Ferdinando Dubla

 

Articolo: L'orizzonte oltre Eboli

[blog ottobre 2008]

 

 

 

 

 

L'ORIZZONTE OLTRE EBOLI

 

Per una riflessione culturale e sociologica sul nuovo meridionalismo e la rilettura di Gramsci

 

--- Ferdinando Dubla-Massimo Giusto ----+

 

Chi vada oggi a visitare la casa ove fu confinato Carlo Levi, nel 1935-36, ad Aliano, in provincia di Matera, non potrà fare a meno di avvertire che il tempo e il luogo della memoria sollecitano emozioni forti: lì sono concentrati ingredienti indispensabili per ripensare ai temi di una “questione meridionale” prima ancora che in termini politici, economici e, in generale, sociali, in termini più propriamente culturali. Ed è in questa dimensione, forse, che se ne riscopre, con partecipazione cosciente e passionale insieme, l’attualità stringente.

La “questione meridionale” come specifico problema del Mezzogiorno d’Italia, risente di una necessaria rimodulazione in quest’epoca  di globalizzazione imperialista.

Essa è ancor più di ieri incomprensibile senza la dimensione culturale e l’analisi sociologica, e meridionalismo si coniuga certamente come grande “questione” nazionale, ma la sua vera dimensione è internazionale e sta, marxisticamente, nella divisione mondiale del lavoro, soprattutto se ci si sofferma su quei fenomeni tipici, in  questo pezzo di Italia così simile alle tante realtà del sud del mondo, in cui è chiara e manifesta  una società di consumo e di spreco a cui non corrisponde nè un’ organizzazione sociale, degna di questo nome,  nè, tanto meno, reale attività produttiva.

I processi della modernizzazione forzata del Mezzogiorno, conclusisi  alla fine degli anni ’70, hanno determinato una trasformazione del sud Italia  in una sorta di coesistenza tra una molteplicità di modelli di sviluppo e tenace persistenza di arretratezza economica e sociale.

Ed è proprio per questo che  è necessario, oggi,  precisare meglio la natura della società del Mezzogiorno  e i suoi "limiti" allo sviluppo, proprio come nuova impostazione di studio della non risolta questione meridionale.

E’ ritenuto in modo sostanzialmente unanime che i processi decisionali ed attuativi messi in essere per uno sviluppo socio-economico del Mezzogiorno, ai vari livelli, siano stati generalmente caratterizzati dall’immobilismo, dall’assenza di innovazione, dalla frammentazione del consenso e dalla sclerosi amministrativa.

L’incapacità di trovare posizioni univoche sul piano programmatico ha persino condotto a formulare l’ipotesi, radicale, della inesistenza di una vera e propria volontà politico-istituzionale, forse a fronte della mai confessata esigenza di preservare un così formidabile bacino elettorale,  facendo leva sulle forti difficoltà che attraversa il nostro sistema politico ed il funzionamento della macchina amministrativa.

L’insieme dei fattori delineati e i  suoi pesanti effetti sociali, rileva che la politica italiana è  stata caratterizzata dal ruolo determinante assolto da un modello strutturale che in sociologia suole definirsi di party government (in sostanza, l’oligarchia politica espressione dei poteri forti), che ha sostanzialmente condizionato in misura diversa i vari livelli decisionali ed attuativi per lo sviluppo del Mezzogiorno, sia sui fattori della domanda di lavoro (comportamento e strategie delle imprese), che dell'offerta (eredità della famiglia, comportamenti soggettivi e delle istituzioni formative). 

L’assenza di un substrato politico-culturale  e di conseguenza di robusti  fondamenti teorici, producono, in un qualsiasi contesto sociale, in qualsiasi parte del mondo, inevitabilmente una condizione che potremmo definire di  “incoscienza collettiva” che irrazionalmente esplode in scoppi imprevisti. Nel Mezzogiorno la ribellione politica è da tempo lo strumento collaudato per ampliare la quota dei trasferimenti e degli investimenti pubblici, puntando brutalmente all'allargamento del consumo assistito senza mostrare alcun interesse al cambiamento  dei gruppi dirigenti  che spesso  incredibilmente sono alla testa delle ribellioni stesse.

Affrontare le problematiche inerenti lo squilibrio economico, i fenomeni culturali  e le contraddizioni gravi in essere in questo nostro angolo di mondo, costringe ad una nuova consapevolezza, una elaborazione politica, che  favorisca innanzitutto  il superamento della disgregazione sociale per la valorizzazione di quel  capitale umano, importantissimo per la crescita e lo sviluppo sociale nel Mezzogiorno d'Italia.

wLe problematiche del sottosviluppo in Italia e più in generale nei Paesi del Sud del Mondo hanno una comune matrice di fondo sia sul piano storico che in quello più squisitamente economico-sociale;  la stessa categoria di meridionalismo, che abbraccia le terre del Mezzogiorno d’Italia, oggi abbraccia la sorte di tre quarti dell’umanità intera. Nondimeno, oggi più di ieri, ha bisogno della rilettura (non della re-interpretazione) della particolare riflessione di Antonio Gramsci. Gramsci non è solo il teorico politico dell’alleanza contadini del Sud-operai del Nord: Gramsci ci ha insegnato che una delle sedimentazioni culturali del Mezzogiorno è decisiva per il riscatto delle ‘plebi’, e cioè il ruolo degli intellettuali.

