del mosaico neocoloniale Intervento del Coordinamento Romano per la Yugoslavia |
Sono ormai molti anni che la guerra nei Balcani si protrae. Per comprendere
quello che e' successo e che continua a succedere
sono state spesso usate chiavi di lettura insufficienti e fuorvianti,
categorie scivolose, spesso estranee alla cultura democratica. A sinistra
le interpretazioni sono state del tutto contraddittorie, come se il nostro
pensiero critico si fosse "balcanizzato" anch'esso.
Il problema della interpretazione si ripresenta adesso con rinnovata
urgenza a causa del conflitto attualmente in atto nella provincia serba
del Kosmet (Kosovo e Metohija). Non potendoci piu' accontentare delle schematizzazioni
e della retorica, ci stiamo tutti abituando a prendere con beneficio d'inventario
le notizie, anche e soprattutto le piu' drammatiche: quelle sui profughi
e sulle stragi. Per reimpossessarci della facolta' di analisi e di critica
dobbiamo allora forse, finalmente, fissare alcuni criteri:
- Dobbiamo essere rigorosamente attenti a verificare ogni notizia
che ci arriva, qualora possibile, o almeno a notare
se qualcosa non quadra. Nel caso, dobbiamo capire chi e' che
muove la disinformazione, e perche'.
- Dobbiamo discernere quali sono davvero le parti in conflitto,
ma anche, se c'e', chi e' che sta giocando sulla pelle altrui.
- Dobbiamo inserire la vicenda-Kosovo nel contesto della distruzione
della Jugoslavia federativa e socialista.
1. LA DISINFORMAZIONE E' STRATEGICA
Partiamo dal primo punto. All'inizio di marzo del 1998 la questione
del
Kosovo e' piombata sulle prime pagine dei giornali a causa di una
strage: le forze di sicurezza jugoslave hanno attaccato e
letteralmente annientato un gruppo di militanti indipendentisti
albanesi asserragliatisi in un gruppo di case a Drenica, dopo aver
posto un ultimatum perche' si arrendessero. Nell'attacco e' morto
il leader guerrigliero Jashari con alcuni componenti della sua
famiglia. Secondo i serbi, la strage fu causata dal fatto che Jashari
aveva impedito ai suoi di arrendersi e consegnarsi alla polizia.
A parte il balletto delle cifre sui morti, si tratto' certo di un
grave episodio. Ma curiosamente gia' da parecchie settimane la
stampa dava ad intendere che stesse per succedere qualcosa di grosso.
Eppure quello era solo il culmine di una serie di azioni e reazioni:
infatti almeno dal 1995 e' attiva in Kosovo una struttura militare
che si definisce "Esercito di Liberazione" (UCK) la quale ha cercato
in tutte le maniere di far salire la tensione tra la popolazione
albanese da una parte, la popolazione serba e le forze di sicurezza
dall'altra. Attentati contro luoghi pubblici frequentati dai serbi,
agguati contro militari, polizia e "collaborazionisti" albanesi
(funzionari pubblici o esponenti di partiti politici a carattere non
"etnico") si sono susseguiti - ma sono stati riportati di rado dalla
nostra stampa.
Dai fatti di Drenica fino ad oggi il gioco perverso dei media si e'
ripetuto ed intensificato: scontri a fuoco spacciati per "stragi a
sangue freddo contro i civili", notizie su fosse comuni inesistenti
e
silenzio stampa su fosse comuni reali, balletto di cifre sui profughi...
Di fronte a tutto questo si possono tenere due atteggiamenti: o
si pensa che sia solo un misto di incompetenza e partigianeria
soggettiva dei giornalisti, oppure si ipotizza una strategia.
In effetti se il "verificatore" OSCE che rilascia dichiarazioni
tanto clamorose quanto false sulla strage di Racak (gennaio 1999) e'
un
vecchio falco della politica USA in America Latina - uno degli
organizzatori dei "Contras" nicaraguensi e degli squadristi salvadoregni,
tanto per intenderci: William Walker - forse, dietrologie a parte,
qualche
perplessita' e' piu' che lecita.
