Relazione di :
Ferdinando Dubla, storico del
movimento operaio – responsabile dell’Archivio Secchia di Taranto
al convegno
L’elaborazione
gramsciana nella prassi di Pietro
Secchia
Lo stereotipo di Pietro Secchia che
la cultura revisionistica e in particolare nella sua versione ‘di sinistra’
consegna alla storia, è quello del dogmatico filosovietico con velleità
insurrezionalistiche. Ma è un profilo che non regge alla documentazione
rigorosa e alle fonti dirette. Secchia
va riconsegnato per intero alla migliore tradizione comunista. Nel suo operato
e nelle sue elaborazioni che ne supportano politicamente la coerenza, si vede
con nettezza il suo legame, di testa e di cuore, con i maestri del marxismo. Ed
egli non si considerava un maestro, ma un esecutore aggiornato nei tempi del
presente e nell’analisi di fase. Forse fu proprio questo che non gli venne e
ancora non gli viene perdonato. Se si tiene ferma l’analisi sull’intreccio tra organizzazione e primato della politica poi, emerge chiaramente il legame
strettissimo tra la riflessione gramsciana e la prassi di Secchia nel Partito
Comunista Italiano, in particolare nella Resistenza e nel primo dopoguerra, in
quella nuova Resistenza che doveva continuare nell’arte dell’organizzazione
politica.
La storia del movimento operaio italiano, ma più in
particolare del PCI, ha proposto una 'organizzazione' liberata dagli schemi
ideologici di origine borghese compiutamente negli anni della ricostruzione
post-bellica e una buona metà degli anni '50. Questo, nonostante la profonda
riflessione di Gramsci al riguardo (contro il sociologismo borghese e all'interno
dei processi per l'egemonia), si ebbe non certo per la spinta al 'partito
nuovo' e per la strategia della 'democrazia progressiva', che pure non fu solo la piega togliattiana al corso del
Partito Comunista Italiano, ma anche il tentativo di radicare il partito di
classe nel popolo, farlo diventare di massa, senza perdere i connotati del
partito di quadri, senza cioè che la quantità stemperasse o deprivasse o ne
impedisse uno sviluppo in termini di qualità.
Concezione questa che fu proprio di Pietro Secchia (1903/1973), dal 1945 (V
Congresso) al 1954 responsabile nazionale del settore Organizzazione, numero
tre, dopo Togliatti e Longo, del gruppo dirigente di Botteghe Oscure. Può dunque dirsi che la potente spinta a
quel formidabile 'apparecchio' di riproduzione del consenso e
formazione-alfabetizzazione-qualificazione che fu il PCI negli anni 1945/1954,
partito nuovo togliattiano, gestito organizzativamente da Secchia, fu
E’ ciò che ci proponiamo di
dimostrare in questa relazione, avvertendo che il maggior tratto comune tra
l’elaborazione gramsciana e la prassi di Secchia è implicito e interno alle
loro teorie e alle loro pratiche; anche qui, appunto, si scopre la fecondità della marxiana
dialettica materialista nell’analisi e nell’interpretazione storica: sempre la
realtà è più complessa delle rappresentazioni descrittive con cui ci si sforza
di comprenderla.
1. Gramsci e l'organizzazione come
'passaggio' per l'egemonia
Il leninismo di Gramsci gli permette, nei 'Quaderni', di considerare il tema dell'organizzazione in chiave moderna, connesso ad uno dei 'passaggi' cruciali per l'egemonia e di criticare i modelli sociologici borghesi come 'modernizzazione apparente' per la passivizzazione delle masse: “Per fare la guerra ci vogliono gli eserciti, e nella misura in cui la teoria di Gramsci vuole essere una preparazione operativa per la rivoluzione, è chiaro che egli si preoccupa della natura e dell’organizzazione del suo esercito: il partito.” [1]
E qui è
innanzitutto il discrimine: mentre l'organizzazione borghese moderna del
'partito politico' costituisce una delle
formazioni storiche privilegiate per la riproduzione del consenso,
funzionale anche a processi pre-moderni come il cesarismo e il bonapartismo,
dunque connessi alle forme di 'rivoluzione passiva', l'organizzazione
proletaria moderna, seguendo la traccia leniniana traducibile in Occidente,
legandosi al problema della transizione, deve essere resa funzionale all'attivizzazione
delle masse, al loro protagonismo storico, ciò che si sostanzierà come radicamento popolare del principale
degli strumenti dell'organizzazione, il
partito comunista, con la
direzione della classe operaia. In breve, la costruzione dell'egemonia passa
dall'organizzazione del conflitto sociale, della lotta di classe, nel partito
che sviluppa il processo rivoluzionario in forme specifiche e lo indirizza
verso il socialismo. Il partito, 'intellettuale collettivo', si misura dunque
con la capacità di dirigere e organizzare. E' il principale strumento
della costruzione dell'egemonia proletaria, non il solo: si pensi
all'importanza, per Gramsci, delle organizzazioni sindacali, degli istituti
della formazione, degli impianti culturali complessivi, ecc., dell'intero
impianto sovrastrutturale; anche per questo
i processi non si svolgono meccanicamente secondo modelli precostituiti
(il sindacato promuove e dirige le lotte nei luoghi di lavoro, il partito
organizza le masse e le politicizza tramite la formazione dei quadri come
avanguardie coscienti - il modello rischierebbe così di non tener conto proprio
delle forme della 'transizione', cioè della costituzione di una 'società
civile' che nel capitalismo dell'epoca americanista e fordista sviluppa i propri modi di essere in tipologie
affatto lineari).
