1799 – 1943 

la continuità di una storia generosa


Il partigiano "Gracco" ritorna, in occasione dell'anniversario delle Quattro giornate di Napoli (28 sett-1 ott 1943), sul 'filo rosso' Risorgimento/Resistenza/lotta per l'attuazione della Costituzione antifascista


Ritengo impossibile ricollegarci davvero a quei “due momenti”alti della storia napoletana, il 1799 e il 1943, senza aver coscientemente liberato il cuore e la mente da ogni opportunistico cedimento all’ indifferenza.

Poche volte, nella nostra storia nazionale, due date – come quelle, così lontane fra loro, ma punti terminali di intense e diverse vicende - sono state, nonostante tutto, accomunate anche dall’ essere - l’una insieme all’ altra - bersaglio preferito di sempre rinnovate ondate revisioniste spazianti dall’ invio all’ oblio alla cinica manipolazione della verità storica, dall’ anatema demonizzante alla pura e semplice negazione.

Tuttavia, una insospettabile riprova dello straordinario e permanente valore rivoluzionario di quelle due date, ci è paradossalmente offerto, anche in questi stessi nostri giorni. I nuovi conservatori e reazionari - evidentemente legati a un loro insuperato, insuperabile trauma del passato - sono tornati ad usare e ad abusare, ancora una volta - come massima invettiva da scagliare - contro gli avversari con i rituali intenti demonizzanti – all’ appellativo di “giacobino”.

Contro chiunque, nelle istituzioni e fuori da esse, si dimostri civilmente impegnato ad operare nella denuncia della loro illegalità e iniquità, del permanere, della loro organica tendenza restauratrice dei vecchi e nuovi privilegi, arroganze, impunità.

Il tutto, in sempre più intollerabile oltraggio alla ancora viva e insoddisfatta sete di giustizia, libertà, eguaglianza, democrazia di cui, malgrado indubbi, sudati progressi, soffre soprattutto la nostra società italiana.

In che cosa si concretizza, allora, la verità della continuità analogica delle due epocali pagine della storia di Napoli che qui stiamo rievocando?

Esse, anzitutto, smentiscono lo sprezzante luogo comune sulla pretesa, tradizionale passività – rassegnazione del popolo napoletano. Perchè questo, al contrario in entrambe quelle circostanze si è dimostrato capace di un eccezionale, autonomo slancio combattivo una volta percepita come minaccia l’ intrusione del nemico “esterno – interno” sebbene militarmente soverchiante. In proposito, appare appropriato il paragone fatto da Luigi Longo, comandante generale delle Brigate Partigiane “Garibaldi”  nella Resistenza e già combattente nelle Brigate internazionali in difesa della libertà del popolo spagnolo. Citando Cuoco, ma riferendosi alle Quattro Giornate – collegando la strenua resistenza opposta nel ’99 dai lazzari alle truppe francesi del generale Championnet, sincero giacobino, a quella che, nelle Quattro Giornate del ’43, oppose proletari, sottoproletari, intellettuali alle truppe naziste del colonnello Scholl, Longo ha riconosciuto, nel suo “un popolo alla macchia”: <<………come, allora, fu alla vista dell’ ingiustizia (presunta nel ’99, reale nel ’43) che il popolo di Napoli si infiammò, si rivoltò e si battè con disperato valore>>.

Una seconda riflessione è quella sulla indubbia, radicale evoluzione di gran parte del sottoproletariato urbano di Napoli che, abbandonate le posizioni assunte nel 1799, con l’ incosciente e inconsapevole scesa in campo in difesa dei suoi stessi sfruttatori (classi nobili ed ecclesiastiche feudali e monarchia assolutista), attraverso il coinvolgimento nelle successive vicende risorgimentali e il conseguente sviluppo economico e industriale del Paese, si trasforma, già prima della ventennale lotta contro la dittatura fascista e della II Guerra Mondiale, in nuova avanguardia proletaria dotata di una forte coscienza politico-sociale. Tanto, appunto, da mostrarsi soggetto catalizzatore decisivo nella battaglia insurrezionale che sconvolgerà Napoli e avendo, stavolta, al proprio fianco quella parte dei ceti medi acculturati e patriottici, un tempo ormai lontano erroneamente considerati nemici e che, a loro volta, hanno rotto con la scelta controrivoluzionaria di diserzione e peggio dei vertici militari monarco-fascisti e con l’ opportunismo attendista degli apparati burocratici.