Rivolgiamo il nostro sguardo all'indietro: dall'inesistente
"bombardamento di Lubiana" (luglio 1991), alle stragi di Sarajevo
capitate sempre "al momento giusto" (per impedire un accordo di pace,
per
imporre sanzioni contro Serbia e Montenegro, per invocare l'intervento
occidentale fino ai bombardamenti NATO), dagli "stupri etnici" fino
al
"cannoneggiamento di Dubrovnik" - di menzogne ne abbiamo collezionate
tante da far pensare davvero ad una strategia della tensione a mezzo
stampa, oltreche' attraverso il cecchinaggio ed i vili attentati contro
innocenti.
Il libro di J. Merlino "Le verita' jugoslave non sono tutte buone a
dirsi", citato anche da Fracassi nel suo "Sotto la notizia niente",
gia' nel 1993 rivelava l'esistenza e gli attori della strategia
della tensione rivolta contro la Jugoslavia (unitaria prima,
serbomontenegrina poi): dal punto di vista dei media e' stata
innanzitutto la Ruder&Finn Public Global Affairs a curare le
"pubbliche relazioni" delle Repubbliche secessioniste e
dell'autoproclamato "Governo del Kosova" di Ibrahim Rugova
2. UNA ACCURATA OPERA DI DESTABILIZZAZIONE
In quel libro il direttore della Agenzia raccontava sfacciatamente
in cosa consiste il suo lavoro e quali pressioni siano state
esercitate su settori influenti dell'opinione pubblica, a cominciare
dalle lobby ebraiche.
La Jugoslavia e' oggi smembrata in cinque parti. Eppure continuano le
pressioni per distruggere anche quello che ne rimane, vale a dire l'odierna
Repubblica Federale composta da Serbia e Montenegro. Certo è
innegabile
l'esistenza di un problema della minoranza albanese del Kosovo, che
è
diventato grave e cronico con il passare del tempo: si può discutere
sulla autonomia politica della provincia, cui nel 1989 sono state
tolte le prerogative dell'autonomia "speciale", fondata sulla
Costituzione del 1974 che ne faceva da ogni punto di vista, tranne
che da quello formale, la "settima Repubblica" della SFRJ. Sulla
questione vengono pero' generalmente dette molte cose non vere: non
esiste "apartheid" in Kosovo, perché e' normativamente garantita
l'autonomia amministrativa e culturale, il bilinguismo negli uffici
pubblici e nella scuola dell'obbligo. Se c'è separatismo etnico
questo è
dovuto alla politica di boicottaggio e non-collaborazione voluta dalla
leadership nazionalista di Rugova, politica che peraltro non tutti
gli
albanesi hanno praticato - e per questo sono magari oggi presi di mira
dall'UCK. La situazione in Kosovo dal punto di vista dei diritti non
è
diversa da quella in Vojvodina, dove pure esiste una consistente
minoranza ungherese, o nel Sangiaccato dove abitano molti slavi musulmani.
Il contrasto tra serbi ed albanesi in Kosovo e' stato scelto come
nuovo piede di porco per la destabilizzazione dei Balcani, da parte
di chi in tutti questi anni non ha fatto altro che gettare benzina
su ogni focolaio di tensione. "Il manifesto" dell'1/7/98 rivelava che
Klaus
Naumann, consigliere militare NATO per la Germania, descritto come
"l'uomo piu' decorato al mondo", ha fondato egli stesso la "squadra
speciale" dell'esercito tedesco che ha addestrato i pretoriani
dell'ex presidente Berisha, "ora impegnati in Kosovo nella guerra
contro i serbi nelle file dell'UCK. Pretoriani che hanno costituito
nel nord dell'Albania il centro logistico-militare di ogni azione
armata in Kosovo. Dall'Albania arriva, non smentito né fermato
da
nessuno, un fiume di armi e di volontari, alcuni dei quali nemmeno
si curano di cambiare la divisa dei corpi speciali"... Secondo
il giornale croato "Nacional", da quando nel 1996 Hans Jörg Gaider
e' a capo del servizio segreto tedesco BND gli agenti tedeschi
pullulano in Albania.
