non si
entra nel merito di queste feconde categorie maoiste e non le si lega alla
stessa esperienza del movimento comunista italiano, in particolare alle
concezioni di Gramsci e di Secchia? La
conclusione di Scintilla è in linea con l’errore di metodo che
muove i presupposti dell’analisi: “Alla
luce di questi errori, difetti e limiti del maoismo – e delle
conseguenti deviazioni a cui hanno dato origine – arriviamo alle
seguenti deduzioni. (.) Mao, come teorico, non è stato un vero
marxista-leninista, sebbene
usava formule e frasi prese dai classici. Sotto diversi aspetti il
pensiero di Mao è in
contrasto con la concezione del mondo del partito comunista!” Dunque,
coraggio, compagni di Scintilla, andate al fondo del sillogismo:
Mao è stato un anticomunista. Con il che la storia del comunismo del XX
secolo viene mutilata come i peggiori revisionisti non potrebbero fare. Dall’altro
versante La Voce sostiene -
che gli apporti del maoismo nell’ambito del pensiero e della prassi
marxiste-leniniste siano tali da configurarlo come “tappa superiore”
dello stesso e vincolante nella formazione di partiti comunisti che
vogliano rendersi adeguati alla “seconda ondata della rivoluzione
proletaria”. Questa è la finalità dell’articolo e già da questo si
intravede il vizio di fondo dell’intero elaborato: l’uso di categorie
apodittiche che condizionano l’analisi storico-politica: non è
l’analisi che produce le categorie, ma sono le categorie che producono
l’analisi. Un errore di stampo tipicamente idealistico, come si vede. E
infatti, scendendo nel merito della riflessione che La Voce
propone, ci si rende conto di come gli apporti specifici (di
contestualizzazione storica) e quelli originali di Mao, siano tutti
confusi insieme e connotati come “terza e superiore tappa”
(conclusione rovesciata rispetto a Scintilla): -
la guerra
popolare rivoluzionaria di lunga durata
[La Voce non dice che è una forma specifica della lotta storica
del PCC in un paese dominato non solo da forme feudali-semifeudali,
coloniali e semicoloniali, ma da una determinata tradizione culturale e da
una determinata composizione sociale, tant’è che lo stesso Mao fa
precedere questa forma di lotta e le sue leggi interne
(tattica/strategia-ritirata strategica/controffensiva, ecc…) nella
‘guerra di movimento’ dalla necessità dell’’inchiesta’); -
la rivoluzione
di nuova democrazia [La
Voce non dice che in generale questo è il problema della transizione
che in specifico corrisponde ad una fase della rivoluzione cinese negli
anni ‘40]; -
la lotta di
classe nella società socialista -
la linea di
massa -
la lotta tra le
due linee nel partito che
sono applicazioni pratiche coerenti della stessa interpretazione di Mao
della dialettica materialista, come esposta negli scritti filosofici del
1937 già menzionati. In effetti, sono tre punti che vengono sviluppati
creativamente da Mao ed applicati nelle varie fasi della difficile
battaglia politica per la rivoluzione (1926/1949) e per la costruzione del
socialismo (1949/1976). E sono tre punti che gli estensori de La Voce
dovrebbero meditare a lungo proprio applicando la ‘linea di massa
principale metodo di lavoro e di direzione di ogni partito comunista’.
In quanto agli altri due, non è assolutamente possibile interpretarli in
senso a-dialettico, come ad esempio quando si autodefinisce ‘giusta’
la propria linea perché rispondente agli interessi della classe e delle
masse popolari e ‘sbagliata’ quella proposta da altri per i motivi
opposti. Mao indica la pratica sociale come verifica della teoria stessa
(e questo La Voce lo riconosce) e proprio per questo bisognerebbe applicarla
alla linea che si propone. E se la linea che si propone ha dato ampi
risultati di sostanziale fallimento, l’esercizio del bilancio critico
dell’esperienza dovrebbe essere dirimente per l’intera elaborazione e
i suoi presupposti. Ed in effetti, sembra applicabile a La Voce,
questa riflessione proprio di Mao: “attaccare un punto o parecchi con
esagerazione senza occuparsi del resto è un metodo metafisico che si
distacca completamente dalla situazione reale. Era il metodo usato dalla
destra borghese nel 1957 per attaccare il socialismo. Ma anche il nostro
partito ha usato questo metodo nel corso della storia e ne ha sofferto.
