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nr.4 - nuova serie - gennaio 2002

 INTERVISTA A GIUSEPPE REGIS, 

coFONDATORE DELLE EDIZIONI ORIENTE

Intervista a cura di Roberto Niccolai – pubblicata sul testo Parlando di rivoluzioni, edita dal Centro di Documentazione di Pistoia, 1998, pp.70/76

 

Fin dai tempi dell’Università di Torino alla fine degli anni ‘30 sono stato attratto dallo studio dell’economia, della statistica, delle scienze sociali. Ho lavora­to in uffici—studi prima e dopo la guerra. Ho partecipato alla lotta di liberazione nelle Garibaldi. Poi, iscritto al Pci, ho cercato di dare il mio contributo di militante nella sezione e in altre istanze di partito e sindacali a Roma. Nel 1955-’56 ho lavorato a Vienna al Comitato Internazionale per lo sviluppo del commercio, un organismo promosso dalle camere di commercio dei paesi socialisti e da gruppi di imprese occidentali interessate a sviluppare gli scambi coi paesi dell’Est. Poi, dal 1957 al 1961, io e la mia compagna Maria Arena siamo stati in Cina.

 

1) Per quali motivi si é avvicinato alla Cina di Mao?

Ciò è avvenuto come seguito del mio lavoro a Vienna. All’inizio del 1957 la situazione internazionale si era fatta più distesa, ci fu un certo allentamento delle discriminazioni contro i paesi socialisti e i compiti del comitato parevano esauriti. Questo non per tutti i paesi socialisti. La Cina popolare allora non aveva ancora rapporti diplomatici coi principali paesi occidentali, il suo seggio all’Onu era usurpato dalla cricca di Chiang Kai-shek, e l’embargo decretato al tempo del­la guerra di Corea perdurava. Ci fu anche la circostanza che la mia compagna fosse diplomata in lingua cinese all’Ismeo di Roma e che, stando a Vienna, avesse pubblicato un manuale per lo studio della lingua cinese. E tutto ciò rese possibile il nostro soggiorno in Cina. In quegli anni, mentre la Maria insegnava la lingua italiana all’Istituto di commercio estero dell’Università di Pechino, io ebbi modo di studiare a fondo l’economia della Cina e di fare da consulente tra diverse im­prese italiane e le corporazioni commerciali cinesi. Avemmo modo di visitare gran parte del paese, di avere colloqui ad alto livello, di ottenere pubblicazioni e materiali, di visitare città, fabbriche, cooperative agricole, scuole, ospedali. E con questa esperienza io ebbi modo di scrivere alcuni articoli e di pubblicare nel 1961 in Italia un volume sugli sviluppi dell’economia cinese a partire dal 1949. Gli anni vissuti in Cina furono di grande turbolenza politica. Con la vittoria della rivoluzione, l’inizio di un’era di pace. La riforma agraria, la socializzazione del grande capitale, la fortissima ripresa economica, avevano creato nella gente e nei dirigenti aspettative, che direi messianiche, di progresso e di benessere. Noi fummo testimoni di due grandi movimenti, del Grande Balzo e delle Comuni popolari, dell’ardore e della partecipazione colle quali erano portati avanti. La linea generale di Mao, di superare tutte le difficoltà per bruciare le tappe della transizione alla prosperità e al socialismo, ci aveva profondamente colpiti e la portammo con noi al rientro in Italia.

 

2) Perchè proprio Mao? Quali erano gli elementi che portavano migliaia di persone in Italia ad avvicinarsi al pensiero maoista?

