lavoro politico
 
sito web di materiali marxisti per la linea rossa
 
webmaster: Ferdinando Dubla
nr.7 - nuova serie - febbraio 2003

Ferdinando Dubla 

   LOTTA DI CLASSE ED EGEMONIA DELL'ORGANIZZAZIONE

  Sulla fase attuale, sul rapporto partito/movimenti e comunisti/partito. Restituire dignità alla categoria gramsciana di egemonia e quindi alla necessità di una forte organizzazione

 

Il movimento detto "dei movimenti" è parte della lotta di classe, o quest’ultima deve essere "inglobata" nel più vasto movimento antiglobalizzazione?

Può sembrare una domanda oziosa, e invece non lo è. Non lo è, o non dovrebbe esserlo, per i comunisti. Il problema è che il revisionismo politico-culturale all’interno della sinistra antagonista sta tentando l’espropriazione della categoria di "egemonia" proprio in relazione all’incedere del movimento no-global. Per cui, l’accusa di contrapporre al nuovo movimento vecchie categorie, deve essere totalmente rovesciata: il nuovo movimento serve a molti per liquidare il patrimonio di esperienze del movimento proletario in cui proprio i comunisti hanno avuto un ruolo di primo piano. Sarebbe infatti difficile sostenere, per rispondere alla domanda iniziale, che i conflitti sociali che si producono nei luoghi di produzione non sono altro che parte del movimento. Ciò non è, per il semplice motivo che l’acuirsi della crisi del capitalismo colpisce per primi i lavoratori e contemporaneamente agisce sugli altri fronti, la proletarizzazione (che segue andamenti diversi per modalità da paese a paese, ma è, appunto, processo ‘globale’) e le soggettività antagoniste che, partendo da un singolo problema (dall’elettrosmog ai cibi transgenici), sentono la morsa di un sistema che non concepisce parametri diversi dall’accumulazione di profitti e da rapina e saccheggio delle risorse. Ma la questione dell’"egemonia" riproporrebbe un ruolo dei comunisti nella lotta di classe e nel movimento che ne è una delle espressioni: e cioè la falsificazione della tesi dell’ubiquità dei poteri. I poteri, se sono dappertutto, non sono da nessuna parte. Per cui, la questione del potere politico non si pone neppure. E’ questa la tesi di fondo che ha portato, nell’ultimo Congresso del PRC, la maggioranza bertinottiana a sostituire la categoria di imperialismo con impero, a credere che gli strumenti multinazionali del capitale (FMI,BM, WTO, ecc..) avessero sostituito il ruolo degli stati-nazione, a considerare il conflitto di classe come parte del movimento e non viceversa. Non a caso Gramsci è stato, pur con tante resistenze (e in compagnia di Lenin, ovvio) espunto dal preambolo al nuovo Statuto. Non è un errore: è una volontà deliberata di scegliere la strada della rinunzia a porre il problema del potere. Anche solo delineando un processo necessario di transizione e forme intermedie, di obiettivi di fase, di mediazione politica. Ma la rinuncia all’organizzazione, o meglio, all’egemonia dell’organizzazione, sia in Gramsci che in Lenin (vedi il Che fare? su cui si è già soffermato molto bene il compagno Curatoli sul numero scorso di Aginform) porta inevitabilmente a seguire il corso spontaneo degli eventi, trasformando lo spontaneismo in leaderismo. E quale dovrebbe essere il ruolo dei comunisti espropriati di egemonia, che va tra l’altro conquistata sul campo e non solo proclamata? Riproporre la centralità del lavoro all’interno del movimento? Ma, quand’anche si accettasse questa tesi, la centralità del lavoro non disvela alla radice le architravi del capitalismo imperialista e la messa in discussione del potere reale che la borghesia esercita anche nelle forme politiche?

Veniamo agli avvenimenti del nostro paese. Le giornate di Firenze e la contemporanea lotta degli operai della FIAT hanno costituito una preziosa indicazione per i comunisti: coniugare l’avversione alla guerra imperialista e i contenuti più radicali del movimento no-global alla lotta di classe. In questa fase, l’uno non vive senza l’altro. Perché il movimento no-global esca dall’eclettismo e si faccia innervare dal lievito indispensabile delle battaglie operaie e perché le battaglie operaie si pongano all’avanguardia del movimento no-global evitando la chiusura economicista o la pura ‘difesa’ e spezzando il cordone di isolamento che le classi dominanti inevitabilmente pongono e porranno via via che crescerà di intensità la lotta di classe. I comunisti ritrovano in questo tentativo di coniugazione la loro principale ragion d’essere in questa fase. Una fase che deve venire attraversata dalla transizione dalla difesa all’offesa e che in campo politico contribuisce a delimitare i campi: dove è evidente che il campo dei cosiddetti "riformisti" (la rincorsa centrista dei dalemiani e della maggioranza DS) non è assolutamente a sinistra e che una nuova dialettica invece può svilupparsi nel campo di un’ipotesi laburista-socialdemocratica e di un radicalismo "globale". L’ipotesi labour incarnata da Cofferati può sperarsi "competitiva" anche per il PRC per lo spazio sempre più largo che gli offre un indistinto movimentismo radicale che teorizza, appunto, la rinunzia ad ogni egemonia dell’organizzazione. Stesso discorso per l’unificazione di contenuti sociali e diritti democratici: gli uni non escludono gli altri e compito dei comunisti è quello di delineare una piattaforma di opposizione politico-sociale alle destre e all’oligarchia berlusconiana (che è la forma specifica di dominio del capitale in Italia, oggi) in cui alla radicalità delle proposte per porre il movimento dei lavoratori all’offensiva deve associarsi la salvaguardia delle prerogative costituzionali poste seriamente in discussione dalle leggi in favore dell’oligarchia approvate dal Parlamento e dal continuo soffocare e reprimere le voci anche flebilmente (non solo anti-sistema) discordanti. Sarà un caso, ma sono troppo pochi coloro che non pongono all’ordine del giorno, qui e ora, subito, la caduta del governo Berlusconi. Per un senso malinteso di "responsabilità politica", nella migliore delle ipotesi, perché bisogna prima costruire un processo alternativo ecc… No, assolutamente: come già per la guerra, bisogna essere contro questo governo delle destre senza se e senza ma. E’ nel fuoco di questa battaglia che si creano le necessarie condizioni per l’unica alternativa reale, l’alternativa di sistema. Non sembri paradossale, ma la radicalità antagonista non può accecare il fatto, positivo, che una parte della società civile moderata (girotondi, Moretti, ecc..) sia anch’essa spinta alla mobilitazione. Non deve prudere a nessuno per questioni di competizione e di bottega questo fenomeno, giudicato in termini troppo snobistici. Anche qui, saltare a priori ogni esercizio egemonico è indice di settarismo, quello vero, non quello paventato a ogni piè sospinto ogniqualvolta si pongono sane questioni di principio e analisi conseguenti. Il ruolo dei comunisti, ovunque collocati politicamente, in questa fase è dunque di fondamentale importanza. Essi non possono rinunziare all’egemonia, all’organizzazione del conflitto di classe nella forma politica della rivendicazione di potere, a portare il movimento detto no-global non solo in forma oggettiva, ma cosciente, all’interno della lotta delle classi. Ed è con questo metro che va giudicata l’efficacia della loro militanza concreta.

Ferdinando Dubla



vai all' index di Lavoro Politico nr.7     vai all'home Linea Rossa      scrivi alla redazione       webmaster