Per Rocco Scotellaro, a 50 anni dalla morte
BIOGRAFIA E SILLOGE DI ROCCO SCOTELLARO
I fondamenti di un nuovo meridionalismo nella scrittura e nell'impegno di un intellettuale che può definirsi a pieno titolo "gramsciano"
Notizie biografiche
Rocco
Scotellaro nacque a Tricarico ( Matera) il 19 aprile 1923 da famiglia artigiana:
suo padre era calzolaio, la madre sarta-casalinga e “scrivana” del vicinato.
Dopo aver fraquentato le scuole elementari a Tricarico, a Santa Croce, per
continuare gli studi si trasferì presso il Convitto Serafico dei Cappuccini a
Sicignano degli Alburni e poi a Cava dei Tirreni; nonostante l’interruzione,
il soggiorno presso i frati segnò la formazione morale e arricchì la sua
conoscenza dei classici. Il curricolo scolastico fu caratterizzato poi da un
continuo peregrinare a Matera, Tricarico, Potenza, Trento dove, nel 1940-41,
frequentò la seconda liceo e nel contempo conseguì la maturità classica,
sotto la guida, fra gli altri, di Giovanni Gozzer. Lì intanto, a Trento, prese
i primi contatti col socialismo e pare che nel novembre 1940 sia stato espulso
dal liceo-ginnasio per aver partecipato ad una manifestazione antifascista.
Nel
1942 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma ed
ebbe un posto di istitutore in un collegio di Tivoli; la guerra e la morte del
padre (14 maggio 1942) lo costrinsero a rientrare al paese e a cambiare
università, prima Napoli e poi Bari. Il diretto contatto con la drammatica
condizione dei contadini lucani faceva maturare la sua adesione al PSI, che
avvenne il 4 dicembre 1943. Attivo membro del Comitato di Liberazione a
Tricarico, svolse per tre anni un intenso lavoro sindacale e politico culminato
nella sua elezione a sindaco alle Amministrative del 1946, quando guidò una
lista unitaria di sinistra col simbolo dell’aratro. Fu in occasione della
campagna della Repubblica che nel maggio 1946 conobbe Carlo Levi e Manlio
Rossi-Doria, gli amici-maestri cui rimase profondamente legato fino alla morte.
Nel gennaio 1947, nominato dal partito ispettore regionale per il lavoro
giovanile in Basilicata, impostò un’energica azione organizzativa e di
rinnovamento per rimuovere le incrostazioni e l’immobilismo della vecchia
classe dirigente locale. Fu presidente di un ospedale civile (inaugurato a
Tricarico nell’agosto 1947) che rappresenta "un mirabile esempio della
capacità autonoma e realizzatrice di un comune". La " pozzanghera
nera" del 18 aprile e il logoramento interno della maggioranza coinvolsero
l’amministrazione di Tricarico ma, ripetute le elezioni del novembre,
Scotellaro fu riconfermato sindaco.
Fondamentale
per la sua formazione fu la collaborazione data a Peck per lo studio della
comunità di Tricarico, e a Friedmann che accompagnò per i paesi della
Basilicata alla ricerca di un campione ideale per la sua indagine sul mondo
contadino; nonchè il legame con il " Movimento di Comunità" di
Adriano Olivetti, dal quale per un certo periodo ricevette un contributo a metà
strada fra il sussidio e la borsa di studio.
Nel
novembre 1949, a Macerata, in occasione di un convegno su " La cultura
nelle provincie", portò un importante contributo al dibattito in aperta
polemica con Ugo Betti e potè stringere utili contatti con altri scrittori, tra
i quali Michele Prisco.
Il
momento epico dell’occupazione delle terre lo vide protagonista appassionato e
tuttavia pensoso; fu membro, fra l’altro, del Comitato regionale dell’Assise
per la rinascita del Mezzogiorno. L’8 febbraio 1950 fu arrestato per un
preteso delitto di concussione riguardo a fatti che risalivano all’agosto 1947
e al febbraio 1948; il 24 marzo 1950 la Sezione Istruttoria della Corte di
Appello di Potenza non solo prosciolse lo Scotellaro ordinandone la
scarcerazione "per non aver commesso il fatto" e "perchè il
fatto non costituisce reato", ma parlò chiaramente di " vendetta
politica".
