"Forse un giorno gioverà ricordare questi fatti": furono le ultime parole pronunciate sul patibolo da Eleonora De Fonseca Pimentel che citò questo versodell'Eneide di Virgilio alle ore 14 del 20 agosto 1799, in piazza Mercato, a Napoli.linea Rossa MEZZOGIORNO RIVOLUZIONARIO
In libreria il saggio di Angiolo Gracci che parte dai moti napoletani del 1799 per ricostruire il filo rosso della storia italiana
Giovanni Russo Spena
Vi è un "filo rosso", questa è la tesi che Gracco tenta
di dimostrare e di leggere dentro la costruzione dei movirnenti e dei conflitti,
che unisce le diverse fasi della rivoluzione italiana (la "rivoluzione
negata") dal 1799 ad oggi. Due delle fasi portanti di questa narrazione
delle lotte per la libertà e la democrazia vengono individuate,
per l'appunto nella Repubblica napoletana, che proietta se stessa, pur
tragicamente soffocata, nel Risorgimento nazionale; e, in secondo luogo,
nelle straordinarie Quattro Giornate di Napoli del 1943, cuore meridionale
della Resistenza e della Costituzione.
Viene, cioè, dall'autore recuperato il nesso che lega la Rivoluzione
giacobina meridionale con la Rivoluzione resistenziale nazionale. La "rivoluzione
negata" scorre tra la continuità dell'iniziativa rivoluzionaria
ed il feroce livello regressivo della normalizzazione moderata. Sono convinto,
peraltro, che Gracci alluda anche alla legittimazione ed all'autorappresentazione
del Mezzogiorno che si snodano attraverso la sua cultura, la sua storia
sociale, il livello di resistenza alla riduzione del Mezzogiorno "a colonia".
E' un tema che ritorna con forza "dentro" e "contro" la cosiddetta globalizzazione,
con la sua carica di omologazione dei territori ai mercati e, nel contempo,
di frantumazione e di atomizzazione della coesione sociale. Non è
solo la classe che deve autoidentificarsi, in questa fase della storia
del capitale e dell'opposizione ad esso; si devono "autoidentificare i
territori".
Non a caso, credo che il libro di Gracci vada letto insieme al libro
di Mario Alcaro Sull' identità meridionale, nel tracciato
già segnato dal Pensiero meridiano di Cassano. Io penso che
sia importante, in questa fase storica, indagare i nessi tra cultura,
storia, territorio, proprio per esaltarne e ricostruirne protagonismo,
conflitto, partecipazione: una sorta di ricostruzione democratica "dal
basso", dal territorio,dove l'identità è pernodi una ricchezza
di "spazio pubblico", di cittadinanza che si oppone all'opaca omologazione
della globalizzazione. Essa, infatti, mercifica e "nega" il territorio,
assumendolo solo come segmento del mercato globale (è un processo
che reca, nelle sue viscere, forme di gcvernabilità di tipo razzistico,
xenofobo, in nome di un "etnicismo"' della purezza, della "differenza",
della "piccola patria"; come, per ultimo, il "caso Austria" drammaticamente
dimostra). Indagare,quindi, oggi, sulla "rivoluzione negata" di un Mezzogiorno
reso "colonia" significa, credo, partire dalla storia universale della
Rivoluzione napoletana per assumere la necessità, qui ed ora, di
proiettare politiche alternative in una dimensione euro-mediterranea. Un'area
che, è essenziale per l'identità stessa dell'Europa, perchè
l'Europa sfugga al cappio liberista ed ossessivamente monetarista aprendosi
alla cooperazione Nord/Sud.
La Nato, l'Europa liberista pensano di poter esercitare, in quest'area
(che è uno dei grandi nodi strategici del mondo, come è anche
dimostrato dal fatto che le ultime guerre generali della Nato, quella contro
l'Iraq e quella contro la Federazione Jugoslava, non a caso in quest'area,
per il suo controllo, sono state scatenate) una politica di puro "contenimento"
militare o di protettorato nei confronti di popolazioni rapinate delle
risorse. Ci opponiamo al fatto che l'area euro-mediterranea diventi solo
una "zona di libero scambio", che, in effetti, si configuri come zona di
scambio ingiusto e diseguale, sul piano dei processi produttivi, soprattutto
in agricoltura, della formazione dei prezzi dei prodotti agricoli, forestali
e minerari, di monopolio anche commerciale delle multinazionali.
Penso ad un deciso e determinato impegno comune, delle forze antagoniste
ed anticapitaliste europee e mediterranee, parte integrante di un programma
di medio periodo, per un Mediterraneo smilitarizzato e denuclearizzato,
culla di civiltà e confronto tra le differenze culturali e religiose,
luogo di mediazione culturale "alta"; di ricerca di esperienze cooperative,
di nuove ragioni di scambio e nuove aree economiche liberamente integrate
tra i popoli mediterranei. E' qui, mi pare, la sfida aspra anche sul destino
storico del Mezzogiorno. Rivoluzionario, a suo modo.
Recensione apparsa su Liberazione,
23 febbraio 2000
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