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nr.6 - nuova serie - novembre 2002

redazione pugliese di Nuova Unità

IL FUTURO CAMMINA SUL TETTO DEL MONDO

  Squarciare il velo sulla guerra popolare in Nepal

in appendice: scheda storica

 

 Cosa accade sulle alte montagne del Nepal, il cui suono non riesce a giungere alto e forte qui in occidente? Quanti sanno che nel paese che ospita la cima più alta del mondo, l’Everest e la catena dell’Himalaya, meta turistica esotica, tra figli dei fiori, trekking e new age già dagli anni ’70, si sta combattendo una guerra, per l’esattezza una guerra popolare, intrapresa il 13 febbraio 1996 dal Partito Comunista del Nepal (maoista) contro un regime monarchico corrotto e dal 1990 contro governi dispotici a guida del Partito del Congresso che utilizzano il parlamento per beghe interne di potere, senza alcun miglioramento sociale e civile per le martoriate popolazioni di quel paese, agli ultimi posti per indice di povertà? Un paese su cui gli appetiti imperialisti, per la decisiva posizione geostrategica, hanno da tempo prodotto instabilità e crisi: ne sono coinvolti direttamente gli USA, l’India e la Gran Bretagna e fondamentalmente in chiave anticinese.

In molte parti d’Italia (a Taranto il 19 giugno u.s.) stanno costituendosi Comitati Solidarietà Nepal, con l’intento innanzitutto di squarciare il ‘rumoroso’ silenzio che avvolge questa (e non è la sola) lotta antimperialista di massa e organizzata. Strano, in tempi di globalizzazione. La sinistra occidentale, anche quella antagonista e immersa nel movimento no-global, è afona al riguardo. I compagni nepalesi, guidati dalla figura di un comunista coerente marxista-leninista, ‘Prachanda’, che non fa mercimonio di princìpi, e che è disposto anche a soluzioni che evitino inutili bagni di sangue, non godono della solidarietà, né militante né teorica, del movimento dei movimenti. Forse il Nepal fa poca ‘audience’, o forse qui in occidente si è vittime di due opposti ma similari integralismi:

-         quello della borghesia imperialista, per cui ogni lotta contro il capitalismo che vada oltre qualche preghiera o qualche petizione è terrorismo; e, come è risaputo, comunismo e terrorismo sono due elementi da ben miscelare per impaurire le popolazioni e stringere le masse nella morsa della repressione e della controrivoluzione preventiva;

-         quello del movimentismo egemonizzato da componenti cattoliche e/o religiose, accompagnato dai corifei del comunismo romantico e idealistico (prescientifico e premarxiano), che fanno della non-violenza un credo fondamentalista. Per cui, ‘guerra popolare’ è espressione blasfema.

E invece la guerra popolare in Nepal, che non è certo un ‘pranzo di gala’ (Mao), è un’ autentica lotta di popolo che tenta di ritrovare una dignità calpestata dai ceti dominanti e dirigenti. Una lotta estrema, antimperialista e anticapitalista, la cui eco giunge qui da noi solo tramite le paludate agenzie di stampa, che utilizzano l’espressione ‘ribelli maoisti’ per indicare le forze dell’esercito rosso (ELP-Esercito Popolare di Liberazione) che infliggono colpi mortali al nemico e installano le basi rosse.

I cinque giorni di sciopero generale, il Nepal-Bandh, dal 23 al 27 aprile scorsi, indetti dal PCN (m) hanno bloccato l’intero paese. Nel Nepal occidentale le forze della repressione hanno ucciso nel primo giorno 7 guerriglieri. Lo sciopero era stato proclamato per protestare contro le atrocità commesse dall’esercito regolare nepalese (il reazionario ERN si è dato al massacro di masse disarmate e di attivisti politici, con decine di assassinii giornalieri camuffati da scontri armati). Il PCN (m) è impegnato dunque da sei anni a combattere il regime monarchico-feudale di re Gyanendra (il 26 aprile scorso solo il suo servizio di sicurezza è riuscito a sventare l’attentato al suo corteo che doveva magnificare la casa reale, nel giugno 2001 c’era stato lo sterminio della famiglia reale passato come ‘lotta fratricida interna’, in realtà sanguinoso colpo di stato di palazzo per imporre lo stato di emergenza) sfidando la feroce repressione e i copiosi aiuti che arrivano e arriveranno dagli USA (George W. Bush, naturalmente con il solito pretesto della lotta al ‘terrorismo’, ha promesso che cercherà di far approvare dal Congresso ben 20 milioni di dollari di aiuti militari e il 7 maggio u.s. si è incontrato con il primo ministro nepalese, Sher Bahadur Deuba per perfezionare gli accordi) che permettono al regime taglie di 64mila dollari per la cattura di tre comandanti della guerriglia, tra cui lo stesso Presidente Prachanda. Ma vastissima è stata ed è l’adesione dei nepalesi alle agitazioni proclamate dai comunisti.