La vera "base" del secessionismo albanese, comunque, in questi
anni e' stata nel cuore dell'Europa: innanzitutto in Svizzera
ed in Germania. Kinkel stesso, ex-Ministro degli Esteri, trascinava
da una conferenza all'altra il signor Buhoshi, "premier"
dell'autoproclamato governo del Kosovo in esilio, che guarda caso
ha la sua sede a Bonn. I secessionisti in Germania vengono realmente
vezzeggiati. Eppure questo Bujar Buhoshi affermava testualmente
già nel marzo '97: ""I tempi sono cambiati. Non si può
più come
4 anni fa seguire ciecamente soltanto un uomo [Rugova] in un partito
- conferma Bujar Buhoshi, premier del governo del Kosovo in esilio,
medico urologo che fa la spola tra Svizzera, Germania e Albania -.
La situazione attuale non può durare a lungo... Il Kosovo è
sotto
occupazione e bisogna liberarlo". Le strutture parastatali ed i media
degli albanesi del Kosovo sono stati finanziati dalla emigrazione
all'estero, legata ai traffici di armi e droga, dalla Fondazione Soros
e da svariate organizzazioni "umanitarie". Il capo della CIA Tenet
e' di origine albanese: grazie a lui l'Albania e' diventata cruciale
per i piani americani nell'area. A ben vedere già il 24 gennaio
1997 su
"Il Piccolo" un articolo di Mauro Manzin segnalava l'esistenza, in
Albania vicino ad Elbasan, di un campo di addestramento per i miliziani
dell'UCK: "Motivati, ben armati (materiale soprattutto NATO dell'ultima
generazione), studiano le tecniche terroristiche dei colleghi dell'IRA
e
dell'ETA. Le loro prime vittime sono stati tre albanesi affiliati al
Partito socialista serbo di Milosevic (quindi traditori della causa
albanese) e il rettore dell'Università di Pristina (salvo per
miracolo)". Molte armi rubate dalle caserme albanesi durante i disordini
del '97 sono state portate clandestinamente in Kosovo per preparare
l'"exploit" del 1998.
Ci sono poi altri inquietanti e diretti legami tra l'UCK (e il "governo
in esilio" di Buhoshi) con Washington, attraverso l'influente
Albanian-American Civil League (AACL), un'organizzazione
degli albanesi emigrati in America che ha sostenuto attivamente
Berisha prima, durante e dopo la rivolta albanese, offrendo sostegno
a numerose iniziative dei nazionalisti albanesi della regione, come
per esempio l'organizzazione dell'Università "parallela" albanese
di Tetovo, in Macedonia. I legami non sono di poco conto: presidente
dell'AACL, che ha sede a New York, è Joseph Dioguardi, un deputato
americano stretto collaboratore del senatore Bob Dole... Cosicche'
il
2/3/1998 il "New York Times" pubblicava un'intervista ad un rappresentante
dell'UCK, e pian piano il gioco USA di appoggio al terrorismo si
faceva sempre piu' scoperto - fino alla visita di Holbrooke al
Quartier Generale UCK nel giugno scorso ed alla conferenza di
Rambouillet, quando la delegazione kosovaro-albanese era addirittura
guidata da membri dell'UCK, accompagnati da consiglieri (suggeritori?)
del calibro di Morton Abramovitz, in qualita' di rappresentante
dell'"International Crisis Group", lobby di pressione e disinformazione
legata a Soros, nonche' Marshall Harris e Paul Williams ex-funzionari
del Dipartimento di Stato, Filippo di Robilant ex portavoce di
Emma Bonino e rappresentante della "Coalition for International
Justice"...
Soros in persona, e Bob Dole, sono stati contattati dalla
Albright a fine febbraio perche' "intercedano" verso i settori piu'
radicali dell'UCK - quelli che rischiano di far sballare i programmi
americani perche' vogliono l'indipendenza subito. In effetti qualche
problemino questo UCK, nel quale sono arruolati anche mercenari
croati e fascisti di varia provenienza, lo deve aver creato pure alla
CIA che nel periodo della caccia ad Osama Bin Laden fece irruzione
nella rappresentanza UCK a Tirana evidentemente in cerca
di documentazione sui "mujaeddin" dopo la Bosnia impegnati anche
sul fronte del Kosovo ("The Times", 26/11/1998)... Sono questi i rischi
che corrono certi apprendisti stregoni!
