"LAVORO POLITICO" E IL PCI
Alle origini dell'esperienza di Lavoro Politico e del PCd'I-linea rossa la scoperta della necessita' della teoria e dell'importanza dell'organizzazione si tradusse in una critica al PCI in una chiave eminentemente ideologica
----- Giancarlo Aresta -----
Un punto di riferimento teorico per tutta una serie di intellettuali delle nuove generazioni era stato nei primi mesi del 1969 la rivista veronese «Lavoro politico», che introduceva tra i giovani una lettura del leninismo tendente a fissarne gli insegnamenti universali in una definizione del partito come partito di quadri e nella concezione del processo rivoluzionario come lotta del proletariato per abbattere e liquidare le strutture dello stato borghese.
«Lavoro politico» partiva da questa visione della concezione leninista del partito e della lotta di classe per cogliere un momento di rottura profonda nella tradizione del movimento comunista italiano, con ai due poli da una parte il processo di bolscevizzazione del Partito comunista d'Italia, avviato da Gramsci nel '24, dall'altra la svolta di massa di Salerno dell'aprile del 1944. Ci si rifaceva cioe' piu' che al Gramsci geniale teorico della politica di alleanze in Italia, più che al Gramsci che studiava le radici sociali del fascismo, al Gramsci che attrezzava organizzativamente il partito alla lotta clandestina. Così «Lavoro politico» coglieva non la continuità politica nella concezione del partito come strumento di unificazione del proletariato e della sua egemonia sugli strati intermedi della societa', partito che fa politica e non solo propaganda, non lo sviluppo unitario nell'analisi del fascismo e della societa' italiana da Gramsci a Togliatti; ma la diversita' di due modelli di organizzazione che venivano visti come irrimediabilmente connessi a scelte strategiche contrapposte e antitetiche. Se il partito di Gramsci era il partito che ricalcava il modello bolscevico, era il partito della rivoluzione italiana, il partito di Togliatti era considerato il frutto di un momento di profonda revisione dei principi leninisti dell'organizzazione e percio' diventava il partito della «collaborazione di classe» e della «pace sociale». Questo profondo schematismo trovava pero' terreno fertile tra i giovani per la loro scarsa conoscenza della storia del movimento comunista, per il loro distacco dal Pci, che non era riuscito a rispondere con immediatezza alla domanda di direzione politica e di organizzazione che avevano espresso le lotte studentesche, per la visione insurrezionale della rivoluzione che era propria di tutta quella generazione di militanti che porta il nome di « generazione del Vietnam », perche' a queste interpretazioni dei problemi della lotta di classe in Italia facevano eco le ben piu' autorevoli valutazioni del Partito comunista cinese. Se infatti « Lavoro politico » forniva una chiave di lettura della storia del Pci, il testo sul quale si era consolidata la critica al "revisionismo" del Partito comunista e la convinzione della necessita' di ricostruire l'avanguardia di classe in Italia "come Gramsci aveva fatto nel 21" era l'opuscolo "Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi" elaborato dal PCC dopo il X Congresso dei comunisti italiani. In base alla generalizzazione di alcune argomentazioni contenute in questo testo trovava alimento la convinzione che il movimento comunista internazionale era inevitabilmente spaccato, e che compito dei "veri comunisti" italiani era lavorare per fornire al proletariato l'alternativa rivoluzionaria al 'revisionismo' del Pci, raccogliendosi attorno alle bandiere del marxismo-leninismo, tenute in pugno dal Partito comunista della Cina. Così un gruppo di militanti arrivava alla scelta di entrare nel Partito comunista d'Italia (marxista-leninista), linea rossa, nato da una scissione avvenuta nel novembre 1968 nel Pcd'I (m-l), costituito a Livorno nel 1966 attorno ad un gruppo di ex-comunisti, usciti dal PCI in seguito all'VIII Congresso.
Il Pcd'I, linea rossa, giustificava questa scissione come lotta contro un gruppo dirigente malato, in applicazione degli insegnamenti della Rivoluzione culturale cinese in Italia, e affermava che da questa lotta sarebbe derivato lo sviluppo di una linea di massa, prima sabotata da dirigenti settari e incapaci.
- A Bari questa organizzazione era rappresentata da uno studente tarantino, che aveva avuto un peso molto scarso nelle agitazioni degli anni precedenti, ma entrato nel comitato centrale del Pcd'I - linea rossa perche' protagonista della scissione in Puglia, si vantava dirigente di un partito che contendeva all'altro ramo dell'organizzazione da cui si era scisso il riconoscimento da parte del Partito del lavoro di Albania e del Partito comunista cinese.
Questi legami internazionali rivendicati dal gruppo avevano un ruolo decisivo nell'orientare verso di esso una ventina di quadri del movimento, alcuni provenienti dal Psiup, altri dalla FGCI e altri dall'APM, che ormai si era sciolta, tutti alla ricerca di una milizia politica che esprimesse il loro legame con le piu' significative tradizioni del movimento comunista internazionale e uniti dal rifiuto critico dello spontaneismo, che aveva caratterizzato larga parte della propria esperienze e a cui veniva ricondotta la responsabilita' di tutti gli insuccessi e di tutti i limiti della propria iniziativa di massa. Il superamento dello spontaneismo, nato dai "Quaderni rossi" come dalla Luxemburg, da una lettura antileninista del 'marxismo' come dalla pratica del movimento studentesco, approdava così, fuori della storia del movimento comunista italiano, alla scelta di un 'partito' che si proponeva come stato maggiore del proletariato, organizzazione fondata sui principi, che con la sua sola presenza restituiva al proletariato la sua autonomia di classe e poneva all'ordine del giorno il problema del potere.
La discriminante tra veri rivoluzionari e falsi rivoluzionari nell'attuale epoca storica diventa la scelta di ricostruire sulla base del l'esperienza storica della lotta di classe del proletariato mondiale cioe' sui principi del marxismo-leninismo, il partito marxista leninista fondato sul centralismo democratico. Il partito infatti definisce la classe operaia come forza politica indipendente individuandone il suo obbiettivo politico fondamentale, la dittatura del proletariato *
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* Dal Documento politico del Fronte antimperialista d'Italia, pp. 8-9.
tratto da G.Aresta, PCI, Mezzogiorno e intellettuali, De Donato ed.
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