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nr.6 - nuova serie - novembre 2002

Recensione a: L.Canfora: Critica della retorica democratica

 PER UNA CRITICA DELLA RETORICA DEMOCRATICA-CONFUTAZIONE DEI REGIMI OLIGARCHICI DELL’OCCIDENTE

  Dinanzi allo scempio che oggi Berlusconi fa delle prerogative costituzionali della carta fondativa della Repubblica italiana del 1948, leggere il testo di Canfora è una sorta di necessario esercizio di critica democratica. 

 

In Martin Brun lo scrittore Franck Pavloff (ed.Cheyne, 2002), racconta un apologo in forma di fiaba: una società che scivola lentamente ma inesorabilmente verso il totalitarismo. Prima vengono messi al mando i cani e i gatti che non sono bruni, poi è la volta di libri e giornali che ne conservano la traccia, per ultimo tocca agli uomini che in passato li hanno tenuti tra le mura domestiche. Insomma, un “mattino bruno” anche tutti gli ‘indifferenti’ devono fare i conti con una dittatura. A leggere l’ultimo pamphlet di Luciano Canfora edito da Laterza (Critica della retorica democratica, arrivata alla 5^ edizione), quel “mattino bruno” per le cosiddette democrazie dell’Occidente e in particolare per l’Italia, sta per arrivare. Eppure, già il sociologo americano William G.Sumner, come non ha mancato di notare Massimo L.Salvatori (cfr. Repubblica del 1/08/02), aveva avvertito del pericolo di una trasformazione della democrazia politica liberale in plutocrazia. La determinazione dei ricchi possidenti e capitalisti, ammoniva, può piegare gli interessi pubblici ai loro interessi di parte: per cui questa trasformazione, che svuota le prerogative dell’eguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge, progressivamente lede gli altri interessi, quelli della maggioranza. E così viene a cadere il fondamento politico rousseauiano: la sovranità popolare. Dinanzi allo scempio che oggi Berlusconi fa delle prerogative costituzionali della carta fondativa della Repubblica italiana del 1948, leggere il testo di Canfora è una sorta di necessario esercizio di critica democratica. Che mette sotto la lente dell’analisi storico-politica proprio il meccanismo che forma le maggioranze parlamentari e autoproclama questo meccanismo democratico. Ma quel meccanismo, che favorisce minoranze o un’elite o un gruppo di oligarchi, viene ricoperto dalla retorica. Appunto la retorica della democrazia, che nasconde invece il suo progressivo svuotamento. O forse, nella lettura marxiana (riproposta da Canfora in specie nella sua versione gramsciana) proprio la sua natura. L’atto di accusa è tagliente:  le oligarchie hanno la capacità di organizzare il consenso elettorale a prescindere dall’essere reale maggioranza sociale. L’agone elettorale decide, insomma, solo quella, fra le minoranze organizzate, che riesce a prevalere sulle altre: se non quantitativamente (si veda l’ultima elezione presidenziale americana, in cui, scrive Canfora “è stata imposta l’elezione a presidente degli Usa di Gorge Bush jr., nonostante egli avesse perso le elezioni” e questo perché “forze potenti esigevano quel presidente, e dovevano comunque averlo”, cfr. pp. 21/23), certamente in virtù di meccanismi elettorali che ad hoc premiano proprio quella capacità. L’infatuazione delle sinistre moderate italiane per il maggioritario è stata ed in consistenti fasce è ancora, un’infatuazione suicida: la minoranza organizzata dall’oligarchia economica ha tutti i mezzi e gli strumenti per organizzare il consenso di una minoranza (in termini assoluti) di elettori che indichino la legittimità di interessi di parte e non di interessi generali (posto che questi ultimi possano esistere senza un preciso segno di classe). Il reiterato refrain ripetuto fino alla noia, che l’attuale maggioranza governativa è legittimata dal corpo elettorale a ridisegnare regole, ma soprattutto a colpire interessi e inalienabili diritti del mondo del lavoro e delle classi subalterne, è così confutato. Questo testo, sebbene di più ampio respiro e centrato sulle contraddizioni delle società dell’intero occidente, è illuminante per i compiti dell’oggi. Andrebbe inviato al Presidente del Senato Pera, che in nome di Popper si scaglia contro Platone pur di favorire la sua fazione politica guidata da un esponente dell’oligarchia economica sceso direttamente nell’agone politico dopo che la sua permanenza in posizione dominante non poteva più essere garantita dalle vecchie forme di <<mediazione politica>> che, com’è noto, si nutriva di collusione mafiosa e corruzione. Da Socrate ad Aron, il nesso democrazia/oligarchia viene messo a nudo da Canfora, il quale, però, cerca di interrogare, in base all’analisi storico-politica, le sinistre del nostro paese. Di cui è facile individuare i limiti, come ad esempio quello di non avere un chiaro progetto sociale su cui innestare anche la contingente tattica politica (la parola d’ordine “far cadere il governo Berlusconi” non è consequenziale, come dovrebbe, al pur riconosciuto “tasso di pericolosità” dello stesso). Il fatto è che di sinistre non ce n’è una sola e il pessimismo di Canfora sulle rivoluzioni che inesorabilmente “mangiano se stesse” non aiuta a comprendere la necessità di un antagonismo vitale e necessario per sconfiggere l’oligarchia e la retorica democratica. Ma questo deriva anche dalla scomparsa, nel suo libro, del movimento economico della società e dei suoi processi reali che fanno sorgere, sviluppare e morire le condizioni materiali dell’esistenza delle popolazioni e da cui la sfera politica, generandosi da esse, non può rendersi autonoma, come credeva la scuola di Tronti qualche anno fa. Ad Oriente e ad Occidente, al Sud e al Nord. Ma aspettiamo ora anche una “critica della retorica capitalista”, speriamo non invano.

 

Ó Ferdinando Dubla


Nota pubblicata nella pagina culturale di Paese Nuovo- allegato pugliese de L’Unità il 12 sett 2002


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