Mentre eravamo in Cina, a seguito della svolta del XX Congresso del Pcus, il corso politico del Pci, come quello di altri partiti era andato in senso contrario a quello che Mao proponeva. Quando tornammo in Italia trovammo un partito mol­to diverso da quello che avevamo lasciato. Per contro si stava allora alzando da noi e nei paesi capitalisti più avanzati una marea di contestazione del sistema, e in Vietnam, a Cuba e in altri paesi le lotte di liberazione prendevano forza e si estendevano. Per i più vecchi di noi l’Esercito Popolare era stato nostro compagno d’armi nella lotta di liberazione contro i fascisti e l’invasore straniero. La rivoluzione guidata da Mao era riuscita vittoriosa e aveva portato alla trasformazione più profonda della storia della Cina. Aveva investito un quarto dell’umanità in un paese grande come l’Europa, con un peso decisivo negli affari del mondo. Dopo la liberazione della Cina, la politica di Mao pareva confortare le aspirazioni di quanti, soprattutto tra i giovani, chiedevano un cambiamento delle istituzioni, degli indirizzi politici, del costume anche da noi. Per questo Mao divenne la personalità più emblematica della ribellione contro tutte le ingiustizie, i misfatti, la miseria e le sofferenze dei nostri giorni. C’era una enorme curiosità per conoscerne il pensiero e l’opera, per trarne ispirazione e insegnamento, per conoscere le politiche e le posizioni del partito e del governo cinese.

 


3) Quanto e cosa si conosceva allora della Cina e quali erano le fonti a cui si attingeva per ottenere informazioni?

Allora su Mao e sulla Cina si conosceva molto poco. I sinologi accademici continuavano ad occuparsi della vecchia Cina, nessun corrispondente dei giornali italiani aveva seguito gli Snow, le Smedley, i Belden durante la guerra di Libe­razione e nei primi anni del potere popolare. Solo l’Unità ebbe dei corrispondenti: Velio Spano che coprì il periodo finale della guerra di Liberazione e poi Emilio Sarzi Amadé all’epoca della nostra permanenza. Per il resto, come oggi, notizie ritagliate dalle agenzie reazionarie di Hong Kong, americane e inglesi. Fu per questo che fondammo, insieme ad altri compagni e amici le Edizioni Oriente con l’intento di presentare nel nostro paese quanto di più vivo appariva sulla stampa cinese. Iniziammo con la pubblicazione dei nove editoriali del 1963-’64 sulle divergenze nel movimento comunista internazionale. Dal 1965 al 1979, con l’aiuto di Filippo Coccia e di Mireille De Gouville, pubblicammo la rivista quadrimestrale Vento dell’Est che riproduceva documenti, resoconti di viaggio, inchieste e articoli tradotti dalla lingua cinese, sugli sviluppi della Cina. Dal 1966 al 1978 pubblicammo anche il mensile Quaderni della stampa cinese con la traduzione di Grazia Cherchi degli articoli pubblicati dall’Agenzia Xinhua. Infine pubblicammo diversi volumi delle opere di Mao e su vari altri argomenti. Inoltre organizzammo ogni anno viaggi d’inchiesta in Cina, dibattiti e conferenze ed eravamo i principali distributori delle pubblicazioni cinesi in Italia. Maria fu l’anima delle Edizioni e direttrice di Vento dell’Est e con la passione che metteva nel suo lavoro riuscì a legare attorno alla rivista molti compagni, di cui voglio ricordare Aldo Natoli, Lisa Foa, Luca Meldolesi, Nicoletta Stame, Silvia Calamandrei, Gianni Sofri, e molti altri. Io ero responsabile de quaderni, collaboravo a Vento dell’Est ma soprattutto mi occupavo dei problemi economici ed amministrativi delle Edizioni.

 

3a) Perché alla fine degli anni ‘70 le Edizioni Oriente cessarono l’attività?

Il periodo coperto dalla nostra attività si chiuse poco dopo la morte di Mao. Infatti dopo di lui molte cose per noi erano cambiate. Le nostre valutazioni della politica cinese, che nel passato erano state abbastanza omogenee, dopo la svolta di Teng Hsiao-ping cominciarono a divaricarsi e ciò rese più difficile il nostro lavoro. Attorno a noi la marea di contestazione si era in gran parte ritirata e le lotte di liberazione nel mondo si erano molto affievolite. La Cina popolare, ottenuto il seggio all’Onu e il riconoscimento diplomatico della maggior parte dei paesi, non era più un paese chiuso e i canali di informazione si erano moltiplicati. Infine non fu più possibile per la mia compagna, ammalata di sclerosi multipla, continuare a reggere le sorti delle Edizioni a Milano come aveva fatto fino allora.

 

4) Secondo il suo punto di vista (o quello della sua organizzazione) la Cina era vista come un paese socialista, del Terzo Mondo, oppure asiatico (in quanto detentore di una cultura e una civiltà diversa dalla nostra)?