3. DESTABILIZZAZIONE PERCHE'?
Veniamo al terzo punto. In Kosovo prosegue oggi lo squartamento di
un paese, uno squartamento deliberato e preparato nel dettaglio.
Il Congresso Usa il 5 novembre 1990, grazie ai buoni uffici
del solito Bob Dole, approvava la legge 101/513 che sanciva la
dissoluzione della Jugoslavia attraverso il finanziamento diretto di
tutte le nuove formazioni "democratiche" (secessioniste).
Poi venivano i riconoscimenti per le neonate repubblichette,
le forniture di armi e addestramento, i bombardamenti e, a poco a poco,
una crescente presenza NATO in Slovenia, Croazia, Bosnia e Macedonia.
Ha scritto Sean Gervasi nel 1996:
"...Le elezioni del 1990 in Serbia e Montenegro avevano mantenuto al
potere un partito socialista o socialdemocratico. Il governo della
Federazione restava pertanto nelle mani di politici che, pur cedendo
di volta in volta alle pressioni per le "riforme", si opponevano
pero' alla ricolonizzazione dei Balcani. E molti di loro si
opponevano alla frammentazione della Jugoslavia. La terza Jugoslavia,
formata nella primavera del 1992, disponeva di una base industriale
e di un grosso esercito: per questo il paese doveva essere distrutto.
Dal punto di vista tedesco, questa non era altro che la continuazione
di una politica portata avanti gia' dal Kaiser e poi dai nazisti. Una
volta
disintegrata e gettata nel caos la Jugoslavia, si poteva
incominciare a riorganizzare questa area centrale dei Balcani. La
Slovenia, la Croazia e la Bosnia-Erzegovina dovevano entrare nella
sfera di interessi tedesca. La Germania otteneva l'accesso al mare
sull'Adriatico e in prospettiva, se si fosse riusciti a piegare
totalmente i Serbi, al nuovo canale Reno-Danubio, una via d'acqua
che puo' trasportare navi da 3.000 tonnellate dal Mare del Nord al
Mar Nero. Le parti meridionali della Jugoslavia dovevano cadere in
una sfera di interessi americana. La Macedonia, che controlla gli
unici valichi tra est e ovest e tra nord e sud nelle montagne dei
Balcani doveva essere il centro di una regione americana. Ma la sfera
americana doveva includere anche l'Albania e, se si fosse riusciti
a
strappare quelle regioni alla Serbia, anche il Sangiaccato e il
Kosovo. Alcuni esperti americani hanno parlato anche dell'emergere
eventuale di una Grande Albania sotto tutela USA e turca,
comprendente una serie di staterelli musulmani, compresa se possibile
la Bosnia-Erzegovina, con accesso all'Adriatico..."
Ecco perche' la guerra fredda, mediatica e concreta (embargo, minacce,
terrorismo), contro cio' che resta della Jugoslavia prosegue incessantemente.
Una guerra scatenata prima contro la Repubblica Federativa e Socialista
usando i vari fascismi locali come intermediari, e proseguita poi
contro i serbi in quanto popolazione maggioritaria, quella che meno
di
tutte aveva interesse alla distruzione del proprio paese. Oggi la
Jugoslavia federale e' soggetta alle minacce NATO per essere l'unico
paese
dell'area balcanica indipendente e con una propria reale sovranita'.
Questa del "divide et impera" applicata in questi anni nei Balcani e'
la strategia che l'Occidente si riserva di applicare contro
tutta l'Europa dell'Est, per poter accedere alle enormi risorse
dell'Asia centrale. Si tratta di una strategia neocoloniale che
sarebbe colpevole e miope sottovalutare, e semplicemente stupido
nascondere dietro agli slogan sul pericolo della "Grande Serbia"
(qualcuno ci crede ancora?) e simili. Mentre la Macedonia e la Puglia
vengono attrezzate a diventare basi di lancio contro uno Stato
scomodo, noi non possiamo limitarci a scuotere la testa.
Coordinamento Romano per la Jugoslavia, marzo 1998