INTERVISTA A GIUSEPPE REGIS,
coFONDATORE DELLE EDIZIONI ORIENTE
Intervista
a cura di Roberto Niccolai – pubblicata sul testo Parlando
di rivoluzioni, edita dal Centro di Documentazione di
Pistoia, 1998, pp.70/76
Fin
dai tempi dell’Università di Torino alla fine degli anni ‘30 sono stato
attratto dallo studio dell’economia, della statistica, delle scienze
sociali. Ho lavorato in uffici—studi prima e dopo la guerra. Ho
partecipato alla lotta di liberazione nelle Garibaldi. Poi, iscritto al Pci,
ho cercato di dare il mio contributo di militante nella sezione e in altre
istanze di partito e sindacali a Roma. Nel 1955-’56 ho lavorato a Vienna al
Comitato Internazionale per lo sviluppo del commercio, un organismo promosso
dalle camere di commercio dei paesi socialisti e da gruppi di imprese
occidentali interessate a sviluppare gli scambi coi paesi dell’Est. Poi, dal
1957 al 1961, io e la mia compagna Maria Arena siamo stati in Cina.
1)
Per quali motivi si é avvicinato alla Cina di Mao?
Ciò
è avvenuto come seguito del mio lavoro a Vienna. All’inizio del 1957
la situazione internazionale si era fatta più distesa, ci fu un certo
allentamento delle discriminazioni contro i paesi socialisti e i compiti del
comitato parevano esauriti. Questo non per tutti i paesi socialisti. La Cina
popolare allora non aveva ancora rapporti diplomatici coi principali paesi
occidentali, il suo seggio all’Onu era usurpato dalla cricca di Chiang
Kai-shek, e l’embargo decretato al tempo della guerra di Corea perdurava.
Ci fu anche la circostanza che la mia compagna fosse diplomata in lingua
cinese all’Ismeo di Roma e che, stando a Vienna, avesse pubblicato un
manuale per lo studio della lingua cinese. E tutto ciò rese possibile il
nostro soggiorno in Cina. In quegli anni, mentre la Maria insegnava la lingua
italiana all’Istituto di commercio estero dell’Università di Pechino, io
ebbi modo di studiare a fondo l’economia della Cina e di fare da consulente
tra diverse imprese italiane e le corporazioni commerciali cinesi. Avemmo
modo di visitare gran parte del paese, di avere colloqui ad alto livello, di
ottenere pubblicazioni e materiali, di visitare città, fabbriche, cooperative
agricole, scuole, ospedali. E con questa esperienza io ebbi modo di scrivere
alcuni articoli e di pubblicare nel 1961 in Italia un volume sugli sviluppi
dell’economia cinese a partire dal 1949. Gli anni vissuti in Cina furono
di grande turbolenza politica. Con la vittoria della rivoluzione, l’inizio
di un’era di pace. La riforma agraria, la socializzazione del grande
capitale, la fortissima ripresa economica, avevano creato nella gente e nei
dirigenti aspettative, che direi messianiche, di progresso e di benessere. Noi
fummo testimoni di due grandi movimenti, del Grande Balzo e delle Comuni
popolari, dell’ardore e della partecipazione colle quali erano portati
avanti. La linea generale di Mao, di superare tutte le difficoltà per
bruciare le tappe della transizione alla prosperità e al socialismo, ci aveva
profondamente colpiti e la portammo con noi al rientro in Italia.
2)
Perchè proprio Mao? Quali erano gli elementi che portavano migliaia di
persone in Italia ad avvicinarsi al pensiero maoista?
Mentre
eravamo in Cina, a seguito della svolta del XX Congresso del Pcus, il corso
politico del Pci, come quello di altri partiti era andato in senso contrario a
quello che Mao proponeva. Quando tornammo in Italia trovammo un partito molto
diverso da quello che avevamo lasciato. Per contro si stava allora alzando da
noi e nei paesi capitalisti più avanzati una marea di contestazione del
sistema, e in Vietnam, a Cuba e in altri paesi le lotte di liberazione
prendevano forza e si estendevano. Per i più vecchi di noi l’Esercito
Popolare era stato nostro compagno d’armi nella lotta di liberazione contro
i fascisti e l’invasore straniero. La rivoluzione guidata da Mao era
riuscita vittoriosa e aveva portato alla trasformazione più profonda della
storia della Cina. Aveva investito un quarto dell’umanità in un paese
grande come l’Europa, con un peso decisivo negli affari del mondo. Dopo la
liberazione della Cina, la politica di Mao pareva confortare le aspirazioni di
quanti, soprattutto tra i giovani, chiedevano un cambiamento delle
istituzioni, degli indirizzi politici, del costume anche da noi. Per questo
Mao divenne la personalità più emblematica della ribellione contro tutte le
ingiustizie, i misfatti, la miseria e le sofferenze dei nostri giorni. C’era
una enorme curiosità per conoscerne il pensiero e l’opera, per trarne
ispirazione e insegnamento, per conoscere le politiche e le posizioni del
partito e del governo cinese.