E in cui le donne hanno un ruolo di primissimo piano. Quelle donne che molti vorrebbero soggiogate dalle religioni e relativa oscurantista precettistica, a cui, oltre la povertà e l’analfabetismo s’intende, si offrirebbe solo l’altra strada della prostituzione per qualche turista bianco in cerca di ebbrezze erotico-esotiche. No, le donne nepalesi trovano nell’ELP la forza per liberarsi e liberare tutti dallo sfruttamento e dalla minorità.

Il PCN (m) denuncia che, benché esista in Nepal nominalmente un parlamento e si tengano rituali elezioni, come nella maggior parte dei paesi del terzo mondo, l’effettivo potere statale è esercitato da una monarchia feudale tradizionale. Questo è sancito da una costituzione, di cui il re è garante, che perpetua l’autorità tradizionale funzionale ai privilegi feudali e lega l’ERN all’istituzione monarchica. Il regime nepalese si configura così come dittatura militare reale e i partiti parlamentari sono ridotti o a simulacri vuoti (l’opposizione dell’UML) o a notai dell’autocrazia (il Partito del Congresso Nepalese al governo).  In tutte le sue deliberazioni il PCN (m) ha auspicato uno stato di “nuova democrazia”, con piena libertà pluralistica garantita dopo la distruzione, necessaria, dell’autocrazia feudale: “Ci siamo impegnati a instaurare e sviluppare il sistema democratico popolare del ventunesimo secolo. Questo sistema democratico non sarà un’imitazione meccanica del modello tradizionale, ma sarà guidato dalle necessità del popolo del ventunesimo secolo. Inoltre, il punto 75 del Programma del neonato Consiglio Unitario Rivoluzionario Popolare (CURP), l’embrionale Comitato Organizzatore del Governo Popolare Centrale nella forma di fronte unito rivoluzionario sotto la direzione del PCN(m) delinea già le politiche del futuro stato che stiamo disegnando”, si legge nella dichiarazione del 6 maggio 2002. Per questo, il PCN(m) ha lanciato già da tempo le tre parole d’ordine del governo provvisorio, dell’assemblea costituente e dell’istituzione della repubblica popolare.

Intanto, però, i massacri di lavoratori aeroportuali ad Acham e di attivisti politici e masse riunite in un’innocua attività culturale a Gumchal, in Rolpa, nello scorso aprile, mostrano quanto sia vile e brutale il terrore militare della cricca Gyanendra-Paras-Prajjwal.

 Quanti morti ancora devono esserci in Nepal perché le nostre ‘poetiche’ sinistre occidentali, anche quelle antagoniste, organizzino solidarietà militante e internazionalista al PCN (m) e all’intero popolo nepalese?

 

Per materiale informativo (e contro-informativo) sul Nepal e la guerra popolare del PCN(m)

·        Comitato Solidarietà Nepal

C/o Slai-Cobas

Via Rintone, 22 – 74100  Taranto

e-mail: edioriente@planio.it

 

 