La maggior parte dei compagni ed amici che collaboravano in modo più o meno organico all’attività delle Edizioni proveniva dagli ambienti della sinistra: dal Partito Comunista, dall’ala sinistra del Partito Socialista e da ambienti cattolici, da altre formazioni minori. Pertanto il carattere socialista dello stato cinese era quello di maggior interesse. E ciò anche se ciascuno aveva presenti le condi­zioni di povertà e di arretratezza economica che la Cina condivideva con il Terzo Mondo e una nozione più o meno approfondita del millenario retroterra culturale del paese. Inoltre la stessa politica estera della Cina, che ha sempre continuato a sostenere i movimenti di liberazione del mondo, e il dibattito culturale svoltosi soprattutto durante la Rivoluzione Culturale, non potevano tenerci lontano da quelle problematiche.

 

5) Quali erano gli elementi principali che dividevano il suo gruppo politico dagli altri partiti o gruppi extraparlamentari, che pur si dicevano ispirati al pensiero di Mao?

Come Edizione Oriente noi non abbiamo mai costituito nè un gruppo politico nè tantomeno un partito. C’era tra di noi una fondamentale comune adesione alle posizioni e alla politica di Mao e dei comunisti cinesi, ma sul che fare in Italia sulla base di quegli indirizzi vi erano passioni diverse. Personalmente io ero favorevole ad una collaborazione con tutti quanti restavano fedeli alla tradizione rivoluzionaria del marxismo-leninismo in contrapposizione alle posizioni ormai riformiste del Pci e con Ugo Duse, Mario Geymonat, Osvaldo Pesce e altri, che contribuirono alla fondazione delle Edizioni, fui anche tra i fondatori di un foglio che chiamammo Nuova Unità. Questa collaborazione però non durò a lungo. Ben presto in seno al movimento formatosi attorno al giornale atteggiamenti settari provocarono le prime scissioni. La frazione pisana di Fosco Dinucci che si era impadronita del giornale, rafforzò la chiusura verso gli altri gruppi che si stavano formando in Italia. Finché con la prematura fondazione del PCd’I pretese anche il controllo delle Edizioni, e poi cercò di occuparle con la forza. Questo tentativo venne sventato e da allora il ruolo delle Edizioni, come punto di riferi­mento sulle esperienze della Cina di Mao ne rimase consolidato.

 

6) Quali erano per lei gli aspetti più rilevanti del maoismo in generale e della Rivoluzione Culturale in particolare?

Secondo me gli aspetti del pensiero e dell’opera di Mao che risultano più rilevanti sono molteplici. Il suo indomabile spirito di combattente per liberare il popolo cinese dallo sfruttamento dei proprietari fondiari, dal grande capitale e dall’ingerenza straniera. La sua capacità di cogliere dal patrimonio ideologico e dall’esperienza marxista e leninista gli indirizzi fondamentali della sua azione e di riconoscere nella situazione interna della Cina e in quella internazionale della sua epoca le forze decisive della rivoluzione. La sua straordinaria capacità nel formulare le strategie e le tattiche politiche e militari che sono state capaci di rovesciare il rapporto di forza tra le classi in Cina e conquistare il potere. Poi dagli anni ‘50 il suo impegno a trasformare la Cina in un paese socialista cercan­do di bruciare le tappe del suo avanzamento, e nello stesso tempo la sua difesa del patrimonio ideologico del marxismo contro le tendenze revisioniste e il suo sostegno dei movimenti di liberazione e rivoluzionari del mondo. Questi apprezza­menti erano in gran parte condivisi da quanti sostenevano l’attività delle Edizioni, ma per molti lettori e simpatizzanti il maoismo si riassumeva soprattutto nello slogan della Rivoluzione Culturale “Ribellarsi è giusto”. Quanto alla Rivoluzione Culturale credo che l’aspetto più rilevante fosse il tentativo di ripulire la coscienza della gente dai residui lasciati da secoli di prevaricazione e di manipola­zione ideologica da parte delle classe dominanti, come condizione per l’avanza­mento del socialismo. Allora pensavamo che bastasse una volontà soggettiva per raggiungere questo obiettivo e non che il corso verso il nuovo mondo si sarebbe dimostrato molto più complesso e più lungo.

