IL PARTITO- Linea
Rossa
(nr.12, luglio-agosto 1999)
UN PAESE DISTRUTTO
Economia allo sfascio, disoccupazione
alle stelle: la Jugoslavia oggi
di Vittorio Bonanni
|
“Hanno creato un deserto e la chiamano pace”. Mai frase è stata
più adatta per descrivere la Jugoslavia dopo gli oltre due mesi
di bombardamento della NATO. L’economia del paese, già in crisi
prima del conflitto, è ora praticamente inesistente.
Come ha riportato il giornale francese Liberation il 5 giugno scorso
in un lungo servizio sulla ricostruzione, i bombardamenti della NATO hanno
penato per ridurre alla ragione l’esercito di Milosevic ma, al contrario,
hanno rapidamente annullato l’economia del paese balcanico. Cinquanta ponti
cruciali per gli scambi commerciali non solo della Jugoslavia ma di tutta
la regione sono stati distrutti completamente; la stessa fine hanno fatto
le raffinerie, strade, aereoporti, la maggior parte delle industrie pesanti.
I circuiti commerciali sono stati disorganizzati completamente e il paese
è isolato.
“La ricostruzione delle infrastrutture economiche jugoslave sarà
un compito considerevole e costerà decine di miliardi di dollari”
ha avvertito la commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa
prevedendo che l’assistenza del Fondo Monetario Internazionale e della
Banca Mondiale dovrà essere gigantesco. A rendere chiaro lo scenario
di Belgrado e dintorni arrivano le parole di Daniela Heimerl, specialista
dei Balcani: “Si diceva prima dei raid della NATO che i tre anni di sanzioni
economiche applicate dal 1992 al 1995 alla Jugoslavia avevano riportato
l’economia del paese ai livelli del 1968 e che soltanto nel 2015 si sarebbe
tornati al livello del 1990. Si può immaginare quale può
essere ora la situazione”.
Ma alcuni servizi fondamentali non possono certo aspettare decenni.
L’inverno arriverà rapidamente e le centrali idroelettriche distrutte
dovranno essere rimesse in condizioni di funzionare rapidamente.
Enormi i disastri ambientali: i campi di grano della Voivodina,
ricchi anche di petrolio, rischiano di essere inquinati dall’oro nero che
dopo la distruzione delle raffinerie di Novi Sad e Pancevo esce senza controllo.
L’acqua manca quasi dappertutto a causa della distruzione degli acquedotti.
Come già detto la Jugoslavia è arrivata a questo drammatico
appuntamento con la guerra dichiarata dalla NATO in una situazione di grave
crisi economica. Nel 1997 l’inflazione viaggiava intorno al 50%, la disoccupazione
intorno al 27% secondo i dati ufficiali ma ufficiosamente era del 50%.
Secondo stime dei sindacati le bombe della NATO hanno aggiunto altri 600.000
disoccupati a qualli già esistenti. Gli operai jugoslavi sono già
i peggio pagati di tutta l’Europa. Dispongono di un salario medio che va
dai 750 ai 950 dinari (ci vogliono da sei a dieci dinari per fare un marco,
che vale circa 1000 lire). “Nel marzo del 1998 ci volevano due salari per
coprire i bisogni elementari di una famiglia di quattro persone” dice la
Heimerl. Rispetto al 1989, l’industria serba nel 1998 aveva già
perduto il 70% delle sue capacità e la ricchezza nazionale era stata
ridotta della metà. Il debito estero era di oltre undici miliardi
di dollari. I fondi delle privatizzazioni intraprese dal governo sono andati
nelle casse dello Stato, senza alcun vantaggio per l’economia del paese.
Insomma le bombe dell’Alleanza Atlantica hanno colpito un paese già
ridotto sul lastrico dal precedente embargo e dall’incapacità dei
suoi governanti.
Articolo pubblicato integralmente su Liberazione,
6 giugno 1999
ritorna al SOMMARIO del nr.12