La nozione di 'organizzazione', così,
sostanzia come una colonna portante quello di 'egemonia': che diventa, da
questo punto di vista, il dirigere-organizzare scegliendo strategie e mezzi
secondo fini consapevoli. E' l'organizzazione che vuole coincidenza di 'mezzi e
fini' "e che si può parlare di
volere un fine solo quando si sanno predisporre con esattezza, cura,
meticolosità, i mezzi adeguati, sufficienti e necessari". Il controllo
delle azioni, dell'attuazione effettiva e concreta delle iniziative, "è altrettanto necessario che lo studio
delle idee.(..) nell'organizzare è compreso il 'verificare' o
controllare." [2]
Gramsci era
partito, nel Quaderno 2 (limitatamente a ciò che gli era permesso di leggere
nelle condizioni carcerarie, non bisogna mai dimenticarlo, ma questa volta non
a caso) dalla critica al sociologismo di Roberto Michels e le tendenze
oligarchiche della democrazia moderna, secondo cui il bisogno
dell'organizzazione e le tendenze presenti nella psicologia umana, individuale
e collettiva, rendono evanescente ogni discorso sulla connotazione di classe.
Tant'è che esiste una 'borghesia' all'interno stesso del movimento operaio e
delle sue rappresentanze politiche. Ciò, scrive Gramsci, accade materialmente "quando nell'organizzazione c'è
scissione di classe: ciò è avvenuto nei sindacati e nei partiti
socialdemocratici: se non c'è differenza di classe la questione diventa
puramente tecnica - l'orchestra non crede che il direttore sia un padrone
oligarchico." [3]
Per un partito
comunista la questione che si pone dunque, è quella di dirigenti e diretti che
condividano la necessità dell'organizzazione della lotta di classe, ciò che va
appunto oltre lo 'schematismo sociologico', come lo chiama Gramsci e non si pone
certo in termini meccanici di composizione sociale di classe del partito nei
suoi quadri e nella sua direzione complessiva, sebbene sia un dato questo che
per quantità debba supportare la
qualità. Inoltre nella sua riflessione Gramsci avverte che per la conquista
dello Stato c'è la necessità di strutturarsi come formazione centralizzata: "(..)bisogna però osservare che altra è
la democrazia di partito e altra la democrazia nello Stato: per conquistare la
democrazia nello Stato può essere necessario - anzi è quasi sempre necessario -
un partito fortemente accentrato (..)" [4]
Insomma, la categoria di 'burocratismo', senza analisi di classe, è insussistente, e organizzazione, senza della quale non è possibile l'esercizio della direzione e dell'egemonia, non è 'burocratismo', che si supera attraverso la partecipazione attiva dei diretti alla direzione e alla gestione non delegata del controllo dei risultati della direzione. Nel partito comunista, che costruisce l'egemonia proletaria, la formazione dei quadri è rivolta sia all'assunzione piena del ruolo di avanguardie per l'organizzazione della lotta di classe (in tutte le sue forme), sia, appunto, al "controllo" dei concreti ed effettivi risultati nell'incedere del processo rivoluzionario.