Il ruolo degli intellettuali nella grande periferia «a Sud» della cittadella «a Nord», è quella di acconsentire al disegno o di sparire, essere annientati nel proprio ruolo sociale. La fine dell’intellettuale è l’orizzonte al quale mira la strategia neo-imperialista dominante: via gli intellettuali «coscienza critica» della sempre più stretta democrazia del capitale, azzeramento della “organicità” a un blocco storico-sociale: l’unica possibilità per riappropriarsi del ruolo è essere cantori delle decisioni prese dalle oligarchie economiche e politiche.

L’analisi di Gramsci, concepita nelle prigioni mussoliniane dove era stato rinchiuso fino al 1934 (morirà per gli stenti patiti nel 1937) nei Quaderni, così come in precedenza nello scritto del 1926 che non potè mai terminare, Alcuni temi della questione meridionale, esaltava la necessità di una reale autonomia e indipendenza delle masse subalterne e, tra esse, dei contadini del Mezzogiorno; ma una reale autonomia e indipendenza che si conquistano nel processo storico di emancipazione e non nei retaggi funzionali al potere delle classi dominanti: altrimenti la strada sarebbe stata sempre quella di un ribellismo spontaneistico e inconsulto, destinato direttamente o indirettamente a perpetuare la subordinazione. Una subordinazione sociale che si trasformava, strutturalmente, in soggezione culturale.

Il cervello e il cuore: le armi dell’impegno, della lotta e della scrittura. L’intellettuale gramsciano che non solo sa o comprende, ma ‘sente’. Sedere sulla pietra, “volevano per il mio bene che spendessi altrove il cervello e il cuore, mentre qui, servo degl’ignoranti, dei rivoltosi, degli scontenti, mi sciupavo i nervi e le inestimabili energie. (..) era scomodo sedere sulla pietra o addossato ai sarmenti, o sulla terra nuda, che aveva la crosta sottile.” (Rocco Scotellaro, Uva Puttanella, ed. Laterza, 1955), ma con la consapevolezza sempre crescente di costruire una nuova speranza e di doverla costruire non attendendo passivamente che passi la notte e sorga l’alba, ma di costruirla collettivamente con i soggetti della propria terra, così povera e asservita, ma ricca anche di quelle possibilità che il ‘giorno nuovo’ richiede.

Il revisionismo storico-politico, vecchio e nuovo, tenta di espropriarci Gramsci (le sue categorie analitiche, egemonia, blocco storico, riforma intellettuale e morale) proprio nel momento in cui ne avremmo più bisogno. Proprio quando l’analisi meridionalista gramsciana ritrova la sua attualità nel crudo andamento della temperie della guerra del capitale contro il lavoro. Che non è l’inizio ottocentesco della lotta di classe nella società industrializzata, ma il tramonto di un imperialismo sfruttatore dei popoli del Sud che si alimenta della guerra.

In una sua forma “separata”, dunque, la questione meridionale non esiste in quanto tale: questo è il tema dominate della riflessione di Gramsci dall’ Ordine Nuovo ai Quaderni, per una trasformazione rivoluzionaria che il Risorgimento italiano non aveva compiuto e non avrebbe potuto compiere: quindi il nuovo intellettuale sarà organico, organico cioè al progetto di riscatto sociale delle masse subalterne, che ritroveranno anche nel campo culturale la loro indipendenza e autonomia elaborando folclore e senso comune a un livello più alto, funzioni di liberazione e coscienza di classe diffusa. Il compito della “riforma intellettuale e morale” sarà degli intellettuali organici, non cristallizzati, che la determineranno e organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue funzioni pratiche, addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il partito è sintesi attiva di questo processo: intellettuale collettivo di avanguardia, la direzione politica di classe lotterà per l’egemonia.

La volontà di una trasformazione che sia liberazione ma non cancellazione delle radici. Perché quelle radici costituiscono lo stesso humus di un’identità finalmente liberata dalla soggezione. E lo stesso ruolo di intellettuale impegnato è un ruolo «organico» ad un progetto di definitiva emancipazione sociale che può conservare i connotati salienti della propria cultura proprio perché liberati dal servaggio e inseriti in una non malintesa modernizzazione: l’alba sempre nuova ha una notte antica.

 

+ scritto per Rinascita della Sinistra e inviato a Resistenze.org

 

 

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