3)
Quanto e cosa si conosceva allora della Cina e quali erano le fonti a cui si
attingeva per ottenere informazioni?
Allora
su Mao e sulla Cina si conosceva molto poco. I sinologi accademici
continuavano ad occuparsi della vecchia Cina, nessun corrispondente dei
giornali
italiani aveva seguito gli Snow, le Smedley, i Belden durante la guerra di
Liberazione e nei primi anni del potere popolare. Solo l’Unità
ebbe dei corrispondenti: Velio Spano che coprì il periodo finale della
guerra di Liberazione e poi Emilio Sarzi Amadé all’epoca della nostra
permanenza. Per il resto, come oggi, notizie ritagliate dalle agenzie
reazionarie di Hong Kong, americane e inglesi. Fu per questo che fondammo,
insieme ad altri compagni e amici le Edizioni
Oriente con l’intento di presentare nel nostro paese quanto di più vivo
appariva sulla stampa cinese. Iniziammo con la pubblicazione dei nove
editoriali del 1963-’64 sulle divergenze nel movimento comunista
internazionale. Dal 1965 al 1979, con l’aiuto di Filippo Coccia e di
Mireille De Gouville, pubblicammo la rivista quadrimestrale Vento dell’Est che riproduceva documenti, resoconti di viaggio,
inchieste e articoli tradotti dalla lingua cinese, sugli sviluppi della Cina.
Dal 1966 al 1978 pubblicammo anche il mensile Quaderni della stampa cinese con la traduzione di Grazia Cherchi
degli articoli pubblicati dall’Agenzia Xinhua. Infine pubblicammo diversi
volumi delle opere di Mao e su vari altri argomenti. Inoltre organizzammo
ogni anno viaggi d’inchiesta in Cina, dibattiti e conferenze ed eravamo i
principali distributori delle pubblicazioni cinesi in Italia. Maria fu
l’anima delle Edizioni e
direttrice di Vento dell’Est e con
la passione che metteva nel suo lavoro riuscì a legare attorno alla rivista
molti compagni, di cui voglio ricordare Aldo Natoli, Lisa Foa, Luca Meldolesi,
Nicoletta Stame, Silvia Calamandrei, Gianni Sofri, e molti altri. Io ero
responsabile de quaderni, collaboravo
a Vento dell’Est ma soprattutto mi
occupavo dei problemi economici ed amministrativi delle Edizioni.
3a)
Perché alla fine degli anni ‘70 le Edizioni Oriente cessarono l’attività?
Il
periodo coperto dalla nostra attività si chiuse poco dopo la morte di Mao.
Infatti dopo di lui molte cose per noi erano cambiate. Le nostre valutazioni
della politica cinese, che nel passato erano state abbastanza omogenee, dopo
la svolta di Teng Hsiao-ping cominciarono a divaricarsi e ciò rese più
difficile il nostro lavoro. Attorno a noi la marea di contestazione si era in
gran parte ritirata e le lotte
di liberazione nel mondo si erano molto affievolite. La Cina popolare,
ottenuto
il seggio all’Onu e il riconoscimento diplomatico della maggior parte dei
paesi, non era più un paese chiuso e i canali di informazione si erano
moltiplicati. Infine non fu più possibile per la mia compagna, ammalata di
sclerosi multipla, continuare a reggere le sorti delle Edizioni a Milano come aveva fatto fino allora.
4)
Secondo il suo punto di vista (o quello della sua organizzazione) la Cina era
vista come un paese socialista, del Terzo Mondo, oppure asiatico (in quanto
detentore di una cultura e una civiltà diversa dalla nostra)?
La maggior parte dei compagni ed amici che collaboravano in modo più o meno
organico all’attività delle Edizioni proveniva
dagli ambienti della sinistra: dal Partito Comunista, dall’ala sinistra del
Partito Socialista e da ambienti cattolici, da altre formazioni minori.
