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 IL COMPAGNO ENRICO BERLINGUER

 

 

  Vogliamo ricordare Enrico Berlinguer, il compagno Enrico Berlinguer, il comunista che definì il gesto, già ai suoi tempi da più parti evocato, di abbandonare la propria identità e con essa la propria funzione “il gesto suicida di un’idiota”

 

 

----- Paola Pellegrini -----

 

 

 

08 Giu 2006

 

“La nostra via al socialismo scaturisce innanzitutto dalla nostra storia nazionale e aderisce alle nostre condizioni nazionali.... Siamo pienamente impegnati per affermare il carattere laico del nostro partito e della nostra lotta, per far avanzare nelle nostre file e tra milioni di donne e di uomini la conoscenza della realtà e il senso dei processi storici come travaglio complesso, intricato, contraddittorio. Ma questa visione realistica e critica del volgere della storia non ci porta certo a ridurre la nostra battaglia alla semplice correzione dei mali dell’assetto sociale esistente. Ci liberiamo dai miti, ma non cadiamo in un piatto empirismo. E tendiamo ad impegnarci con tutte le nostre energie nella lotta per la vittoria di una causa che ha in sé gi ideali ed i valori più positivi i per la società e per I’uomo. Questa concezione critica, scientifica e, al tempo stesso, di ampio respiro ideale è propria della tradizione più feconda e originale del marxismo e del movimento operaio in ltalia. Essa ha il suo punto di riferimento iniziale nella speculazione teorica e nell’insegnamento politico di Antonio Labriola, che ha compiuto una grande opera per liberare il movimento operaio e il pensiero marxista dalle deformazioni del positivismo e del determinismo. Successivamente Gramsci e Togliatti, continuando I’opera di Labriola e mettendo a frutto con genialità la lezione di Lenin, ci hanno educato a comprendere in modo nuovo la nostra storia nazionale, e a saperci confrontare con le tradizioni migliori e con le correnti più vive della cultura italiana, europea e mondiale, a pensare e a lavorare per una nuova strategia della rivoluzione in Italia e in occidente e a saper organizzare un partito comunista di tipo nuovo, valido strumento di questa strategia.” Enrico Berlinguer

 