Rifiutando decisamente l'eguaglianza direzione del partito=direzione della società, Gramsci rivendica la democraticità del centralismo nel partito di classe, ciò che solo permette l'organizzazione/direzione - controllo dei risultati concreti dell'azione politica - egemonia; e la natura democratica dello Stato nel socialismo, come annullamento della dualità dirigenti-diretti e annullamento dello Stato.
Il comunismo si connota come 'società regolata', regolata anche da una metodologia organizzativa superiore all' «anarchia» funzionale all'accentramento, ai 'capi carismatici' che escono fuori dal cilindro della borghesia capitalista.
In questo senso, non c'è comunismo senza organizzazione e nelle fasi della lotta di classe, con modalità differenti per la 'guerra di movimento' e 'guerra di posizione', organizzazione è già rivoluzione, cioè possibilità di apertura e sviluppo del processo rivoluzionario.
L'organizzazione di classe del proletariato - il partito - è a sua volta organizzazione collettiva che persegue fini e scopi condivisi, il tramite tra dirigenti e diretti è la coscienza di classe, è la scelta stessa dei 'mezzi' (tattica) con cui si perseguono quegli stessi fini (strategia). L'organizzazione come direzione ed esercizio dell'egemonia delle classi subalterne è critica al concetto e alla prassi dell'organizzazione borghese, così come si concepisce e si struttura dalla Rivoluzione francese e dalla dottrina di Hegel sui partiti e le associazioni 'trama privata' dello Stato. Gramsci, nel Quaderno 1, riferito al costituzionalismo borghese, scrive:
"Governo col consenso dei governati, ma
col consenso organizzato, non generico e vago quale si afferma nell'istante
delle elezioni: lo Stato ha e domanda il consenso, ma anche 'educa' questo
consenso con le associazioni politiche e sindacali, che però sono organismi
privati, lasciati all'iniziativa privata della classe dirigente." [5]
Lo stesso
concetto di Marx dell'organizzazione, rileva Gramsci, pur con un acuto "senso delle masse", risentiva
della propria particolare esperienza storica dell'epoca e dunque "rimane ancora impigliato tra questi
elementi: organizzazione di mestiere, clubs giacobini, cospirazioni segrete di
piccoli gruppi, organizzazione giornalistica". [6]
Le classi
dirigenti borghesi esercitano il dominio tramite l'organizzazione del consenso
passivo delle classi subalterne, ciò che permette 'rivoluzione passiva',
'rivoluzione senza rivoluzione', trasformazioni interne agli assetti della
classe dominante e 'passivizzazione delle masse', eterodirezione, riproduzione
ideologica in chiave reazionaria del 'senso comune', infine 'il sovversivismo
dall'alto delle classi dirigenti': non è mai esistito "un dominio della legge (sfera formale del diritto, ndr), ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo (materialità
dell'egemonia borghese, ndr)."[7]
Il passaggio da massa, indistinta e priva di coscienza di classe, ad esercito politico organicamente predisposto, massa popolare guidata dal partito di classe, richiede un prerequisito indiscutibile: elevare la capacità dei quadri (coscienza+organizzazione) per formare dirigenti capaci di incidere sulla quantità (organizzazione/direzione=egemonia).
Il legame con le masse non stempera l'identità di classe dello strumento-partito se si afferma la doppia valenza che molti hanno individuato come pedagogica, ma che in effetti è formativa come tutti i mezzi che mirano all'emancipazione, individuale e collettiva: è la società, le classi che determinano i partiti, questi formano i quadri che elevano la formazione delle classi stesse; per un partito comunista ciò è essenziale, una traduzione del principio marxista della determinazione della coscienza da parte dell' 'essere sociale'.
E la qualità dei quadri non si misura dalla capacità astratta di perorare la causa idealmente intesa, ma dall'effettiva capacità di guidare le masse nell'azione politico-sociale, qualità dell'avanguardia, appunto, nel fuoco delle contraddizioni di classe e in direzione del socialismo.
