IN PRIMO PIANO
Stralci dalla relazione di Fausto Bertinotti alla direzione nazionale del PRC del 20 aprile 2000
(..) Il centrosinistra fallisce come idea di società e come disegno politico.
E' necessaria la fine e il superamento del centrosinistra
Di fronte a questo fallimento, dobbiamo riprecisare i punti della
nostra strategia politica.
In primo luogo dobbiamo proporci di determinare la fine dell'esperienza
politica del centrosinistra. Quest'ultimo infatti è diventato una
progione per le possibilità di spostamento a sinistra del paese.
Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo muoverci contemporaneamente su
tre fronti.
Il primo è quello di lavorare alla costruzione di una sinistra
plurale, cioè riaprire il dialogo tra lasinistra riformista, quella
ecologista, quella di alternativa. Al centro di questo dialogo deve porsi
la ricerca di una nuova analisi e di un nuovo discorso
sulla società italiana e sulle classi del nostro paese.
Dobbiamo cioè porci il problema della determinazione di un nuovo
programma di governo delle sinistre. Ma questo non significa nella
maniera più assoluta, la ricerca immediata di alleanze che sfocino
in formule di governo. Significa invece affrontare una ricerca di fondo,
con il giusto passo lungo che questa richiede. Le forze della sinistra
moderata possono scegliere di andare ancora più a destra, e in effetti,
stando anche alle ultime dichiarazioni, così stanno facendo, ma
noi abbiamo il dovere di proporre loro una scelta opposta e di costringerle
al confronto.
Il secondo è costituito dall'accelerazione che dobbiamo imprimere
alla costruzione di una sinistra alternativa, antiliberista, anticapitalista.
Il Prc esce rafforzato da questa campagna elettorale, ma proprio
per questo dobbiamo riaffermare il punto di vista con il quale vi siamo
entrati. Il contributo del nostro partito è indispensabile, però
è insufficiente ai fini della costruzione di una sinistra di alternativa.
Non dobbiamo assolutamente ricavare da questo positivo risultato elettorale
un' idea di auto sufficienza. Una volta che è chiarita e affermata
nei fatti la possibilità e la necessità dell'esistenza del
nostro partito, una volta che si è deterrninato il principio della
reciprocità nei rapporti, siamo aperti a qualunque
forma dl confronto e di collaborazione, senza fossilizzarci in modalità
organizzative, che possono essere le più ampie e le più diverse.
Il terzo è rappresentato da quella che chiamerei la costruzione
di una sinistra di società. Si tratta di contribuire alla crescita
di un arcipelago di forze, per costruire quelle che Gramsci avrebbe chiamato
le «casematte» della società civile.
Qui incontriamo una questione gigantesca, quella del sindacato.
Propongo che in autunno venga convocata una conferenza di lavoratrici
e di lavoratori, al fine di far compiere a tutto il partito un salto in
avanti su questa questione. Non credo a soluzioni miracolistiche, ma voglio
sottolineare che la questione sindacale è purtroppo parte integrante
della sconfitta del centrosinistra. L'afasia della Cgil prima e dopo la
sconfitta del centrosinistra è un urlo di impotenza, si pensi, ad
esempio, al silenzio nel momento dell'apertura verso il fronte referendario.
Noi certamente dobbiamo. come partito, fare la nostra parte, insistere
nel tentativo di un reinsediamento nei luoghi di lavoro.
Anche nei confronti delle associazioni bisogna muoversi con maggiore
energia. Nel corso della campagna elettorale abbiamo tenuto a Roma un momento
importante e significativo di dialogo, caratterizzato da domande e da presenze
importanti. Dobbiamo continuare su quella strada, dobbiamo valorizzare
le esperienze giovanili, possiamo pensare ad una nuova fase costituente
dei rapporti esistenti nel mondo dell'associazionismo nel nostro
paese.
[..]
La nostra scelta sui referendum
In questo quadro si può determinare un'ulteriore aggravante:
la celebrazione dei referendum elettotali e antisociali. D'Alema non può
chiedere alle forze politiche se vogliono il referendum; esso è
già fissato, la sua effettuazione non dipende dalla volontà
di farlo, ma dall' esistenza o meno delle condizioni di prosecuzione
della legislatura. (..)
In questo quadro è giunto il momento di compiere una scelta
rispetto ai referendum. Noi finora abbiamo assunto la parola d'ordine,
boicottiamo i referendum, e la manteniamo. Ma oggi possiamo precisare la
nostra indicazione dì voto, che è l'astensione, quale mezzo
per sconfiggere i referendum. (..)
Dobbiamo chiarire, anche nei rapporti con il sindacato, che c'è
un nesso preciso, sociale e politico tra il tentativo di annullare
il diritto di reintegra nel posto di lavoro, dopo un licenziamento ingiusto,
e quello di cancellare la possibilità per le forze alternative di
essere presenti nelle istituzioni. E' mai possibile che solo il senatore
Andreotti riesca a capire questa semplice verità? Per questa ragione
i referendurn antisociali vanno sepolti da un insieme da astensioni e di
voti contrari e la nostra scelta è quella di dire agli italiani
di non andare a votare.
La costruzione dei movimenti
In terzo luogo dobbiamo continuare a riproporci il tema di favorire la costruzione dei movimenti. (..) noi dobbiamo costruire delle vertenze esemplari. Il nostro lavoro deve fare un salto di qualità. Abbiamo detto che ci siamo riavvicinati al lavoro, con l'inchiesta, con la determinazione di una piattaforma sociale e di obiettivi specifici. Ora dobbiamo sapere definire, a partire dal centro del partito, una mappa dove possiamo puntare a creare dei fatti concreti di modificazione delle condizioni materiali di vita della gente. La direzione nazionale deve assumersi delle responsabllità precise nel seguire questi progetti.
Lo stato del nostro partito
In quarto luogo dobbiamo tornare a riflettete, e ad agire, sul tema
del nostro partito. Nella recente conferenza di Chianciano abbiamo fatto
un altro passo in avanti nell'analisi dei nostri limiti e delle nostre
debolezze e nella individuazione della giuste terapie. Ma quando
ci si trasferisce nella pratica concreta, si riscontrano, ancora una volta,
elementi di disfacimento. Lo dico con estrema secchezza, e quindi anche
col gusto della provocazione, ma se tra democrazia e autoritarismo
scegliamo certamente la prima, tra lobbismo e giacobinismo, scelgo il secondo.
Non possiamo in nessun modo accettare pratiche lobbistiche, di piccolo
gruppo, all'interno del nostro partito. La direzione nazionale deve definire,
anche su questa questione, una mappa di intervento, sia dal centro, che
nelle periferie del nostro partito.
Nella storia del movimento operaio del nostro paese e dei partiti
politici che lo hanno animato, vi sono stati spesso dei passaggi drammatici.
Voglio qui, in conclusione, ricordare quello del partito socialista italiano
che, nella tempesta successiva alla scissione socialdemocratica di Palazzo
Barberini, dovette affronatre il compito della ricollocazione di classe
del partito e un gigantesco problema di formazione dei suoi gruppi dirigenti.
L'esperienza che mosse in quell'occasione dalla riflessione teorica e dall'iniziativa
pratica dì Rodolfo Morandi, non è priva di qualche insegnamento
anche per noi oggi.
scrivete a linearossa@virgilio.it
ritorna al sommario del nr.15 (aprile-maggio 2000)