E’ successo all’epoca in cui il dogmatismo regnava incontrastato. Era
la linea Li-Li-San”.[4] Contrariamente
a Scintilla e differentemente da
La Voce, abbiamo indicato il maoismo come sviluppo creativo
del marxismo e del leninismo.[5]
Ma non amiamo ragionare per categorie apodittiche che rivestono
l’elaborazione dei classici del pensiero comunista di una fissità
a-dialettica che non gli è propria. Pur dovendo qui, noi, nel nostro
paese, elaborare una strategia per il processo rivoluzionario, lo stesso
metodo apodittico-idealistico dei due estensori delle riviste
summenzionate, omettono di ragionare su due pilastri della nostra
particolare tradizione marxista: Gramsci e Secchia. E già questa assenza
rivela la grossolanità delle analisi proposte, dal momento che riteniamo
che questo sia il filo spezzato della rivoluzione in Italia e più in
generale nell’occidente capitalista.[6]
La cruciale differenza che Gramsci pone tra ‘guerra di movimento’ e
‘guerra di posizione’, centrando al cuore il problema della
transizione al socialismo nelle società dell’occidente, dove è
fondamentale la conquista di ‘casematte’ e ‘trinceee’ avanzate’
di lotta è sviluppo creativo del leninismo, al pari degli apporti di Mao,
formidabili chiavistelli per la comprensione delle fasi storico-politiche
e dei metodi di lavoro per i comunisti. Così come il tentativo di Secchia
di calare la ricerca gramsciana nelle forme organizzate del partito
politico della classe che costruisce il processo rivoluzionario in
occidente non può essere etichettato, volgarmente, come fallimento della
‘sinistra interna’ al PCI che non ha fermato la deriva dovuta al
revisionismo moderno. E’ proprio Mao ad avvertire che il revisionismo
moderno riveste sia il dogmatismo che l’opportunismo: per cui, rivedere
i principi può significare sia annientarli per renderli funzionali alle
compatibilità del sistema capitalista, sia annichilirli nella fissità
a-dialettica. Sfuggire a queste due forche caudine, che è una delle più
efficaci lezioni maoiste, è aderire al processo storico concreto e non
rendersene avulsi. Scontando fallimenti e regressioni, progressi,
conquiste e salti indietro, successi duraturi ed effimeri, ma sempre
scavando tracce ineliminabili nella storia, che si fa sempre beffe degli
ingegneri del pensiero che amano le proprie rappresentazioni e
architetture concettuali. Il comunista non può essere solo filosofo; egli
è sempre e contemporaneamente anche storico organico alla propria classe:
è uno dei presupposti di Marx che accomuna Gramsci, Secchia e
Mao-Tse-Tung. Al
metodo e dunque alle conclusioni proposte, manca il contesto reale del
processo storico concreto, che pure deve sfuggire il determinismo: in
breve, l’analisi di fase e ‘differenziata’, rinvenibile con
l’inchiesta, è completamente assente. Dunque, da una parte, Scintilla
è costretta a recitare giaculatorie sulla dittatura del proletariato
identiche a quelle recitate da sempre; La Voce ad affogare nel
fallimento della propria pratica concreta l’assiomatica elaborazione di
categorie fini a se stesse, e che soddisfano solo la logica formale. E
il problema delle forme di lotta concrete? E il problema della
transizione? E il problema del peso delle sovrastrutture nella formazione
delle coscienze degli attori sociali? La grave omissione (che è poi un
non dichiarato anti-gramscismo) è che questo metodo porta a stabilire un
nesso meccanico tra condizioni sociali e coscienza di classe:
siamo a questo punto? No di certo, vista la situazione concreta nella
quale ci troviamo. Non si possono sorpassare questi punti, e non solo
questi, pena la sterilità e la damnatio del minoritarismo,
dogmatico, settario e a-dialettico. L’idealismo è vizio
intellettualistico, non delle avanguardie leniniste: le quali non si
autoproclamano, ma sorgono sul campo della temperie sociale della lotta di
classe. APPENDICE Perché
vi occupate di queste polemiche?, ci domandano molti compagni. La risposta
in questo discorso di Mao del 1959 (ed.Dedalo, 1976, pp.59/60) Nelle
file del partito comunista c’è gente di ogni genere. Ci sono i
marxisti-leninisti, che sono la stragrande maggioranza. Hanno anche loro
dei limiti, ma non sono gravi. C’è una parte dei membri del partito che
facilmente avanzano punti di vista dogmatici. Sono in gran parte leali e
devoti al partito e al paese. Il loro solo errore è la maniera di
affrontare i problemi, l’unilateralità “di sinistra”. Quando
avranno superato questa specie di unilateralità, potranno fare grandi
progressi. Un’altra parte dei membri del partito nutre delle concezioni
opportuniste di destra, revisioniste. Queste persone sono piuttosto
pericolose perché il loro pensiero è il riflesso dell’ideologia
borghese all’interno del partito. Essi aspirano al liberalismo borghese,
disprezzano tutto del nostro lavoro e i loro rapporti con gli
intellettuali, nella vita sociale sono numerosi. Ora, da qualche mese a
questa parte, tutti hanno criticato il dogmatismo, lasciando stare il
revisionismo. Naturalmente bisogna criticare il dogmatismo; se non lo si
critica restano molti errori che non potrebbero altrimenti essere
corretti. Ma ora bisognerà dirigere la critica verso il revisionismo. Il
dogmatismo si dirige sempre verso il suo contrario che può essere sia il
marxismo che il revisionismo. L'esperienza che abbiamo noi del partito ci
insegna che molti dogmatici si dirigono piuttosto verso il marxismo, e
solo alcuni di loro verso il revisionismo. Questo perché rappresentano
una fazione ideologica del proletariato che ha assunto il punto di vista
errato della borghesia. Alcuni dei dogmatici attaccati erano persone che
avevano realmente commesso degli errori nel loro lavoro, all'interno del
partito, ma altri "dogmatici" erano in realtà autentici
marxisti-leninisti a torto considerati "dogmatici". Pensare che
per il vero dogmatismo, chi è
di "sinistra” è sempre migliore di qualsiasi elemento di destra,
non è un'opinione infondata: infatti chi si rende colpevole di dogmatismo
di "sinistra" vuole sempre la rivoluzione. Ma se si considerano
i danni reali che esso può causare alla rivoluzione, il dogmatismo di
“sinistra" non è migliore di quello di destra: è per questa
ragione che bisogna correggerlo risolutamente.