Nel
maggio 1950 si dimise dalla carica di sindaco nella quale era stato presto
reintegrato dopo il carcere, e partì da Tricarico per Roma dove lavorò per
qualche mese da Einaudi. Manlio Rossi-Doria lo chiamò successivamente a Portici
presso l’Osservatorio di Economia Agraria, dove partecipò alla stesura degli
studi preliminari del Piano regionale della Basilicata, commissionato dalla
SVIMEZ, curando la parte relativa ai problemi igienico-sanitari (guida Rocco
Mazzarone), l’analfabetismo e la scuola. Nel 1952, per fedeltà ai suoi
contadini, nonostante l’atteggiamento critico nei confronti del PSI materano,
accettò la candidatura per la provincia alle elezioni di maggio, senza tuttavia
riuscirvi. Agli inizi di dicembre dello stesso anno, per verificare sul posto
gli effetti della Riforma Agraria, fece un viaggio in Calabria con Carlo Levi,
la cui esperienza è condensata in una quindicina di cartelle di appunti assai
preziosi.
Nel
gennaio 1953 rispose con vivo interesse ad una proposta di Codignola che nel
dicembre lo aveva invitato a collaborare a " Nuova Repubblica" onde
gettare le basi per "schieramenti nuovi, più aderenti alla realtà della
situazione italiana che non lo siano i vecchi strumenti partitici spesso
consunti e corrotti"; e partecipò a un convegno promosso a Pisa dai gruppi
toscani di " Giustizia e Libertà" ( Cassola, Capitini ed altri) che
si proponevano di creare uno spazio reale di alternativa democratica.
Il
13 maggio Vito Laterza, auspice Vittorio Fiore, gli propose un libro sulla
cultura dei contadini meridionali e a tale lavoro dedicò intensamente gli
ultimi mesi della sua vita. Morì a Portici, stroncato da un infarto, il 15
dicembre 1953 nel pieno degli anni e della sua attività di scrittore. Non sono
mancati in vita e post mortem segnalazioni e riconoscimenti per il suo lavoro
letterario: Premio de L’Unità 1947, Premio Roma 1949, Premio Cattolica 1951
(per la poesia dialettale), Premio Monticchio 1952, Premio Borgese 1953, Premio
S. Pellegrino 1954 (per l’inchiesta Contadini del Sud), Premio Viareggio 1954.
Dall’edizione 1982 di E’ fatto giorno curata da Franco Vitelli
Le
opere più significative edite del poeta lucano sono:
.
E' fatto giorno |
Edizione Mondadori 1954 |
||
Contadini del sud |
Edizione Laterza 1954 |
||
L'Uva puttanella |
Edizione Laterza 1955 |
||
Margherite e rosolacci |
Edizione Mondadori 1978 |
||
Uno si distrae al bivio |
Edizioni
Basilicata 1974 |
|
Lettere a Tommaso Pedio |
Edizioni
Osanna, 1986 |
|
Altri scritti ed appunti vari inediti
sono andati probabilmente smarriti.
Sempre
nuova è l'alba
Non
gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.
Beviamoci
insieme una tazza colma di vino!
che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano
ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna -
l'oasi verde della triste speranza -
lindo conserva un guanciale di pietra...
Ma
nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l'alba è nuova, è nuova.
Noi
che facciamo?
Noi
che facciamo?
Ancora ci chiamano
fratelli nelle Chiese
ma voi avete la vostra cappella
gentilizia da dove ci guardate.
E smettete quell'occhio
smettete la minaccia,
anche le mandrie fuggono l'addiaccio
per qualche stelo fondo nella neve.
Sentireste la nostra dura parte
in quel giorno che fossimo agguerriti
in quello stesso Castello intristito.