 

6a) Quando Mao lanciò la Rivoluzione Culturale, secondo lei, aveva la mag­gioranza o era in minoranza all’interno del Comitato Centrale?

Non credo che si possa rispondere con una conta di voti. Credo che, a seguito dei risultati negativi del Grande Balzo e delle Comuni, la popolarità di Mao fosse già intaccata e che il lancio e gli sviluppi della Rivoluzione Culturale abbiano trovato una forte opposizione che solo il prestigio accumulato dai decenni precedenti poté tenere in scacco.

 

7) Come vedeva la Cina della Rivoluzione Culturale attraverso il pensiero di Mao rispetto all’Urss?

Il giudizio di Mao sull’Urss ha avuto diversi momenti. Durante le guerre civile e antigiapponese, vi furono divergenze coi rappresentanti del Komintern su questioni di strategia e di tattica della rivoluzione cinese, ma questo non ha mai significato il disconoscimento della Rivoluzione d’ottobre, della costruzione del socialismo e il suo ruolo di bastione contro l’imperialismo nel mondo. Dopo la liberazione vi fu una strettissima collaborazione tra Cina e Urss; al tempo del Grande Balzo e delle Comuni ebbe a criticare certe concezioni e certe pratiche seguite sotto Stalin con gli scritti Problemi economici del socialismo in Urss e le note sul Manuale di economia politica dell’ Urss, ma le fondamentali strutture istituzionali, amministrative, economiche e sociali della nuova Cina furono di fatto ispirate all’esperienza dell’Urss. L’atteggiamento cambiò dopo il XX e il XXI Congresso del Pcus quando nel 1963 e ‘64 il Partito Comunista Cinese pubblicò i nove editoriali di critica del revisionismo di Krusciov e di altri diringenti di partiti comunisti, dando un giudizio sostanzialmente positivo dell’opera di Stalin. Nel corso della Rivoluzione Culturale la critica al revisionismo del Pcus e del socialimperialismo dell’Urss si fece ancor più esasperata fino al punto di scontri armati alle frontiere.

 

7a) Che rapporti esistevano, secondo lei, fra la Campagna dei Cento Fiori, il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale?

La campagna dei Cento Fiori, che invitava alla libera espressione nel campo della letteratura, dell’arte e delle scienze e la successiva campagna contro i de­strorsi vanno inquadrati negli indirizzi contenuti nel contemporaneo scritto di Mao sulle contraddizioni. In esso si distinguevano quelle in seno al popolo dal risolvere con metodi democratici e quelle tra il popolo e i suoi nemici da risolvere con gli strumenti del potere popolare. Di fatto molti intellettuali cinesi più legati al vecchio regime approfittarono della campagna per opporsi al corso di socializzazione, trasformando così il dibattito in seno al popolo in opposizione alle sue istituzioni e ai suoi indirizzi. Ciò provocò la successiva campagna contro i “destrorsi” che bloccò l’opposizione, ma finì anche per compromettere quell’apertu­ra e dare il via ad una svolta più radicale alle politiche di partito e di governo, con i grandi movimenti del Grande Balzo e delle Comuni popolari, intesi ad accelerare i tempi dello sviluppo economico e delle trasformazioni sociali. Quanto alla sua spiegazione, non credo che si sia solo trattato di capitalizzare la fiducia, le aspettative e l’impazienza delle masse per scrollarsi di dosso povertà e arretratezza, ma anche di dimostrare, dopo il XX Congresso del Pcus e le rivolte antisocialiste di Polonia e Ungheria, tutte le potenzialità del socialismo. Per circa tre anni dal 1956 al 1960 il movimento realizzò tassi di sviluppo altissimi nell’industria e nell’agricoltura, ma l’usura dei mezzi di produzione e degli uomini e l’immaturità delle esperienze comunali provocarono nei due anni successivi il collasso della produzione in tutti i settori ed una grave carestia. Così toccò al periodo del “riaggiustamento” tra il 1961 e il 1964 di riportare i tassi di crescita e la gestione dell’agricoltura a livelli compatibili con le risorse del paese e con le realtà del mondo contadino. Dopo queste esperienze, il nuovo tentativo da parte di Mao di accelerare il corso della rivoluzione rimase limitato alla sfera ideologica e cultu­rale, con l’obiettivo di demolire quanto restava dell’influenza della vecchia società sulle masse e sui quadri, ed assicurare il potere nelle mani dei più conseguenti campioni del socialismo. La Rivoluzione Culturale poneva degli obiettivi ideali che non potevano non essere condivisi. Ma il modo caotico, settario e frazionistico in cui si svolsero, finirono per paralizzare gran parte delle istituzioni, dividere il popolo, rallentare lo sviluppo e dare un nuovo grave colpo al patrimonio di adesione e di partecipazione che Mao e gli altri dirigenti cinesi si erano conquistati con la lotta di liberazione e con l’impianto della nuova Cina.