Il nuovo tipo di intellettuale nasce da qui: 'organico' alla classe e all'organizzazione di classe, è dentro la classe come organizzatore della trasformazione qualitativa nella costruzione del processo rivoluzionario, per l'egemonia, dalla massa 'tumultuosa' all'esercito disciplinato coscientemente alla realizzazione dei fini-obiettivi: la congruità delle strategie si misura dalla realizzazione operativa di obiettivi immediati e intermedi, non dall'idea che se ne fa chi la stabilisce. D'altra parte, non aveva già lavorato Gramsci, su questa base, ai tempi dell''Ordine Nuovo'? Val la pena riflettere ancora, da questa prospettiva, su uno dei passi più giustamente celebri del Q.12 scritto nel 1932 ('Per la storia degli intellettuali' ):
"Nel mondo moderno l'educazione
tecnica, strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo o
squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Su questa
base ha lavorato l' 'Ordine Nuovo' settimanale per sviluppare certe forme di
nuovo intellettualismo e per determinarne i nuovi concetti, e questa non è
stata una delle minori ragioni del suo successo, perchè una tale impostazione
corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme allo sviluppo di forme
reali di vita. Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere
nell'eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi
attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, 'persuasore
permanentemente' perchè non puro oratore - e tuttavia superiore allo spirito
astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione
umanistica storica, senza la quale si rimane 'specialista' e non si diventa
'dirigente' (specialista+politico)." [9]
Dall'astrazione logica, dall'interpretazione, alla
trasformazione rivoluzionaria reale, concreta, in un' attualizzazione tutta
operativa del Marx dell'XI glossa a Feuerbach. E in un'estrema attualizzazione della lezione leninista e
dell'Ottobre, rivendicata e costruita nel periodo ordinovista così come in
quello carcerario, vero 'pendant' dell'intera riflessione gramsciana nei suoi
aspetti organici: e organizzazione non è dato sociologico (o meramente
sociologico) se ritorna in più luoghi come funzionale alla produzione e alla
'società regolata', regolazione della produzione e dell'economia:
"Gramsci condivide entusiasticamente -
anche per il suo antigiacobinismo giovanile - l'idea leniniana secondo cui la
costruzione del socialismo può avvenire solo attraverso la partecipazione
attiva e consapevole delle masse, di tutti i lavoratori, e non per opera di
gruppi ristretti. (..) Gramsci assume anche, pienamente e fino in fondo,
l'affermazione, che corre drammaticamente, enfatizzata dalla pressione
dell'emergenza, lungo tutto lo scritto leniniano, secondo cui il nuovo Stato è,
prima di tutto, organizzazione e riorganizzazione dell'economia: senza tale
organizzazione economica il potere del proletariato rischia di essere travolto.
E' a partire da questa nuova consapevolezza del ruolo fondamentale
dell'organizzazione della produzione e dell'economia che nel periodo
ordinovista (1919/20) Gramsci proporrà con forza estrema, e, in alcuni momenti,
con estrema unilateralità, l'idea della produzione come momento fondante della
sovranità." [10]
L'organizzazione per Gramsci, che non rifiuta la modalità con cui vanno strutturandosi i partiti comunisti sul modello dell'esperienza bolscevica, modello poi piegato alle esigenze staliniane a livello internazionale, è metodo e sistema, che si sostanzia di una forte volontà condivisa e di un progetto condiviso, nel partito comunista espresso con la linea politica e l'adesione cosciente ricercata intorno ad essa. Ma metodo e sistema, non devono rimandare alla coercizione senza consenso, cioè al principio d'autorità che crea scolastici dogmatici tra l'altro completamente insussistenti nell'azione pratica. Metodo e sistema sono la via alla massima libertà e alla creatività di una disciplina che è tutt'altro che ottusa, 'supino accoglimento di ordini', ma coscientemente appresa e applicata è punto dirimente nel lavoro di massa e di partito, in cui marxianamente l'educatore deve essere educato. Anche per la disciplina, e di rimando verso l'organizzazione di tipo centralista del partito, che però si sviluppa in senso squisitamente democratico, non vale l'astrattezza della formulazione, ma la sua sperimentazione attiva. Volendo schematizzare: se la linea politica è sbagliata, oppure non trova verifica nell'applicazione operativa, il centralismo funziona come burocratismo verticistico che rende l'intero organismo degradato e ammazza la democrazia. Per Gramsci, la sua coerenza anche in carcere lo dimostra, non c'è disciplina coatta che possa fermare il pensiero creativo. E il marxismo, il leninismo, l'ideologia e la prassi proletaria e rivoluzionaria, o sono creativi o non sono affatto.
2.
