redazione pugliese di Nuova Unità
IL FUTURO CAMMINA
SUL TETTO DEL MONDO
Squarciare il velo sulla guerra popolare in Nepal
in appendice: scheda storica
In molte parti d’Italia (a Taranto il 19
giugno u.s.) stanno costituendosi Comitati Solidarietà Nepal, con
l’intento innanzitutto di squarciare il ‘rumoroso’ silenzio che
avvolge questa (e non è la sola) lotta antimperialista di massa e
organizzata. Strano, in tempi di globalizzazione. La sinistra occidentale,
anche quella antagonista e immersa nel movimento no-global, è afona al
riguardo. I compagni nepalesi, guidati dalla figura di un comunista
coerente marxista-leninista, ‘Prachanda’, che non fa mercimonio di
princìpi, e che è disposto anche a soluzioni che evitino inutili bagni
di sangue, non godono della solidarietà, né militante né teorica, del
movimento dei movimenti. Forse il Nepal fa poca ‘audience’, o forse
qui in occidente si è vittime di due opposti ma similari integralismi: -
quello
della borghesia imperialista, per cui ogni lotta contro il capitalismo che
vada oltre qualche preghiera o qualche petizione è terrorismo; e, come è
risaputo, comunismo e terrorismo sono due elementi da ben miscelare per
impaurire le popolazioni e stringere le masse nella morsa della
repressione e della controrivoluzione preventiva; -
quello
del movimentismo egemonizzato da componenti cattoliche e/o religiose,
accompagnato dai corifei del comunismo romantico e idealistico (prescientifico
e premarxiano), che fanno della non-violenza un credo fondamentalista. Per
cui, ‘guerra popolare’ è espressione blasfema. E
invece la guerra popolare in Nepal, che non è certo un ‘pranzo di
gala’ (Mao), è un’ autentica lotta di popolo che tenta di ritrovare
una dignità calpestata dai ceti dominanti e dirigenti. Una lotta estrema,
antimperialista e anticapitalista, la cui eco giunge qui da noi solo
tramite le paludate agenzie di stampa, che utilizzano l’espressione
‘ribelli maoisti’ per indicare le forze dell’esercito rosso (ELP-Esercito
Popolare di Liberazione) che infliggono colpi mortali al nemico e
installano le basi rosse. I cinque giorni di sciopero generale, il Nepal-Bandh, dal 23 al 27 aprile scorsi, indetti dal PCN
(m) hanno bloccato l’intero paese. Nel Nepal occidentale le forze della
repressione hanno ucciso nel primo giorno 7 guerriglieri. Lo sciopero era
stato proclamato per protestare contro le atrocità commesse
dall’esercito regolare nepalese (il reazionario ERN si è dato al
massacro di masse disarmate e di attivisti politici, con decine di
assassinii giornalieri camuffati da scontri armati). Il PCN (m) è
impegnato dunque da sei anni a combattere il regime monarchico-feudale di
re Gyanendra (il 26 aprile scorso solo il suo servizio di sicurezza è
riuscito a sventare l’attentato al suo corteo che doveva magnificare la
casa reale, nel giugno 2001 c’era stato lo sterminio della famiglia
reale passato come ‘lotta fratricida interna’, in realtà sanguinoso
colpo di stato di palazzo per imporre lo stato di emergenza) sfidando la
feroce repressione e i copiosi aiuti che arrivano e arriveranno dagli USA
(George W. Bush, naturalmente con il solito pretesto della lotta al ‘terrorismo’,
ha promesso che cercherà di far approvare dal Congresso ben 20 milioni di
dollari di aiuti militari e il 7 maggio u.s. si è incontrato con il primo