 

7b) Secondo lei è vero, come sostengono alcuni studiosi, che nel ‘56, quando iniziarono i Cento Fiori, nel ‘58, quando iniziarono le Comuni, nel ‘65, quando venne lanciata la Rivoluzione Culturale, la Cina era al massimo dell’espansione economica?

Da quanto detto finora l’andamento dello sviluppo economico della Cina in quegli anni risulta già abbastanza chiaro. Per maggiore precisione posso riportare gli indici del reddito nazionale per alcuni anni cruciali. Fatto 100 per il 1949 si ha: 1952=170, 1956=248, 1959 e 1960=340, 1962=228, 1965=335, 1969=406, 1976=636.

 

8) Che rapporti esistevano, secondo lei, tra il “maoismo” e la storia della Cina?

Secondo me il pensiero di Mao è stato profondamente radicato nella tradizione culturale del suo popolo, e la sua adesione al marxismo fu in contraddizio­ne solo con gli aspetti più superati e deteriori di essa. Infatti per molti aspetti il marxismo ha tuttora più aspetti in comune con la cultura cinese che con quella cristiana-occidentale. La filosofia dominante, quella di Confucio e Menciù e dei loro successori era aliena dalla metafisica e dalla trascendenza e centrata soprattutto sui rapporti tra gli uomini nella società e sul buon governo. Tra l’altro essa distingueva il governo virtuoso che ha il sostegno del popolo, dal governo vizioso che lo sopprime con la violenza, e in questo caso ammetteva il diritto del popolo alla rivoluzione. Di buoni e cattivi governi, di ribellioni e rovesciamenti di dinastie e di elevazione di nuove è piena la storia della Cina ed esse costituiscono la trama non solo delle storie ma anche di un gran numero di romanzi ed opere teatrali che Mao conosceva bene e cita sovente nelle sue opere. Sull’arte della guerra Mao fece tesoro del trattato di Sun Tzu che precedette Clausevitz di 2.300 anni. Sul terreno dell’economia, alcune delle misure prese dopo la libera­zione per la gestione della terra e per la gestione statale di diverse attività, avevano già corposi precedenti nelle teorie economiche di diversi filosofi e nelle rifor­me tentate fin dai tempi di Wang Mang della dinastia degli Han.

 

9) Che rapporto credevate che esistesse tra il socialismo di Mao e l’idea di democrazia? La democrazia doveva procedere di pari passo con lo sviluppo?

La prima cosa è di vedere che cosa si intende per democrazia: c’è la democrazia borghese nella quale la maggior parte delle ricchezze, dei mezzi per influenzare l’opinione pubblica e del potere di comando nella vita sociale è detenuta da una minoranza di capitalisti e la democrazia in cui tutti questi mezzi sono nelle mani dei lavoratori e del popolo. Quest’ultima è la democrazia che Mao, sulla via della tradizione marxista, ha lottato per realizzare in Cina nel quarto di secolo prima della Liberazione, da una parte difendendo il popolo con le armi dalla dittatura fascista e militare di Chian Kai-shek e dei giapponesi, e dall’altra promuovendo forme di democrazia popolare nelle aree liberate. Questa era una condizione indispensabile per ottenere di allargare il consenso e il sostegno delle masse popolari, attraverso l’espressione dei loro bisogni e delle loro aspirazioni, l’impostazione di una politica conseguente e l’elevazione al comando di chi godeva della loro fiducia. Il metodo democratico era sintetizzato nello slogan “dalle masse alle masse” con un processo dalla base ai livelli superiori e da questi nuovamente alla base. Le caratteristiche di fondo di questo metodo furono poi mantenute nel sistema politico impiantato dopo la liberazione e formalizzato nella costituzione e nelle leggi. In esse lo stato cinese è definito come di dittatura democratico-popolare, di dittatura contro quanti dall’interno e dall’estero tentano di rovesciare lo stato popolare di democrazia per l’esercizio dei diritti dei lavoratori e del popolo.