Dall’elaborazione gramsciana alla prassi dei comunisti italiani e l’esperienza
di Pietro Secchia
Il partito è educatore collettivo, luogo di formazione orientato all'azione e non in senso ideologicamente pedagogico, se postuliamo il rapporto educativo modo di essere dell'ideologia, ma nel senso più pregnante di luogo ove forgiare gli strumenti per l'analisi di classe e una prassi storicamente efficace, in quanto rivoluzionaria. Ed è l'analisi guidata da princìpi che sostanziano i fini (con obiettivi di breve, medio e lungo periodo), che può rendere lo strumento duttile, flessibile e creativo, in una connessione stretta tra tattica e strategia, con un'intelligenza collettiva creativa, appunto, che non è mai opportunismo. Già il 2 luglio del 1925 Gramsci annotava in un fondo dell'Unità che "il compagno Lenin ci ha insegnato che per vincere il nostro nemico di classe, che è potente, che ha molti mezzi e riserve a sua disposizione, noi dobbiamo sfruttare ogni incrinatura nel suo fronte e dobbiamo utilizzare ogni alleato possibile. (..)". Non la setta passiva autogratificante, dunque, ma un organismo di massa caratterizzato da disciplina liberamente scelta, in cui la necessità è vincolo per la libertà:
" Come deve essere intesa la
disciplina, se si intende con questa parola un rapporto continuato e permanente
tra governati e governanti che realizza una volontà collettiva? Non certo come
passivo e supino accoglimento di ordini, come meccanica esecuzione di una
consegna (..) ma come una consapevolezza e lucida assimilazione della direttiva
da realizzare. La disciplina limita l'arbitrio e l'impulsività irresponsabile,
per non parlare della fatua vanità di emergere (..) La disciplina è un elemento
necessario di ordine democratico, di libertà." [11]
Se l'unità politica del/nel partito è il prodotto dell'organizzazione materiale della classe e dei suoi alleati verso gli obiettivi della sua reale liberazione (che è l'emancipazione definitiva dalle catene dello sfruttamento capitalistico) e dell'unitarietà dell'analisi scientifica della società, dei suoi movimenti, della sua struttura, del suo processo complessivo, allora anche i tentativi della classe borghese dominante di 'sovversivismo dall'alto' e di 'rivoluzione passiva', troveranno il loro antagonista irriducibile nell'organizzazione strutturata del partito comunista, come partito rivoluzionario, di classe e di massa.
E' lo schema di riferimento e di lavoro organizzativo anche di Pietro Secchia, che cercherà, nelle maglie di una tattica e di una strategia politica (la 'linea') da lui condivisa ma non scelta (nella rottura/continuità tra il partito semiclandestino e clandestino al 'partito nuovo' della 'svolta di Salerno') di renderlo operativo negli anni che vanno dall'immediato dopoguerra (1945) agli anni della sua emarginazione politica dal Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti (1954), nel periodo cioè in cui il dirigente comunista di Biella è alla guida del settore 'Organizzazione', uno dei più potenti nella tradizione dei comunisti non solo italiani. Secchia conosce poco l'elaborazione gramsciana (anche se proprio in quegli anni avrà modo di rifletterci sopra in progressione con la pubblicazione dell'edizione 'togliattiana' dei 'Quaderni dal carcere'), anche se si è formato ed è stato profondamente influenzato dai suoi scritti dell''Ordine Nuovo' (nelle sue ricostruzioni storiche, infatti, come ad esempio nell'opera Le armi del fascismo, pubblicata da Feltrinelli nel 1971, abbondanti sono le citazioni del Gramsci ordinovista, quasi del tutto assenti quelle dei 'Quaderni'). L'esperienza prerequisita di Secchia, nel 1945, è quella del combattente proletario e del dirigente nella Resistenza di matrice comunista; se Engels aveva studiato appassionatamente l'arte militare (dunque un importante settore dell'arte dell'organizzazione), Secchia cerca di fare diretta esperienza di essa seguendo il motto di Luigi Longo, combattente nelle brigate internazionali di Spagna, che 'il moto si apprende camminando'. Anche Secchia studia in carcere e al confino l'arte militare, ma per lui ha la stessa influenza che ha per Gramsci la lettura del 'teorema delle proporzioni definite' di M.Pantaleoni: spunti di riflessione teorica, ma ciò che conta è la sperimentazione e verifica concreta, è la concreta prassi rivoluzionaria. Ed in lui così si fondono, mirabilmente, le lezioni di Engels, di Lenin e di Gramsci, proprio sulla concretissima arte dell'organizzazione. Ed è vera e propria arte, sia in senso classico che moderno, in quanto, se organizzazione è concetto che, come s'è scritto, rimanda a metodo e sistema, il concetto di arte rimanda non ad una meccanica esecuzione stereotipata di leggi e principi fissi, ma ad una creatività soggettiva che rende lo strumento organizzativo flessibile, flessibile perchè e in quanto aderente alla realtà sociale e storicamente determinata; aderente e adeguata, l'organizzazione mira a modificare la realtà, marxianamente, non ad interpretarla o solo ad interpretarla, ne è condizionata, ma non si piega ad essa diluendosi, dileguandosi, ciò che è, al contrario, funzionale all'opportunismo deteriore e all'annacquamento dei princìpi.