C’e’, inoltre, un comune aspetto che collega la breve intensa vita della Repubblica napoletana a quella della Resistenza anti-nazifascista. Esso prova, in modo inequivocabile, l’ effettiva esistenza del “filo rosso” esalta, in un processo di ideale continuità, le due vicende storiche pur così diverse nel loro manifestarsi epocale e, soprattutto, nel loro divergente epilogo: una tragica sconfitta per la prima, una vittoria carica di speranze per la seconda.

Questo elemento comune e’ rappresentato proprio dalla centralità che nell’ una e nell’ altra vicenda, assume la parola “resistenza”, addirittura formalmente inserita come “dritto” (diritto) del Progetto di Costituzione della Repubblica napoletana. A questa parola chiave il Progetto dedica, infatti, l’ intero articolo 9. Il diritto di resistenza è sancito come garanzia, per ogni uomo, del “libero esercizio delle proprie facoltà” contro la tirannide (oggi la chiameremmo “dittatura”) esemplificata in quel testo, nelle forme di potere in cui essa si esprimeva prevalentemente all’ epoca e, cioè, come “autorità perpetue ed ereditarie”.

Un' ultima, doverosa considerazione comparativa di continuità va fatta sul grande, storico contributo dato da Napoli alla formazione e al progresso dell’ Italia contemporanea. Infatti, nel 1799, due secoli orsono, fu proprio la Repubblica “giacobina” napoletana a formare e temprare,  nel fuoco della lotta, centinaia di quadri politici e militari devoti alla causa dell’ unità e dell’ indipendenza nazionale e a consentire, altresì, l’ acquisizione di esperienze e di più chiari obiettivi politico-ideali indispensabili per alimentare la successiva, travagliata fase risorgimentale. E nel 1943, poco più di mezzo secolo fa, sarà nuovamente Napoli a dare alla nostra rivoluzione resistenziale, nazionale, antinazifascista l’ iniziale impronta di insurrezione popolare e partigiana che consentirà, all’ indomani del “25 Aprile”, di mantenere le condizioni politiche necessarie per assicurare la nascita della Repubblica italiana e la promulgazione della sua Costituzione fondate “sul lavoro”.

Del tutto fuori luogo, perciò, l’ osservazione di quanti hanno inteso soffermarsi in una inaccettabile ottica riduttiva sul carattere eminentemente “spontaneo” dell’ insurrezione delle Quattro Giornate, quasi in trasparente, assurda contrapposizione alle insurrezioni organizzativamente e politicamente più avanzate realizzate, nell’ aprile ’45, nelle grandi città industriali del Settentrione, ma ad un anno e mezzo dall’ inizio della Guerra di Liberazione.

Illogica e pretestuosa, dunque, quella sottolineatura del momento e, in primo luogo, da un punto di vista storico generale, la “spontaneità” popolare quando risulti espressione di sentimenti ampliamente condivisi dalla collettività e capaci di spingere sue significative aliquote alla lotta e al sacrificio, rappresenta, la più autentica garanzia, non solo dell’ insopprimibile, primigenio potere di sovranità di cui, appunto, è titolare esclusivo ogni popolo, ma anche degli stessi ideali democratici di libertà, uguaglianza, fratellanza divenuti, ormai, patrimonio irrinunciabile dell’ intera umanità.

Angiolo Gracci, "Gracco"

 


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