ministro nepalese, Sher Bahadur Deuba per perfezionare gli accordi) che
permettono al regime taglie di 64mila dollari per la cattura di tre
comandanti della guerriglia, tra cui lo stesso Presidente Prachanda. Ma
vastissima è stata ed è l’adesione dei nepalesi alle agitazioni
proclamate dai comunisti. E
in cui le donne hanno un ruolo di primissimo piano. Quelle donne che molti
vorrebbero soggiogate dalle religioni e relativa oscurantista
precettistica, a cui, oltre la povertà e l’analfabetismo s’intende,
si offrirebbe solo l’altra strada della prostituzione per qualche
turista bianco in cerca di ebbrezze erotico-esotiche. No, le donne
nepalesi trovano nell’ELP la forza per liberarsi e liberare tutti dallo
sfruttamento e dalla minorità. Il
PCN (m) denuncia che, benché esista in Nepal nominalmente un parlamento e
si tengano rituali elezioni, come nella maggior parte dei paesi del terzo
mondo, l’effettivo potere statale è esercitato da una monarchia feudale
tradizionale. Questo è sancito da una costituzione, di cui il re è
garante, che perpetua l’autorità tradizionale funzionale ai privilegi
feudali e lega l’ERN all’istituzione monarchica. Il regime nepalese si
configura così come dittatura
militare reale
e i partiti parlamentari sono ridotti o a simulacri vuoti (l’opposizione
dell’UML) o a notai dell’autocrazia (il Partito del Congresso Nepalese
al governo). In tutte le sue
deliberazioni il PCN (m) ha auspicato uno stato di “nuova democrazia”,
con piena libertà pluralistica garantita dopo la distruzione, necessaria,
dell’autocrazia feudale: “Ci siamo impegnati a instaurare e
sviluppare il sistema democratico popolare del ventunesimo secolo. Questo
sistema democratico non sarà un’imitazione meccanica del modello
tradizionale, ma sarà guidato dalle necessità del popolo del ventunesimo
secolo. Inoltre, il punto 75 del Programma del neonato Consiglio Unitario
Rivoluzionario Popolare (CURP), l’embrionale Comitato Organizzatore del
Governo Popolare Centrale nella forma di fronte unito rivoluzionario sotto
la direzione del PCN(m) delinea già le politiche del futuro stato che
stiamo disegnando”,
si legge nella dichiarazione del 6 maggio 2002. Per questo, il PCN(m) ha
lanciato già da tempo le tre parole d’ordine del governo provvisorio,
dell’assemblea costituente e dell’istituzione della repubblica
popolare. Intanto,
però, i massacri di lavoratori aeroportuali ad Acham e di attivisti
politici e masse riunite in un’innocua attività culturale a Gumchal, in
Rolpa, nello scorso aprile, mostrano quanto sia vile e brutale il terrore
militare della cricca Gyanendra-Paras-Prajjwal. Per materiale informativo (e contro-informativo) sul Nepal e la guerra
popolare del PCN(m) ·
Comitato
Solidarietà Nepal C/o Slai-Cobas Via Rintone, 22 –
74100 Taranto e-mail: edioriente@planio.it APPENDICE Stato
attuale dell’Asia centromeridionale. Nelle valli himalayane che
costituiscono l’odierno Nepal penetrò precocemente, con l’induismo e
il buddhismo, la cultura indiana. Solo più tardi, verso la metà del VII
secolo d.C. quando la regione era ormai un centro vitale degli scambi tra
la pianura gangetica e il Tibet, si instaurarono i primi rapporti con la
Cina. Tra il X e il XVIII secolo, il Nepal fu dominato dalla dinastia
Malla anche se nel Quattrocento si costituirono tre principati che
gradualmente si resero indipendenti.