Anche le mandrie rompono gli stabbi
per voi che armate della vostra rabbia.
Noi che facciamo?
Noi pur cantiamo la canzone della vostra redenzione.
Per dove ci portate
lì c'è l'abisso, l'ì c'è il ciglione.
Noi siamo le povere
pecore savie dei nostri padroni.
Vide anche un vecchio al quale si avvicinò: Dite buon uomo, - chiese – sempre ritornando dove posso arrivare? – E quegli senza scomporsi: - E dimmi, figlio mio, sempre andando avanti io dove vado a finire?
Si abbracciarono, si sedettero sulla sabbia.
L’acqua del fiume correva e venne la sera.
(da “Uno si distrae al bivio”, 1942-43)
I contadini rientravano in paese, sulla sera, col piede stanco e con aria morta. La lunga fila. Chinando ritmicamente anch’essi la testa come le giumente. E l’aria anneriva e nelle case un fuoco con la tazza del decotto. E i figli intorno illuminati dal fuoco. E nel pollaio le galline aprivano le ali come sbadigliando. E la donna china sulla tazza. Il fuoco era subito spento. Il contadino sospirava che il giorno era andato e s’accorava e, si sa, certo gridava anche lui che il giorno era perduto.
(da “Uno si distrae al bivio”, 1942-43)
I salariati del posto rialzano le verche, menano i buoi al bosco, al loro casone i fontaiuoli accendono il lume e lo straziuso, che tiene un po’ di animali: pecore, capre, porci e due bovini, abita accanto a loro in un magliaro con la famiglia, rimette al suo cane il collare di ferro contro il lupo
(da “La festa”, maggio 1951)
“La Lucania ha bisogno di spiriti profondi per essere compresa e di anime vergini per essere amata.”
Anche la storia – la più vera e severamente cronachistica, quella dei comandanti politici e religiosi, dei capipopolo, degli studiosi, delle guerre e delle opere – è solita a essere ammantata di miti. Giungono a noi questi miti della realtà del tempo sotto un nome prescelto; gli altri, i milioni di uomini, artefici in proposito della loro vita, il solo vero segno dell’epoca, sono come noi, assistenti al grande comizio sia che battiamo le mani sia che in silenzio nutriamo il dubbio.
(dai frammenti e appunti dai quaderni dell’Uva puttanella)
Il Procuratore. Al Procuratore. Le decisioni, alla fine, le prendeva lui, come poi tutti sapevano e io stesso ebbi modo di accorgermi: - Questo Gramasci, Antonio Gramsci – mi disse – Il Procuratore non lo ammette.
(dai frammenti e appunti dai quaderni dell’Uva puttanella)
Tutto si riduce ad una superfina camorra per questo popolo: lo stato, gli ordinamenti, le istituzioni, la fede. E subito mi chiedo su cosa i difensori del popolo cosiddetto apolitico possano far base per formargli una coscienza, se prima non si prevenga e si superi il dilagante scetticismo.
E’ legge storica che su ogni più disastrosa distruzione sopravvenga una più eccelsa costruzione, è la ragione del progresso, e il significato delle multiple ed inesauribili forze degli uomini.
Ora si vede che la storia fatta dagli uomini è un continuo fermento, che il Popolo sempre vive – anche nei disperati abbattimenti – sempre ricrea e crede.
Ora si vede che le tendenze politiche son tendenze politiche del popolo (chè forse i partiti non sono popolo?) – e che quando una tendenza fuorvia, erra anche il popolo.
(da una lettera a Tommaso Pedio del febbraio 1944)
“Né so altro cigolio
né vedo corruccio palese
se non che si denuda l’uomo
suono che gronda sudore.”
(da “Calore”, giugno 1942, in Margherite e rosolacci ed.1978, pag.21)
“Sradicarmi? La terra mi tiene
e la tempesta se viene
mi trova pronto.
Indietro
ch’è tardi
ritorno
a quelle strade rotte in trivi oscuri.”
(da “La terra mi tiene”, 1942, in Margherite e rosolacci ed.1978, pag. 22)