Per i grandi
rivoluzionari marxisti, da Engels a Lenin, dal Che Guevara a Mao-Tse-Tung,
l'arte militare e l'arte politica sono sì sfere evidentemente differenti, ma,
nella concreta prassi rivoluzionaria, l'arte militare entra nell'arte politica, quest'ultima dominante rispetto alla
prima e che deve inglobarla; la stessa metafora di Gramsci sulle categorie di
'guerra di movimento' e 'guerra di posizione', non è estranea a questa
concezione, in evidente consonanza con la celebre affermazione di Von
Clausewitz della 'politica come continuazione della guerra con altri mezzi', ma
in un intreccio di riflessione e di azione molto più articolato e certamente
non finalizzato all'evento bellico di offesa o difesa armata tra popoli e
nazioni. Per connotare più precisamente
la formazione di Secchia e la sua determinata concezione di organizzazione che
riporterà operativamente nell'esperienza comunista italiana del '45/'54, bisogna
preliminarmente tener conto di due fattori a proposito della sua figura di
'combattente proletario' prima e durante
- gli studi sull'arte militare effettuati durante il confino;
- la diretta esperienza di guida politica durante la guerra partigiana, nella concezione della resistenza come difesa unitaria e controffensiva di classe.
Privati di un apporto ordinato, cosciente, organizzato, dell'esercito italiano, i resistenti italiani nel '43/'45 si trovarono costretti ad adottare la tecnica della guerriglia, mai sperimentata in precedenza in altre contingenze storiche, e dunque provando con l'azione diretta a costruire la propria esperienza. Certo, c'erano appunto gli studi condotti durante il confino e il carcere, tra questi, memori dell'insegnamento engelsiano e leniniano, proprio l'approfondimento condotto con alcuni corsi organizzati sull'arte militare, con opere di Pisacane e di Mazzini, il classico Clausewitz, i manuali moderni di Mazzitelli, Marselli, De Cristoforis, ecc.., pubblicazioni di topografia, di logistica, di tattica delle piccole e grandi unità, persino i testi del generale Trabucchi, direttore dell'Accademia militare di Torino e poi capo di Stato maggiore della IV armata, nonchè Comandante militare regionale piemontese della Resistenza; ma
" la guerra partigiana è fatta di molte
cose, di iniziative, di audacia, di studio, di riflessione e di spinte
aggressive, è fatta di molta concretezza, ma anche di fantasia.(..) Ogni guerra
di carattere largamente popolare deve impegnare nello stesso tempo forze
politiche e forze militari, deve utilizzare contemporaneamente la lotta
politica di massa e la lotta armata dei partigiani e dei Gap per conseguire la
vittoria. Longo partì dal principio che il moto si prova camminando, che la
tattica la si elabora combattendo." [12]
Quando Secchia ripercorre l’esperienza del confino di Ventotene scrive:
" nel 1942(..)giunsero a gruppi a Ventotene numerosi garibaldini di Spagna(..) essi diedero un efficace e concreto contributo alla nostra scuola militare. Anche a Ponza e a Ventotene, come già nelle carceri, insieme agli altri corsi ne avevamo organizzato uno a carattere militare. Esso si svolgeva col solito sistema di gruppi a tre. Il capogruppo insegnante era quasi sempre un ex ufficiale dell'esercito od un compagno che aveva fatto la sua esperienza di combattente in Spagna o in altri paesi; qualcuno, come Arturo Cicalini, aveva frequentato accademie militari in Unione Sovietica. Tra gli insegnanti: Gino Menconi, ex ufficiale nella guerra 1915/18; Walter Audisio, che era uscito da non molto ufficiale dall'Accademia di Modena; Cicalini, e alcuni degli ufficiali albanesi. (..) Quello studio, (.) era più politico che tecnico, non considerammo mai l'insurrezione come un'operazione puramente militare, essa è in primo luogo il più alto movimento rivoluzionario e presuppone l'esistenza di possente slancio nelle masse lavoratrici, una lotta decisiva della maggioranza attiva dei lavoratori nel momento e sul punto decisivo. La letteratura che noi studiavamo non era soltanto quella tecnica, ma essenzialmente quella politica, dalla 'Rivoluzione e controrivoluzione in Germania' di Marx, alle opere classiche di Lenin.". [13]
E' da notare come Secchia riporti
nella sua esperienza successiva, non solo i contenuti di quello studio, ma la
metodologia didattica (sistema di gruppi, ecc..) con cui venivano effettuati
(successivamente l'organizzazione particolare delle cellule del partito con la
figura del 'capogruppo', con i 'gruppi di dieci', ecc..).