Pertanto il carattere socialista dello stato cinese era quello di maggior
interesse. E ciò anche se ciascuno aveva presenti le condizioni di povertà
e di arretratezza economica che la Cina condivideva con il Terzo Mondo e una
nozione più o meno approfondita del millenario retroterra culturale del
paese. Inoltre la stessa politica estera della Cina, che ha sempre continuato
a sostenere i movimenti di liberazione del mondo, e il dibattito culturale
svoltosi soprattutto durante la Rivoluzione Culturale, non potevano tenerci
lontano da quelle problematiche.
5)
Quali erano gli elementi principali che dividevano il suo gruppo politico
dagli altri partiti o gruppi extraparlamentari, che pur si dicevano ispirati
al pensiero di Mao?
Come Edizione Oriente noi non abbiamo mai costituito nè un gruppo politico nè
tantomeno un partito. C’era tra di noi una fondamentale comune adesione alle
posizioni e alla politica di Mao e dei comunisti cinesi, ma sul che fare in
Italia sulla base di quegli indirizzi vi erano passioni diverse. Personalmente
io ero favorevole ad una collaborazione con tutti quanti restavano fedeli alla
tradizione rivoluzionaria del marxismo-leninismo in contrapposizione alle
posizioni ormai riformiste del Pci e con Ugo Duse, Mario Geymonat, Osvaldo
Pesce e altri, che contribuirono alla fondazione delle Edizioni, fui anche tra i fondatori di un foglio che chiamammo Nuova
Unità. Questa collaborazione però non durò a lungo. Ben presto in
seno al movimento formatosi attorno al giornale atteggiamenti settari
provocarono le prime scissioni. La frazione pisana di Fosco Dinucci che si era
impadronita del giornale, rafforzò la chiusura verso gli altri gruppi che si
stavano formando in Italia. Finché con la prematura fondazione del PCd’I
pretese anche il controllo delle Edizioni,
e poi cercò di occuparle con la forza. Questo tentativo venne sventato e
da allora il ruolo delle Edizioni, come
punto di riferimento sulle esperienze della Cina di Mao ne rimase
consolidato.
6)
Quali erano per lei gli aspetti più rilevanti del maoismo in generale e della
Rivoluzione Culturale in particolare?
Secondo me gli aspetti del pensiero e dell’opera di Mao che risultano più
rilevanti sono molteplici. Il suo indomabile spirito di combattente per
liberare il popolo cinese dallo sfruttamento dei proprietari fondiari, dal
grande capitale e dall’ingerenza straniera. La sua capacità di cogliere dal
patrimonio ideologico e dall’esperienza marxista e leninista gli indirizzi
fondamentali della sua azione e di riconoscere nella situazione interna della
Cina e in quella internazionale della sua epoca le forze decisive della
rivoluzione. La sua straordinaria capacità nel formulare le strategie e le
tattiche politiche e militari che sono state capaci di rovesciare il rapporto
di forza tra le classi in Cina e conquistare il potere. Poi dagli anni ‘50
il suo impegno a trasformare la Cina in un paese socialista cercando di
bruciare le tappe del suo avanzamento, e nello stesso tempo la sua
difesa
del patrimonio ideologico del marxismo contro le tendenze revisioniste e il
suo sostegno dei movimenti di liberazione e rivoluzionari del mondo. Questi
apprezzamenti erano in gran parte condivisi da quanti sostenevano
l’attività delle Edizioni, ma
per molti lettori e simpatizzanti il maoismo si riassumeva soprattutto nello
slogan della Rivoluzione Culturale “Ribellarsi è giusto”. Quanto
alla Rivoluzione Culturale credo che l’aspetto più rilevante fosse il
tentativo di ripulire la coscienza della gente dai residui lasciati da
secoli di prevaricazione e di manipolazione ideologica da parte delle classe
dominanti, come condizione per l’avanzamento del socialismo. Allora
pensavamo che bastasse una volontà soggettiva per raggiungere questo
obiettivo e non che il corso verso il nuovo mondo si sarebbe dimostrato molto
più complesso e più lungo.
6a)
Quando Mao lanciò la Rivoluzione Culturale, secondo lei, aveva la maggioranza
o era in minoranza all’interno del Comitato Centrale?
Non
credo che si possa rispondere con una conta di voti. Credo che, a seguito dei
risultati negativi del Grande Balzo e delle Comuni, la popolarità di Mao
fosse già intaccata e che il lancio e gli sviluppi della Rivoluzione
Culturale abbiano trovato una forte opposizione che solo il prestigio
accumulato dai decenni precedenti poté tenere in scacco.