APPENDICE /SCHEDA STORICA

Stato attuale dell’Asia centromeridionale. Nelle valli himalayane che costituiscono l’odierno Nepal penetrò precocemente, con l’induismo e il buddhismo, la cultura indiana. Solo più tardi, verso la metà del VII secolo d.C. quando la regione era ormai un centro vitale degli scambi tra la pianura gangetica e il Tibet, si instaurarono i primi rapporti con la Cina. Tra il X e il XVIII secolo, il Nepal fu dominato dalla dinastia Malla anche se nel Quattrocento si costituirono tre principati che gradualmente si resero indipendenti.  Nel 1769 il Nepal venne riunificato dall’occupazione della tribù guerriera gurkha e iniziò una fase di espansione destinata a portare ai conflitti con la Cina, per il controllo del Tibet, nel 1791, e con gli inglesi. La nuova dinastia, minata da dissidi interni, cadde sotto l’influenza britannica e all’inizio del XIX secolo, con la guerra anglo-nepalese del 1814-16, il Nepal diventò protettorato della Gran Bretagna. Nel 1846, un colpo di stato orchestrato dagli inglesi portò all’ascesa della famiglia aristocratica Rana che assicurò lealtà alla Gran Bretagna. Nel 1854-56 un nuovo conflitto con la Cina fece cadere il Tibet sotto l’influenza nepalese rovesciando l’esito della guerra del 1791. Dal 1860 un trattato assicurò alla Gran Bretagna l’arruolamento dei membri della tribù gurkha nelle truppe coloniali stanziate in India, sulla base della politica inglese volta a separare le forze armate dalla popolazione locale. L’integrazione dei membri dell’etnia dominante in Nepal al destino imperiale britannico favorì, nel 1923, il precoce riconoscimento dell’indipendenza nepalese. Nel 1951, quando il sistema coloniale inglese era ormai tramontato e l’India era diventata indipendente, con il concorso di Nuova Delhi vennero estromessi dal potere i discendenti della famiglia aristocratica Rana e poté ritornare sul trono un esponente della vecchia dinastia. Il Nepal venne così inserito nella sfera di influenza indiana, nel contesto delle tensioni internazionali che avrebbero portato al conflitto tra Pechino e Nuova Delhi all’inizio degli anni Sessanta. I sovrani nepalesi, dopo l’abolizione dei partiti politici nel 1960, fondarono il proprio potere su una struttura politica e sociale di tipo feudale e non parlamentare, il cosiddetto sistema Panchayat, che venne riformato in senso democratico-borghese nel 1990 per le pressioni del Partito del Congresso nepalese (NPC) e dell’Unione marxista-leninista (UML), quando, dopo scontri in cui si ebbero centinaia di vittime, il sovrano Birendra accettò una forma di monarchia costituzionale fondata su un parlamento pluripartitico, pur facendo permanere gli antichi privilegi feudali. Nel 1991 il Partito del Congresso ha vinto le elezioni formando il governo Koirala, che si è distinto per la rigidità monetaria e un processo di privatizzazioni che hanno prodotto una sorta di neocolonialismo economico, senza scalfire l’indice estremo di povertà.

Alle consultazioni del novembre 1994 l'NPC perse la maggioranza e l'UML formò un governo di minoranza, che si impegnò a preservare la monarchia costituzionale e a continuare la politica di liberalizzazione economica; dopo pochi mesi fu naturalmente sfiduciato e dovette passare il testimone nuovamente all'NCP (1995). Negli anni successivi l’NPC, in diversi tipi di coalizioni con i più disparati partiti, tentò di dare un indirizzo ancora più liberista al paese muovendosi verso una liberalizzazione selvaggia, le privatizzazioni, agevolazioni per gli investimenti e le esportazioni, l’ampliamento delle imposte e, sul piano internazionale confermando l'equilibrio nei rapporti con Cina e India. Solo nel maggio 1999 il Nepal chiamato alle urne ha dato un responso più certo: l’NPC infatti ha ottenuto il 36,3% dei suffragi (110 seggi su 205 alla camera dei rappresentanti), contro l’UML che ha ottenuto il 30,7% dei voti (68 seggi) seguito in terza posizione dal partito nazional-democratico con il 10,2% (conservatore, 11 seggi). Nuovamente il governo è passato nelle mani del partito del Congresso, primo ministro K. P. Bhattarai (monocolore). Nei mesi successivi si sono moltiplicate le violenze dell’esercito e l’offensiva della guerra popolare maoista ha imposto le dimissioni di Bhattarai che è stato sostituito da un altro candidato dell’NPC, Girjia Prasad Koirala (marzo 2000). La guerra popolare si pone dunque come la vera novità rivoluzionaria del Nepal, con cui tutte le forze politiche devono fare i conti. Intanto, le mene di palazzo della corrotta monarchia reale si sono acuite: nel giugno del 2001 il trentenne erede al trono Dipendra ha massacrato l'intera famiglia reale suicidandosi; il regno è stato affidato allo zio Gyanendra la cui ascesa al trono è stata subito contestata da manifestazioni di piazza e l’accusa del PCN(m) è di aver ordito un vero e proprio colpo di stato per inasprire la repressione e chiedere aiuto economico-militare agli Usa e ai suoi alleati imperialisti.



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