Conclusioni
Le evidenti implicazioni di ordine tattico nella guerriglia, portano a una serie di conseguenze sul piano politico di fondamentale importanza: la leadership del dirigente è nella consonanza con i sentimenti delle masse, è nella sua capacità di interpretare e dirigere i processi reali tramite l'azione diretta; è nella sua capacità di organizzazione e pianificazione, mai attendendo che si dispieghi la strategia dell'avversario: per i comunisti, i processi sono sempre processi rivoluzionari, dunque il ruolo di avanguardia si esplica innanzitutto con uno stato di costante vigilanza e prevedendo il conflitto, non la conciliazione.
E' da ritenersi che l'importanza addotta dai classici del
marxismo al fenomeno militare, studiosi tutti, in grado diverso, maggiore o
minore, dell'arte dell'organizzazione in chiave bellica, non derivi dalla
propensione autonoma per l'utilizzazione pratica dello strumento della forza in
guerra, ma dal convincimento profondo che gli assetti dominanti hanno un
formidabile strumento di organizzazione dell'apparato coercitivo in chiave reazionaria
e controrivoluzionaria e che il movimento proletario deve essere pronto, in
ogni momento e a seconda delle circostanze, a fronteggiare questo apparato,
incrinandolo nella sua struttura e opponendo una struttura altrettanto
'organizzata'.
Di questo è comunque profondamente convinto Pietro Secchia, che lo ribadirà in più momenti della sua parabola sia di politico che di studioso della storia del movimento operaio e del marxismo. Proprio in quest'ultima veste, dopo che negli anni della Resistenza in termini di 'guerra di movimento',[14] e negli anni post-bellici fino al 1954 (quando regge le sorti dell'organizzazione del PCI) in termini di 'guerra di posizione', aveva cercato di rendere operativi quei princìpi, egli si batterà, pur in posizione ormai emarginata, per la sensibilizzazione a temi che erano stati troppo presto dimenticati a favore dell' 'accomodamento' alla situazione, sottovalutando proprio il ruolo che la forza della coercizione organizzata che la borghesia può mettere in azione gioca nel tentativo di annullare, se non di distruggere fisicamente, l'antagonismo proletario.
La sinistra di
classe deve ritrovare la sua capacità di azione realmente rivoluzionaria,
guidata da un partito comunista che pur in situazioni estremamente complesse,
non rinunci a legare la sua tattica politica a un respiro strategico che non
può non avere inscritto la capacità della sua organizzazione di portare
all'offensiva il movimento proletario e antagonista al sistema di sfruttamento
capitalista, e quindi di essere pronto a rintuzzare in ogni momento le forme
palesi, ma sovente occulte in cui si esprime la reazione delle classi dominanti
minacciate nei loro atavici e parassitari privilegi: " Un partito comunista, un partito rivoluzionario deve avere due
organizzazioni, una larga, articolata, di massa, visibile a tutti, ed una
ristretta, segreta. Questo anche in tempi della più ampia democrazia e
legalità, poichè non si può mai fare affidamento sui piani del nemico. Noi
vogliamo procedere per via pacifica avanzando verso il socialismo. Ma il nemico
è d'accordo? Starà a vedere? Occorre prepararsi a qualsiasi eventualità e
questo può farsi sia disponendo di un apparato propagandistico (orientamento
dell'opinione pubblica) che organizzativo (rapporti con militari e ufficiali
nostri e avversari) e di una adeguata attrezzatura per fare fronte a qualsiasi
eventualità". [15]
L' 'adeguata attrezzatura' è innanzitutto un partito di autentici quadri rivoluzionari, premessa indispensabile per potersi radicare nel popolo e configurarsi come 'partito di massa': ma non, appunto, una qualsiasi formazione politica di massa - ciò è possibile ai partiti della borghesia, le idee dominanti sono quelle della classe dominante (Marx) - ma un partito comunista di massa, dunque di classe e rivoluzionario. La formazione dei quadri è vitale in un partito comunista: la selezione dei gruppi dirigenti, l'organizzazione, non può che avvenire nella lotta di classe e per la lotta di classe, attraverso la capacità di dirigere l'azione politica, aborrendo il burocratismo che deriva dall'inazione e dalla passività. Questo è il filo che lega le riflessioni e la concreta azione politica di Secchia in tutte le fasi della sua vicenda all'interno del Partito Comunista.