 

10) Nell’Italia di quel periodo si ripresentava- prendendo spunto dalla Rivoluzione Culturale -la questione della differenza tra democrazia borghese e democrazia proletaria?

La differenza teorica tra democrazia borghese e democrazia proletaria, e più largamente popolare, credo che fosse abbastanza chiara a quanti negli anni ‘60 in Italia provenivano dalle fila della sinistra marxista. Tuttavia nella pratica la maggioranza non riteneva che esistessero le condizioni interne e internazionali per tradurre l’obiettivo della democrazia proletaria in una rivendicazione attuale.

 

11) Che significato aveva in Italia “parola d’ordine” come: “Che Cento Fiori sboccino, che Cento Fiori liberamente si affrontino”; “Ribellarsi é giusto”; “Chi non ha fatto l’inchiesta non ha diritto di parola”; “Le comuni popolari”; “Bombardare il quartier generale”; “Il potere sta sulla canna del fucile”; “Un esercito senza grandi”; “Metà studio-metà lavoro” ?

Queste parole d’ordine, tratte dagli scritti di Mao di varie epoche, hanno contenuti diversi, che non so fino a che punto fosse del tutto chiaro a tutti quanti le hanno riprese in Italia. Si può dire solo che esse sembravano esprimere bene,’ nelle differenti occasioni, lo spirito contestatario dell’epoca.

 

12) Cosa aveva di diverso o cosa accomunava la Rivoluzione Culturale con il mito di Ernesto Che Guevara, Ho Chi-minh, Malcom X, le Black Panthers, Don Milani, ecc.?

Non credo sia possibile alla fine di questo colloquio, rispondere compiutamente ad una domanda che comprende esperienze che si sono avute in momenti ed ambienti tanto diversi. Di tutti solo Ho Chi-minh credo abbia avuto una storia comparabile a quella di Mao, lasciando le tracce più profonde nel suo paese e nel mondo. Ma era naturale negli anni ‘60 che ci si sentisse fratelli con quanti in condizioni tanto diverse combattevano una battaglia che sentivamo comune per rinnovare il mondo.  

 

13) Cosa é rimasto oggi del pensiero di Mao Tse-tung? E’ ancora valido come percorso per attuare il socialismo e poi il comunismo, oppure é fallito con la Rivoluzione Culturale e la morte di Mao?

Debbo dire che in questi ultimi anni, dopo il crollo dei paesi socialisti e lo smembramento dell’Urss, Mao, come gli altri grandi personaggi della storia rivo­luzionaria, è seguito abbastanza poco. Ma non credo che i deludenti risultati della Rivoluzione Culturale e la successiva svolta di Teng Hsiao-ping sminuiscano la figura di Mao. La sua opera e il pensiero che l’ha alimentata tra gli anni Venti e Cinquanta, hanno avuto un peso nella storia della Cina e del mondo che non potrà mai essere dimenticato. E anche negli anni successivi i principi e gli indirizzi che egli ha ribadito ed ha cercato di attuare restano, malgrado gli insuccessi, una ricca fonte di ispirazione per quanti lottano per un mondo liberato dallo sfruttamento e dall’oppressione. Questa fase di riflusso e di controrivoluzione che si vive attualmente potrà andare avanti per dieci, e venti e più anni, ma saranno tante le miserie, i contrasti e le guerre che questo prevalere delle forze reazionarie porterà nel mondo, che per forza ci sarà un nuovo risorgere delle forze rivoluzionarie e un nuovo richiamo all’esperienza di Mao, come a quella di Marx e di Lenin.


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