[1] Le opere complete di Mao sono state edite dalle edizioni Rapporti Sociali (1995/1999) ed è a questa edizione che rimandiamo anche per gli scritti in questione e che abbiamo sempre confrontato anche quando abbiamo preferito citare da altre edizioni. [2] Vedi sia lo scritto elaborato insieme ad Angiolo Gracci (Le armi della dialettica nella costruzione del partito, in Aginform, nr.12/2000, bozza reperibile in Internet- http://www.lavoropolitico.it/lr15edit.htm) sia il testo Da Gramsci a Secchia, Quaderni del Centro “Pietro Secchia”, 2001, in particolare il cap.10, pag.92. [3] Cosa deve intendersi per metodo unilaterale e a-dialettico? Secondo Mao, ci sono due modi di essere unilaterali: con il dogmatismo e con l’opportunismo. Nel caso dei compagni di Scintilla (ma come si vedrà, paradossalmente anche dei maoisti de La Voce) il caso rientra nell’unilateralismo dogmatico. Scrive Mao: “I dogmatismi precedono in tutto per affermazioni categoriche, come i ‘bolscevichi al cento per cento’. (..) Per rendere il marxismo-leninismo unilaterale essi lo spiegano da un punto di vista metafisico. Quanto al loro lavoro, non vogliono sentir parlare che dei lati positivi; dei negativi niente.” L’altro lato del dogmatismo unilaterale è “la semplificazione ad oltranza”, cfr. Mao, Dialettica e costruzione del socialismo (estratti discorsi 1958/59), in Per la rivoluzione culturale, Dedalo ed., 1976, pp.54/59. I ‘bolscevichi al cento per cento’, come essi stessi si definivano, erano i rappresentanti della linea di Wang Ming, gruppo di intellettuali rientrati dall’URSS negli anni ’30, che tentarono d’imporre al PCC il modello sovietico appunto ‘al cento per cento’. [4] Ivi, pag.52. Il vero nome di Li-Li-San era Li Longzhi. Studente, fu mandato in Francia nel 1919, ma ne fu espulso poco dopo. Diventato comunista, partì per Mosca nel 1923. Dal 1923 al 1927 milita attivamente nei movimenti sindacali di Canton e di Shangai. Vicepresidente della Federazione nazionale del lavoro nel 1926/27. Dal 1929 dirige di fatto il PCC, ma è fautore di uno spiegamento militare contro le città, è responsabile delle sconfitte dell’estate del 1930. Il suo atteggiamento avventurista e deviazionista di sinistra è criticato all’epoca della quarta sessione del Comitato Centrale, nel gennaio 1931. Nuovamente membro del Comitato Centrale dopo il 1945, vicepresidente della Federazione dei sindacati, viene duramente attaccato ed emarginato nel corso della Rivoluzione Culturale proletaria (1966/68). Che la linea portata avanti da molti sedicenti maoisti in Italia, ultrasinistra, avventurista e seguendo un metodo di lavoro dogmatico e unilaterale, dunque metafisico e a-dialettico, sia configurabile come linea Li-Li-San, a noi appare evidente e ne abbiamo scritto in un articolo, co-firmato con Luciano Bezeredy, Maoismo o linea Li-Li-San?, in Lavoro Politico nr.1 (nuova serie),marzo 2001- http://www.lavoropolitico.it/. Una linea si configura rispetto a un partito, ma anche rispetto ad un’ipotesi di partito, su cui, tra l’altro, s’incentra l’intero impianto delle elaborazioni che stiamo prendendo in esame. Basta che esista un partito, perché siano possibili le divisioni. Ma le divisioni possono impedire l’esistenza di un partito. [5] Cfr. l’introduzione a Mao, A proposito dell’uso delle due categorie di stalinismo e maoismo in ambito marxista, in Sull’esperienza storica del socialismo-Scritti 1956, Nuova Editrice Oriente, 2002. In particolare, il contributo creativo di Mao al marxismo-leninismo è configurato come lotta al revisionismo moderno (congiunzione di revisionismo storico e politico), applicazione della dialettica materialista e lotta tra le due linee anche nella costruzione del socialismo, bilancio critico dell’esperienza del socialismo (critica da sinistra alla categoria di ‘stalinismo’). La proposta è quella dell’utilizzo della categoria di ‘maoismo’ come superamento inclusivo di quella dello ‘stalinismo’ in ambito marxista. [6] Cfr. Ferdinando Dubla, Da Gramsci a Secchia, op.cit. |
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