Forse per molti questa lunga citazione di Berlinguer apparirà stonata, tanto si sono ormai tutti abituati, anche gli ex comunisti, anzi loro più di tutti gli altri, a ricordarlo solo nei termini del "revisionista" ante litteram, che tagliò con la storia e con le radici del Pci, attraverso lo strappo con l'URSS, ritrovare la sua identità di comunista. segretario di un partito comunista di cui rivendica la funzione di rappresentanza delle classi lavoratrici. Certo, molte delle scelte operate da Berlinguer vanno sottoposte, come quelle di qualunque figura rilevante della storia, al vaglio critico ed alla riflessione. E’ un compito che dovremo affrontare, anche per uscire dall’agiografia, che spesso, in termini di comodo, oscura poi le vere questioni, le ombre ma anche le luci vere, quelle che in realtà oggi, nella deriva revisionista, quella ormai del tutto inverata, e nel quieto vivere di una classe dirigente, anche a sinistra, del tutto accomodata nelle logiche della governabilità e dell’alternanza, non ha certo molta voglia di andare sul serio scavare l’eredità berlingueriana. Io sono cresciuta nel PCI di Berlinguer, in quello che ancora, per alcuni anni, rimase un partito che ti abituava a fare i conti con tutta la nostra storia nazionale e a trovare nella classe operaia, nei lavoratori, nelle masse popolari la nuova classe («classe generale» aveva detto Marx), cioè la nuova classe dirigente per il nostro paese. Sono cresciuta nel PCI che a noi, giovani comunisti italiani negli anni ‘70, somministrava, per fortuna nostra, robuste e rigorose lezioni sulla storia e sulla funzione dei comunisti, dal Gramsci dei «Quaderni », dal Togliatti della linea di Salerno e della Costituente., accompagnandoci nella conquista intellettuale di una verità - non di quelle dogmatiche ma una verità storica – quella per cui qualsiasi rivoluzione, per vincere e progredire ha bisogno dell’unità, e del più ampio coinvolgimento di un insieme di forze diverse, protagoniste insieme della lotta e dell’opera di trasformazione e di avanzamento. Il nuovo Stato repubblicano e democratico nasce infatti avendo a fondamento quelle forze proletarie e lavoratrici della città e della campagna, quelle masse popolari comuniste, socialiste, cristiane, quei partiti democratici e antifascisti di matrice marxista, di derivazione laica e risorgimentale, di ispirazione cristiana (il Partito comunista, il Partito socialista, il Partito repubblicano, il Partito d’azione, il Partito democratico cristiano) che erano stati esclusi, estromessi dalla fondazione e costruzione dello Stato unitario e dalla sua vita successiva per oltre ottant’anni. Ecco la nostra Costituzione, ecco la novità storica travolgente del nostro secondo 900: le sorti del paese, nella sostanza, passarono di mano, il rivolgimento profondissimo, di portata storica, e alle radici stesse dello Stato e delle istituzioni – con il crollo del fascismo e con il moto unitario della Resistenza che lo spazzò via. Contro questo rivolgimento e contro la nuova, possibile storia, segnata anche dai comunisti, si sono mosse le forze più oscure e aggressive della reazione interna ed internazionale, con gli esiti che oggi, tutti noi conosciamo. Non è un caso che sempre, quando si parla di Enrico Berlinguer si parla anche di Aldo Moro e del loro comune, seppur diverso nei fini propri di ognuno, tentativo di spezzare i vincoli allo sviluppo della nostra democrazia difficile. Ma di questo parleremo in un'altra occasione. Oggi vogliamo ricordare Enrico Berlinguer, il compagno Enrico Berlinguer, il comunista che definì il gesto, già ai suoi tempi da più parti evocato, di abbandonare la propria identità e con essa la propria funzione “il gesto suicida di un’idiota”. Oggi serve anche a cercare di capire quali profonde trasformazioni, ma anche quali tragiche amnesie, si siano aperte nella nostra società, e nelle forze politiche, anche della sinistra in Italia, e a seguito di quali sconfitte dell’insieme del movimento operaio italiano ed europeo (e l’Europa, si sa, comprende anche i paesi un tempo oltrecortina!) si è aperto il varco all’attuale disordine mondiale, fondato sulla guerra e sull’arbitrio di un capitalismo quasi del tutto privo di condizionamenti. La rimozione che in questi anni, di fatto, ha offuscato la figura di Berlinguer non riguarda del resto solo la accanita volontà di cancellare le tracce del passato comunista, peraltro vistose anche in un partito come i DS. La polemica sulla sua sconfitta culturale e politica, in merito alla questione morale, definita battaglia di retroguardia moralistica e antimoderna, ha piuttosto accompagnato, negli anni scorsi, l'evidente sforzo di prendere le distanze dalla stessa vicenda di "mani pulite", anche in vista, perché non ricordarlo, di quelle larghe intese che videro lo svolgersi di una strategia di medio periodo di intesa con Forza Italia e di rottura a sinistra. Negli anni scorsi questa strategia (oggi necessariamente abbandonata, seppur ogni tanto se ne avvertono gli echi...) ha avuto bisogno anche di ridimensionare Berlinguer, che dello slogan "mani pulite" fu l'artefice fortunato: con esso vinse le amministrative del 1975 e le politiche del 1976. La "diversità" comunista rivendicata da Berlinguer si raccoglieva essenzialmente nel modo di porsi di fronte alla questione morale. Questa "diversità" è oggi lontana dalle ispirazioni di tanti, nei  gruppi dirigenti del nostro paese, da tempo allineati, pur con le dovute eccezioni, ad una idea