Ferdinando Dubla

 

Brevi note: Il libro di Rizzo e la polemica con il partito

[blog febbraio 2008]

 

 

Il compagno Marco Rizzo ha scritto un bel libro, “Perché ancora comunisti – Le ragioni di una scelta”, per la Baldini Castaldi Dalai editore, che si legge in brevissimo tempo, pur impegnando la mente in riflessioni affatto banali e, anzi, spaziando su temi articolati e complessi. Rizzo ha scritto da marxista rigoroso, cercando di interpretare la realtà e la fase attuale da comunista serio e impegnato: e lo ha fatto modernamente, con un linguaggio semplice e comprensibile ai più (pregio maggiore del libro) e non rinunciando al racconto della sua vita, di quella di suo padre, della formazione politica, della militanza nell’area ‘cossuttiana’ di Rifondazione Comunista, preceduta dall’impegno nella rivista Interstampa in rapporto con il Centro Concetto Marchesi di Milano fondato dal glorioso compagno Alessandro Vaia. Ho conosciuto Marco sul finire degli anni ’80, l’ho conosciuto insieme a Fausto Sorini durante l’esperienza della rivista Comunisti oggi, che presentammo anche qui a Taranto; e lui se ne ricorda a pag. 104 del libro. Fraternamente, ho da muovergli solo un appunto in questo testo: egli si scaglia in maniera veemente contro i privilegi della ‘casta politica’ e volge lo sguardo anche all’interno del movimento comunista italiano, denunciando come l’opportunismo e il carrierismo siano delle vere e proprie ‘cancrene’ che minano seriamente la credibilità e l’incidenza dell’organizzazione comunista nel suo tentativo di radicamento popolare. Ha ragione; ma egli non è un compagno di base: rappresenta il PdCI nel Parlamento europeo, e anche lui gode di privilegi sconosciuti alla stragrande maggioranza dei compagni di base e in genere del popolo lavoratore. Non è certo una colpa, ma se Marco si girasse con serena obiettività al recente passato, si accorgerebbe anche di molti limiti ed errori nella sua militanza, costituita anche da una modalità ‘sotto traccia’ che continua in alcune componenti (in specie di Rifondazione) che chiamano i compagni alla mobilitazione solo alla bisogna e non lavorando gramscianamente come ‘intellettuale collettivo’, bensì in base ad alchimie interne di pesi e contrappesi nelle stanze delle federazioni e nelle sezioni territoriali.

 

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Rizzo non è giustamente d’accordo con la sparizione della falce e martello dal simbolo elettorale della Sinistra-l’Arcobaleno e ha forti dubbi e perplessità su come la Confederazione si sta costruendo, subendo l’egemonia della parte maggioritaria del PRC e di Sinistra Democratica, cioè la  parte che si concepisce ‘sinistra’ del PD ed è lontana anni-luce dal progetto (che è il nostro) di partito comunista di massa che abbia, pur nelle necessarie alleanze e in spirito unitario, un’autonomia indispensabile per la reale rappresentanza di classe. Marco non l’ha mandata a dire e ha scritto un articolo – La questione comunista – sul numero 7 di Rinascita del 21 febbraio u.s.  Ma le sue critiche sono andate oltre e, implicitamente (ma non poi tanto) ha accusato il gruppo dirigente del PdCI di aver troppo frettolosamente capitolato sul simbolo e di subire troppo il disegno, palese, di annullamento dell’anomalia comunista in Italia da parte di chi sta prefigurando un indistinto soggetto ‘unitario e plurale’.

Gli ha risposto il responsabile delle politiche internazionali del PdCI, il compagno Jacopo Venier, sulle colonne della stessa Rinascita (nr.9 del 28 febbraio u.s.) in una maniera altrettanto cruda, respingendo le accuse al gruppo dirigente, chiamando Rizzo alla responsabilità condivisa delle scelte congressuali, e delineando un presente e un futuro dell’autonomia comunista non in chiave solo simbolica e/o ideologica, ma concreta e rispondente alla tempesta attuale della globalizzazione mondiale del capitalismo e del tentativo ‘americanizzante’ del quadro politico italiano. I comunisti è il nome, italiani è il cognome, afferma il compagno Venier, e l’eredità che i comunisti devono rendere viva non è diventare una setta testimoniale ai bordi della società e fuori dalle istituzioni, in cui si troverebbero in compagnia di troskisti e astratti movimentisti, ma fare proprio il detto di Mao secondo cui i comunisti devono nuotare nella corrente del mare e non essere rinchiusi in un acquario.

Sono abbastanza d’accordo con quanto scritto da Venier, e questa critica la si potrebbe estendere anche all’attuale gruppo dirigente dell’Ernesto, ai compagni Giannini e Pegolo.

Il fatto è però che le loro preoccupazioni non possono non essere di tutti i comunisti sinceri, non si può nascondere la leadership di un Bertinotti che ha causato già troppi danni e che rema in una direzione che non è né quella di Venier né quella (che Venier paventa diversa) di Rizzo e dei compagni dell’Ernesto.

Ma proprio per questo, per evitare una deriva ultraminoritaria e la cancellazione dell’autonomia comunista , non è questo il tempo delle divisioni, delle fratture e delle lacerazioni, cari compagni.

 

La documentazione della querelle sull’ultimo numero di Lavoro Politico (nr.22 – marzo 2008)

 

fe.d., 29 febbraio 2008

 

 

 

 

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