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nr.7 - nuova serie - febbraio 2003

Enzo Pernigotti 

  I LIMITI DEL GRUPPUSCOLARISMO M-L

  Sulla minorità dei  gruppi marxisti-leninisti che, avendo molta dimestichezza con il pensiero leninista, ne sono così pervasi da comportarsi costantemente come se fossimo in una fase pre-rivoluzionaria, e tacciano di revisionismo i compagni più pragmatici, o più realisti

 

Nel nostro paese si sconta la mancanza di un Partito Comunista: ce ne sono diversi che si dichiarano tali, ma nessuno possiede le qualità per meritarsi un aggettivo così impegnativo. E questo pesa. Manca il "luogo" in cui dibattere, programmare, svolgere analisi, scontrarsi sulla linea da adottare tatticamente, e poi ritrovarsi, e fare proselitismo.

Esistono numerosi "surrogati" del partito, gruppi organizzati, circoli, comitati, centri studi, confederazioni, ma nessuno con le capacità di elaborare un progetto politico convincente e di aggregare un numero significativo di compagni. Alcuni di essi addirittura sembra abbiano paura di confrontarsi e di crescere: difendono gelosamente le loro peculiarità, si sentono portatori della linea giusta e pensano che tutti gli altri siano in errore. Il fatto di risultare pressoché ininfluenti non li preoccupa affatto.

I numerosi tentativi intrapresi al fine di metter in contatto queste diverse realtà, per farle discutere, riflettere sulla negatività della situazione esistente, sullo scarso profitto dell’attività parcellizzata di numerosi compagni e, per contro, sulla potenzialità rappresentata dal lavoro unitario di tanti compagni, su alcuni temi forti condivisi da tutti, non hanno prodotto i risultati auspicati. Quali le cause? Forse, più d’una: l’abitudine ad operare in ambiti ristretti in cui la propria posizione raramente viene contraddetta; la smania di leaderismo; la diffidenza preconcetta nei confronti di altri gruppi con esperienze diverse; ma, qualche volta, anche la volontà di impedire la formazione di una nuova realtà autenticamente comunista nel nostro paese. Peccato, si è sciupata una buona opportunità.

Quando si affronta il lavoro politico con una siffatta impostazione non si raccolgono grandi risultati, poiché non si tiene conto della realtà in cui si opera, non si valutano correttamente le forze di cui si dispone, si perseguono obiettivi irrealistici, velleitari, sprecando molte energie e spargendo delusioni.

Per farmi comprendere, preciso di riferirmi a quei gruppi che abbiamo conosciuto, i quali avendo molta dimestichezza con il pensiero leninista, ne sono così pervasi da comportarsi costantemente come se fossimo in una fase pre-rivoluzionaria, e tacciano di revisionismo i compagni più pragmatici, o più realisti.

Però il limite più grande che abbiamo riscontrato è senz’altro quello rappresentato dalla paura di perdere la propria identità, di confondere le proprie posizioni in un’organizzazione più ampia ma non sufficientemente caratterizzata e, per qualcuno, anche quella di perdere il ruolo di leader di un gruppuscolo e diventare parte attiva di un nuovo organismo in cui i ruoli si sarebbero dovuti conquistare sul campo. Questi comportamenti denunciano chiaramente una scarsa fiducia delle proprie posizioni politiche.

Nel nostro paese, inoltre, a fronte di una serie quasi quotidiana di vere porcherie commesse dalla compagine governativa composta da un bel numero di fascisti e dell’emergere dei costi pesanti che i lavoratori devono sopportare a causa del modello liberista, non esiste un’opposizione credibile capace di approfittare della situazione. Certo, sto parlando di un’opposizione vera, che metta in discussione il modello di sviluppo, che proponga soluzioni radicalmente alternative, chiaramente ispirate al modello socialista, che prospetti una società diversa, meno competitiva, meno distruttiva dell’ambiente, più sensibile ai bisogni delle persone, soprattutto di quelle che lavorano o hanno lavorato oppure sono in condizione di non poterlo fare ma comunque titolari di diritti (in questo caso sì, umani), che rispetti tutti i popoli della terra e ripudi drasticamente la guerra, compresa quella "umanitaria".

E’ facile comprendere come, nella situazione descritta, lo spazio d’intervento per i comunisti sia molto ampio. Se fossimo organizzati avremmo la possibilità di incidere sull’opinione di molti lavoratori colpiti dagli effetti della crisi. Mi pare quindi evidente la responsabilità di quei compagni che hanno operato in modo tale da impedire che un principio di organizzazione si realizzasse.

Ciononostante le contraddizioni del sistema continueranno ad acutizzarsi ed il bisogno di comunismo aumenterà specialmente se con le modeste forze di cui disponiamo riusciamo a diffondere le nostre idee e le informazioni corrette sugli avvenimenti, insieme ad una giusta interpretazione dei medesimi. Nella situazione attuale noi abbiamo il dovere di contribuire a fare crescere nella classe operaia la consapevolezza del grande ruolo che le compete, e di sostenere le numerose lotte che essa combatte per la difesa dei propri diritti, per una società più giusta e contro la guerra. Dobbiamo anche trovare il modo giusto per denunciare i guasti enormi prodotti nella classe dalle posizioni revisioniste e dalle politiche concertative.

Nel contempo dobbiamo continuare a ricercare rapporti costruttivi con altri compagni, anche a livello europeo giacché è abbastanza evidente che lo scontro di classe si sta spostando proprio su quel terreno. Il tempo si farà carico di dimostrare se avremo operato nella giusta direzione.

Enzo Pernigotti



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