di "normalità": un paese normale, una giustizia normale, una polizia normale. una riforma della Costituzione "normale". Parola d'ordine tranquillizzante! Berlinguer è stato un uomo politico amato, molto amato, e stimato anche dagli avversari, a differenza di quello che accade oggi alla grande maggioranza dei dirigenti politici, sapeva parlare al cuore della gente, sapeva come entrare in comunicazione con le ansie, le speranze, la vita delle persone. Ma non era affatto un demagogo, né era aduso a quella politica spettacolo che già, nei suoi anni, si affacciava sulla scena della politica italiana: vi ricordate i congressi craxiani, le adunate del Midas con i nani, le ballerine, e le concessioni a Mediaset? Bene, c’è un motivo, semplice, ma di fondo: in Berlinguer, ed in gran parte di un gruppo dirigente comunista che è purtroppo quasi del tutto scomparso, vivevano -e si trasmettevano- «valori ». Per valori io credo si debba intendere principii, ideali, sentimenti, finalità. Ebbene, valori come la libertà e la democrazia; l’indipendenza, la sovranità, l’unità politica e morale della nazione; la sovranità popolare e la distinzione e divisione dei poteri: la certezza del diritto e l’uguaglianza di fronte alla legge; la giustizia sociale e l'uguaglianza; la solidarietà e il rispetto della persona fanno parte permanentemente del patrimonio politico e ideale (sono quelli che Togliatti chiamava i «beni sostanziali») di una comunità nazionale ordinata, evoluta, giusta, quali che siano la profondità e l’estensione dei mutamenti che in essa vengono prodotti per impulso del conflitto di classe e dall’andamento stesso del processo storico. Così si può intendere correttamente, e si spiega, perché Berlinguer potè dire, a giusta ragione, che noi comunisti italiani sappiamo essere a un tempo «conservatori e rivoluzionari». Nei quindici anni durante i quali è stato vice segretario e poi segretario generale del partito (e non soltanto nel corso di essi) Enrico Berlinguer è stato «banditore» – per dirla con le parole di Gramsci – di una rivoluzione intellettuale e morale che, protesa a innovare, non smarrì mai il filo del processo storico del paese e del partito, e non si separò mai da ciò che di positivo avevano lasciato le generazioni precedenti. Non si comincia ogni volta dall’anno zero, diceva giustamente Berlinguer; ma in lui la pregnante percezione dell’uniterietà di fondo del processo storico-politico lo portava a guardarsi bene dal trasmutare la continuità in piatto continuismo e ad esaltare sempre il momento e l’esigenza dello sviluppo e del rinnovamento del partito e del paese. Per tali ragioni egli è riuscito a dare un contributo di elaborazione teorica e ideale, di atti e di iniziative pratiche, di gesti e di interventi concreti, importanti per il PCI, ma anche decisivi per l’intero Paese. Con Berlinguer il Pci non solo riuscì a salvaguardare, ma a rendere più limpida e ferma la propria autonomia di giudizio e di condotta. Un’autonomia, però, che mai è stata intesa e realizzata come chiusura nell’autosufficienza, come limitazione dell’orizzonte del partito ai confini del nostro paese, come autoisolamento. Se c’è stato un partito che ha sviluppato al massimo l’iniziativa internazionale, che ha intessuto rapporti a livello europeo e planetario, che si è distinto nella lotta contro il riarmo e per il negoziato a sostegno dei movimenti per la pace, la distensione, la liberazione e l’indipendenza dei popoli, per la cooperazione e la collaborazione tra Est e Ovest e tra Nord e Sud del mondo, questo è stato il Partito comunista italiano. E poi si pensi al Berlinguer che innova alcune grandi questioni politiche, e che chiede al partito uno sforzo intellettuale ed una ricerca nuovi su grandi temi della modernità: si pensi alla questione femminile, che Berlinguer, muovendo dalla intuizione ed impostazione togliettiana, seppe sviluppare qualitativamente ed arricchire di motivi, di implicazioni, di finalità tali da affidare ad essa un ruolo innovatore di portata nazionale, generale e ad imporla come tale all’attenzione del partito, della società italiana, delle istituzioni, delle donne stesse e dei loro movimenti. Così è della questione operaia, sindacale, dell’occupazione, del problema di cosa produrre e perché produrre, cioè di quale scopo, di quale sbocco, di quale qualità nuova hanno bisogno le attività produttive perché non siano finalizzate esclusivamente al profitto capitalistico e riacquistino un senso, un significato umano e sociale per l'operaio, per il tecnico, per lo scienziato. Così è della questione giovanile oppure della questione, divenuta incalzante in quegli anni, del terrorismo e dei poteri criminali come la mafia, la camorra, la P2. Per non parlare della riproposizione della questione comunista in termini nuovi, connessa ai problemi della salvezza della democrazia e della Repubblica, perché intimamente legata alla questione morale e alla questione democratica. Dunque vogliamo ricordare Enrico Berlinguer, nel 22°’anniversario della sua scomparsa, ricordando la sua visione nazionale e il suo spirito unitario, insieme al suo senso di appartenenza al partito e all’identità comunista. Oggi, anche se a qualcuno farebbe piacere non ricordarlo, noi ricordiamo con infinito affetto il comunista, l’uomo di partito, che è stato, per tanti di noi, il segretario del nostro partito. Il compagno Enrico Berlinguer.

 

Autore: lucamod-mailing PdCI

 

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