Nel 1769 il Nepal venne riunificato dall’occupazione della tribù
guerriera gurkha e iniziò una fase di espansione destinata a portare ai
conflitti con la Cina, per il controllo del Tibet, nel 1791, e con gli
inglesi. La nuova dinastia, minata da dissidi interni, cadde sotto
l’influenza britannica e all’inizio del XIX secolo, con la guerra
anglo-nepalese del 1814-16, il Nepal diventò protettorato della Gran
Bretagna. Nel 1846, un colpo di stato orchestrato dagli inglesi portò
all’ascesa della famiglia aristocratica Rana che assicurò lealtà alla
Gran Bretagna. Nel 1854-56 un nuovo conflitto con la Cina fece cadere il
Tibet sotto l’influenza nepalese rovesciando l’esito della guerra del
1791. Dal 1860 un trattato assicurò alla Gran Bretagna l’arruolamento
dei membri della tribù gurkha nelle truppe coloniali stanziate in India,
sulla base della politica inglese volta a separare le forze armate dalla
popolazione locale. L’integrazione dei membri dell’etnia dominante in
Nepal al destino imperiale britannico favorì, nel 1923, il precoce
riconoscimento dell’indipendenza nepalese. Nel 1951, quando il sistema
coloniale inglese era ormai tramontato e l’India era diventata
indipendente, con il concorso di Nuova Delhi vennero estromessi dal potere
i discendenti della famiglia aristocratica Rana e poté ritornare sul
trono un esponente della vecchia dinastia. Il Nepal venne così inserito
nella sfera di influenza indiana, nel contesto delle tensioni
internazionali che avrebbero portato al conflitto tra Pechino e Nuova
Delhi all’inizio degli anni Sessanta. I sovrani nepalesi, dopo
l’abolizione dei partiti politici nel 1960, fondarono il proprio potere
su una struttura politica e sociale di tipo feudale e non parlamentare, il
cosiddetto sistema Panchayat,
che venne riformato in senso democratico-borghese nel 1990 per le
pressioni del Partito del Congresso
nepalese (NPC) e dell’Unione
marxista-leninista (UML), quando, dopo scontri in cui si ebbero
centinaia di vittime, il sovrano Birendra accettò una forma di monarchia
costituzionale fondata su un parlamento pluripartitico, pur facendo
permanere gli antichi privilegi feudali. Nel 1991 il Partito del Congresso
ha vinto le elezioni formando il governo Koirala, che si è distinto per
la rigidità monetaria e un processo di privatizzazioni che hanno prodotto
una sorta di neocolonialismo
economico, senza scalfire l’indice estremo di povertà. Alle consultazioni del novembre 1994 l'NPC perse la maggioranza e l'UML formò un governo di minoranza, che si impegnò a preservare la monarchia costituzionale e a continuare la politica di liberalizzazione economica; dopo pochi mesi fu naturalmente sfiduciato e dovette passare il testimone nuovamente all'NCP (1995). Negli anni successivi l’NPC, in diversi tipi di coalizioni con i più disparati partiti, tentò di dare un indirizzo ancora più liberista al paese muovendosi verso una liberalizzazione selvaggia, le privatizzazioni, agevolazioni per gli investimenti e le esportazioni, l’ampliamento delle imposte e, sul piano internazionale confermando l'equilibrio nei rapporti con Cina e India. Solo nel maggio 1999 il Nepal chiamato alle urne ha dato un responso più certo: l’NPC infatti ha ottenuto il 36,3% dei suffragi (110 seggi su 205 alla camera dei rappresentanti), contro l’UML che ha ottenuto il 30,7% dei voti (68 seggi) seguito in terza posizione dal partito nazional-democratico con il 10,2% (conservatore, 11 seggi). Nuovamente il governo è passato nelle mani del partito del Congresso, primo ministro K. P. Bhattarai (monocolore). Nei mesi successivi si sono moltiplicate le violenze dell’esercito e l’offensiva della guerra popolare maoista ha imposto le dimissioni di Bhattarai che è stato sostituito da un altro candidato dell’NPC, Girjia Prasad Koirala (marzo 2000). La guerra popolare si pone dunque come la vera novità rivoluzionaria del Nepal, con cui tutte le forze politiche devono fare i conti. Intanto, le mene di palazzo della corrotta monarchia reale si sono acuite: nel giugno del 2001 il trentenne erede al trono Dipendra ha massacrato l'intera famiglia reale suicidandosi; il regno è stato affidato allo zio Gyanendra la cui ascesa al trono è stata subito contestata da manifestazioni di piazza e l’accusa del PCN(m) è di aver ordito un vero e proprio colpo di stato per inasprire la repressione e chiedere aiuto economico-militare agli Usa e ai suoi alleati imperialisti. |
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