7)
Come vedeva la Cina della Rivoluzione Culturale attraverso il pensiero di Mao
rispetto all’Urss?
Il giudizio di Mao sull’Urss ha avuto diversi momenti. Durante le guerre
civile e antigiapponese, vi furono divergenze coi rappresentanti del Komintern
su questioni di strategia e di tattica della rivoluzione cinese, ma questo non
ha mai significato il disconoscimento della Rivoluzione d’ottobre, della
costruzione del socialismo e il suo ruolo di bastione contro l’imperialismo
nel mondo. Dopo la liberazione vi fu una strettissima collaborazione tra Cina
e Urss; al tempo del Grande Balzo e delle Comuni ebbe a criticare certe
concezioni e certe pratiche seguite sotto Stalin con gli scritti Problemi
economici del socialismo in Urss e le note sul Manuale
di economia politica dell’ Urss, ma le fondamentali strutture
istituzionali, amministrative, economiche e sociali della nuova Cina furono di
fatto ispirate all’esperienza dell’Urss. L’atteggiamento cambiò dopo il
XX e il XXI Congresso del Pcus quando nel 1963 e ‘64 il Partito Comunista
Cinese pubblicò i nove editoriali di critica del revisionismo di Krusciov e
di altri diringenti di partiti comunisti, dando un giudizio sostanzialmente
positivo dell’opera di Stalin. Nel corso della Rivoluzione Culturale la
critica al revisionismo del Pcus e del socialimperialismo dell’Urss si fece
ancor più esasperata fino al punto di scontri armati alle frontiere.
7a)
Che rapporti esistevano, secondo lei, fra la Campagna dei Cento Fiori, il
Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale?
La
campagna dei Cento Fiori, che invitava alla libera espressione nel campo della
letteratura, dell’arte e delle scienze e la successiva campagna contro i destrorsi
vanno inquadrati negli indirizzi contenuti nel contemporaneo scritto di Mao
sulle contraddizioni. In esso si
distinguevano quelle in seno al popolo dal risolvere con metodi democratici e
quelle tra il popolo e i suoi nemici da risolvere con gli strumenti del potere
popolare. Di fatto molti intellettuali cinesi più legati
7b)
Secondo lei è vero, come sostengono alcuni studiosi, che nel ‘56, quando
iniziarono i Cento Fiori, nel ‘58, quando iniziarono le Comuni, nel ‘65,
quando venne lanciata la Rivoluzione Culturale, la Cina era al massimo
dell’espansione economica?
Da
quanto detto finora l’andamento dello sviluppo economico della Cina in
quegli anni risulta già abbastanza chiaro. Per maggiore precisione posso
riportare gli indici del reddito nazionale per alcuni anni cruciali. Fatto 100
per il 1949 si ha: 1952=170, 1956=248, 1959 e 1960=340, 1962=228, 1965=335,
1969=406, 1976=636.
8)
Che rapporti esistevano, secondo lei, tra il “maoismo” e la storia della
Cina?
Secondo me il pensiero di Mao è stato profondamente radicato nella
tradizione
culturale del suo popolo, e la sua adesione al marxismo fu in contraddizione
solo con gli aspetti più superati e deteriori di essa. Infatti per molti
aspetti il marxismo ha tuttora più aspetti in comune con la cultura cinese
che con quella cristiana-occidentale. La filosofia dominante, quella di
Confucio e Menciù e dei loro successori era aliena dalla metafisica e dalla
trascendenza e centrata soprattutto sui rapporti tra gli uomini nella società
e sul buon governo. Tra l’altro essa distingueva il governo virtuoso che ha
il sostegno del popolo, dal governo vizioso che lo sopprime con la violenza,
9)
Che rapporto credevate che esistesse tra il socialismo di Mao e l’idea di
democrazia? La democrazia doveva procedere di pari passo con lo sviluppo?