Ferdinando
Dubla, aprile 2005
[1] Cfr. E.J.Hobsbawm: Note su Gramsci, 1974, ripubblicato in I rivoluzionari, Einaudi, 1975, pag.345. Lo storico inglese così prosegue: “Qui il nodo del problema non sta nella
forma dell’organizzazione – Gramsci è un leninista – ma nella natura del rapporto
tra il partito e la classe operaia. L’insistenza sull’”organicità” di questo
rapporto riflette una critica non
solo dei vecchi partiti di massa italiani, ma anche dei fautori di forme di
insurrezione volontaristica e dei comunisti
settari.”, ibidem
[2] Cfr. A.Gramsci: Quaderni dal carcere (Q.14), ed.critica dell'Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana, vol.III, Einaudi, 1975, pag.1743. Da ora solo l'indicazione del numero del Quaderno seguito dalla/e pagina/e.
[3] Q.2, pag.236
[4] ibidem. Questo tema è collegabile sia a quello della 'disciplina consapevole' sia ad un rifiuto, che ci sembra abbastanza evidente, di assolutizzare la categoria di 'burocratismo accentratore' nel partito di classe, senza un'analisi parallela e comparativa di tutti gli altri elementi della direzione e dell'eterodirezione, della degenerazione della linea politica, della forza e struttura dell'avversario di classe, ecc...
[5] Q.1, pag.56.
[6] ivi, pag.57. La costruzione del partito di classe e di massa è teoria e prassi dell'esperienza storica connaturata alle forme di modernizzazione, quindi, in un tentativo di attualizzare e rendere operante, in profondità, la stessa lezione di Marx e Lenin
[7] Q.3, pp. 326/7.
[8] Cfr. P.Secchia: Che cos’è la cellula, in Quaderno dell’attivista, ottobre 1946, n.2
[9] Q.12, pag.1551. La traccia ripresa in questo quaderno è già nel Q.4, pag.514.
[10] Cfr. A.Catone: La concezione della società socialista in Gramsci, in AA.VV. : Antonio Gramsci e il 'progresso
intellettuale di massa', a cura di G.Baratta e A.Catone, Unicopli, 1995,
pp.202/203. Sul filo della riflessione gramsciana intorno alla produzione, ma
anche più analiticamente sull'organizzazione del lavoro e della tecnica in
rapporto alla concezione leninista, il ruolo dell'Ottobre e la problematica
consiliare, cfr. anche F.Dubla: Gramsci e la fabbrica, Lacaita,
[11] Q.14, p.1707.
[12] Cfr. P.Secchia: Longo in Spagna e nella resistenza, in Il Calendario del popolo, marzo 1970, n.305, articolo scritto in onore del settantesimo compleanno di Luigi
Longo, ripubblicato postumo dal Calendario
del Popolo con il titolo Concretezza
e fantasia della guerra partigiana nel n.425 dell'agosto-settembre 1980,
dedicato alla figura di 'Gallo'. Dal medesimo scritto, abbiamo ricavato le
notizie riguardanti i corsi militari al confino e nelle galere fasciste, cfr.
più complessivamente la testimonianza dell'intero periodo in Il
Partito Comunista Italiano e la guerra di liberazione, 1943/1945, Annali
Istituto G.G.Feltrinelli, a.XIII, 1973,
pp.1/60.
[13] Ivi, pp.46/48
[14] Cfr. F.Dubla:
[15] Cfr. AS (Archivio Secchia), 'Diari', quaderno n. 11, 1971, Annali Feltrinelli a. XIX, Milano, 1979, pag. 587.
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