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 "LAVORO POLITICO" E IL PCI

 

 

 

   Alle origini dell'esperienza di Lavoro Politico e del PCd'I-linea rossa la scoperta della necessita' della teoria e dell'importanza dell'organizzazione si tradusse in una critica al PCI in una chiave eminentemente ideologica

 

----- Giancarlo Aresta -----

 

  

Un punto di riferimento teorico per tutta una serie di intellettuali delle nuove generazioni era stato nei primi  mesi del 1969 la rivista veronese «Lavoro politico», che introduceva tra i giovani una lettura del leninismo tendente a fissarne  gli insegnamenti universali in una definizione del partito come partito di quadri e nella concezione del processo rivoluzionario come lotta del proletariato per abbattere e liquidare le strutture dello stato borghese.

Il Pcd'I, linea rossa, giustificava questa scissione come lotta contro un gruppo dirigente malato, in applicazione degli insegnamenti della Rivoluzione culturale cinese in Italia, e affermava che da questa lotta sarebbe derivato lo sviluppo di una linea di massa, prima sabotata da dirigenti settari e incapaci.

- A Bari questa organizzazione era rappresentata da uno studente tarantino, che aveva avuto un peso molto scarso nelle agitazioni degli    anni  precedenti, ma entrato nel comitato centrale del Pcd'I - linea rossa perche' protagonista della scissione in Puglia, si vantava   dirigente di un  partito  che contendeva all'altro ramo dell'organizzazione da cui  si era scisso il riconoscimento da parte del Partito del  lavoro di Albania e del Partito comunista cinese.

Questi legami internazionali rivendicati dal gruppo avevano un ruolo decisivo nell'orientare verso di esso una ventina di quadri del movimento, alcuni provenienti dal Psiup, altri dalla FGCI e altri dall'APM, che ormai si era sciolta, tutti alla ricerca di una milizia politica che esprimesse il loro legame con le piu' significative tradizioni del movimento comunista internazionale e uniti dal rifiuto critico dello spontaneismo, che aveva caratterizzato larga parte della propria esperienze e a cui veniva ricondotta la responsabilita' di tutti gli insuccessi e di tutti i limiti della propria iniziativa di massa. Il superamento dello spontaneismo, nato dai "Quaderni rossi" come dalla Luxemburg, da una lettura antileninista del 'marxismo' come dalla pratica del movimento studentesco, approdava così, fuori della storia del movimento comunista italiano, alla scelta di un 'partito' che si proponeva come stato maggiore del proletariato, organizzazione fondata sui principi, che con la sua sola presenza restituiva al proletariato la sua autonomia di classe e poneva all'ordine del giorno il problema del potere.

La discriminante tra veri rivoluzionari e falsi rivoluzionari nell'attuale epoca storica diventa la scelta di ricostruire sulla base del l'esperienza storica della lotta di classe del proletariato mondiale cioe' sui principi del marxismo-leninismo,  il partito marxista leninista fondato sul centralismo democratico.  Il partito infatti  definisce la classe operaia come forza politica indipendente individuandone il suo obbiettivo politico fondamentale, la dittatura del proletariato *

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Dal Documento politico del Fronte antimperialista d'Italia, pp. 8-9.

 

tratto da G.Aresta, PCI, Mezzogiorno e intellettuali, De Donato ed.

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