La prima cosa è di vedere che cosa si intende per democrazia: c’è la
democrazia
borghese nella quale la maggior parte delle ricchezze, dei mezzi per
influenzare
l’opinione pubblica e del potere di comando nella vita sociale è detenuta
da una minoranza di capitalisti e la democrazia in cui tutti questi mezzi sono
nelle mani dei lavoratori e del popolo. Quest’ultima è la democrazia che
Mao, sulla via della tradizione marxista, ha lottato per realizzare in Cina
nel quarto di secolo prima della Liberazione, da una parte difendendo il
popolo con le armi dalla dittatura fascista e militare di Chian Kai-shek e dei
giapponesi, e dall’altra promuovendo forme di democrazia popolare nelle aree
liberate. Questa era una condizione indispensabile per ottenere di allargare
il consenso e il sostegno delle masse popolari, attraverso l’espressione dei
loro bisogni e delle loro aspirazioni, l’impostazione di una politica
conseguente e l’elevazione al comando di chi godeva della loro fiducia. Il
metodo democratico era sintetizzato nello slogan “dalle masse alle masse”
con un processo dalla base ai livelli superiori e da questi nuovamente alla
base. Le caratteristiche di fondo di questo metodo furono poi mantenute nel
sistema politico impiantato dopo la liberazione e formalizzato nella
costituzione e nelle leggi. In esse lo stato cinese è definito come di
dittatura democratico-popolare, di dittatura contro quanti dall’interno e
dall’estero tentano di rovesciare lo stato popolare di democrazia per
l’esercizio dei diritti dei lavoratori e del popolo.
10)
Nell’Italia di quel periodo si ripresentava- prendendo spunto dalla
Rivoluzione Culturale -la questione della differenza tra democrazia borghese e
democrazia proletaria?
La differenza teorica tra democrazia borghese e democrazia proletaria, e più
largamente popolare, credo che fosse abbastanza chiara a quanti negli anni
‘60 in Italia provenivano dalle fila della sinistra marxista. Tuttavia nella
pratica la maggioranza non riteneva che esistessero le condizioni interne e
internazionali per tradurre l’obiettivo della democrazia proletaria in una
rivendicazione attuale.
11)
Che significato aveva in Italia “parola d’ordine” come: “Che Cento
Fiori sboccino, che Cento Fiori liberamente si affrontino”; “Ribellarsi é
giusto”; “Chi non ha fatto l’inchiesta non ha diritto di parola”;
“Le comuni popolari”; “Bombardare il quartier generale”; “Il potere
sta sulla canna del fucile”; “Un esercito senza grandi”; “Metà
studio-metà lavoro” ?
Queste parole d’ordine, tratte dagli scritti di Mao di varie epoche, hanno
contenuti diversi, che non so fino a che punto fosse del tutto chiaro a tutti
quanti le hanno riprese in Italia. Si può dire solo che esse sembravano
esprimere bene,’ nelle differenti occasioni, lo spirito contestatario
dell’epoca.
12)
Cosa aveva di diverso o cosa accomunava la Rivoluzione Culturale con il mito
di Ernesto Che Guevara, Ho Chi-minh, Malcom X, le Black Panthers, Don Milani,
ecc.?
Non credo sia possibile alla fine di questo colloquio, rispondere
compiutamente
ad una domanda che comprende esperienze che si sono avute in momenti ed
ambienti tanto diversi. Di tutti solo Ho Chi-minh credo abbia avuto una storia
comparabile a quella di Mao, lasciando le tracce più profonde nel suo paese e
nel mondo. Ma era naturale negli anni ‘60 che ci si sentisse fratelli con
quanti in condizioni tanto diverse combattevano una battaglia che sentivamo
comune per rinnovare il mondo.
13)
Cosa é rimasto oggi del pensiero di Mao Tse-tung? E’ ancora valido come
percorso per attuare il socialismo e poi il comunismo, oppure é fallito con la
Rivoluzione Culturale e la morte di Mao?
Debbo dire che in questi ultimi anni, dopo il crollo dei paesi socialisti e lo
smembramento dell’Urss, Mao, come gli altri grandi personaggi della storia
rivoluzionaria, è seguito abbastanza poco. Ma non credo che i deludenti
risultati della Rivoluzione Culturale e la successiva svolta di Teng Hsiao-ping
sminuiscano la figura di Mao. La sua opera e il pensiero che l’ha alimentata
tra gli anni Venti e Cinquanta, hanno avuto un peso nella storia della Cina e
del mondo che non potrà mai essere dimenticato. E anche negli anni successivi i
principi e gli indirizzi che egli ha ribadito ed ha cercato di attuare restano,
malgrado gli insuccessi, una ricca fonte di ispirazione per quanti lottano per
un mondo liberato dallo sfruttamento e dall’oppressione. Questa fase di
riflusso e di controrivoluzione che si vive attualmente potrà andare avanti per
dieci, e venti e più anni, ma saranno tante le miserie, i contrasti e le guerre
che questo prevalere delle forze reazionarie porterà nel mondo, che per forza
ci sarà un nuovo risorgere delle forze rivoluzionarie e un nuovo richiamo
all’esperienza di Mao, come a quella di Marx e di Lenin.
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