http://www.lavoropolitico.it - sito web di materiali marxisti per la linea rossa

 

 PER UNA REALE RIFONDAZIONE COMUNISTA

 

Su Giovani e Comunisti on-line del 27/01/06

 

----- Franco Tomassoni -----

 

Siamo negli anni trenta quando in Italia il fascismo è ben saldo al potere e Antonio Gramsci è in carcere, dal quale scrive numerose opere, su vari temi di natura sociale e filosofica, dalle quali è tratta la meravigliosa e lucidissima citazione che apre queste righe.
Il 21 gennaio ’06 sono ormai trascorsi 85 anni dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia, e sembra giusto ricordare tale evento, senza sentimenti nostalgici che potrebbero farci cadere nell’ errore di un racconto minuzioso e passionale di quegli anni.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale gli scritti che Gramsci produsse in carcere furono raccolti e pubblicati da Einaudi, fino a quel momento la grandezza di tale opera era sconosciuta ai più. L’elemento che egli vuole far emergere è lo “spirito popolare creativo”, che è rappresentato dai costumi sociali e dalle concezioni popolari che la cultura dominante spesso ignora.
Proprio in quei quaderni si può leggere una descrizione accurata, approfondita e dettagliata della società italiana: i suoi caratteri, la sua cultura, il senso comune, le forze che la condizionano, il reciproco rapporto di insegnamento che essa ha con le elite intellettuali, in generale le dinamiche culturali di tale società.
Per la completezza della sua analisi storico-politica, dopo la seconda guerra mondiale, gli ideologi borghesi cercarono addirittura di separare l’importanza di Gramsci dall’idea comunista.
Cosa più sbagliata non poteva verificarsi, poiché in quei quaderni Gramsci parla dell’importanza di un partito che elevi il cosiddetto “senso comune” in coscienza di classe, dando ai lavoratori e alla classe operaia una coesione di interessi, una centralità nella società, e una concezione del mondo diversa da quella che la cultura dominante distribuiva, di qui il concetto di egemonia culturale.
Facendo un parallelismo tra la società che Gramsci analizza, e la nostra, vediamo che, nonostante le mutazioni temporali e sociali, i caratteri di fondo dell’analisi gramsciana rimangono attuali.
Basta guardare il carattere dell’apoliticità che Gramsci già allora analizzò, e che oggi torna alla carica sotto forme diverse; oppure cosa Gramsci scrive a proposito del successo politico di D’Annunzio, che sembra tanto simile al successo politico di qualche personaggio della politica italiana attuale o ancora la questione meridionale studiata dal dirigente sardo ed il carattere del “familismo amorale”, fenomeno tutto italiano anche nel 2000.
Ma di fronte a queste analogie non c’è oggi lo stesso entusiasmo e la stessa volontà di costruire un partito come quello che Gramsci ed i suoi compagni intendevano.
Tutti conveniamo sul fatto che i tempi sono cambiati, che il tipo di economia è mutato notevolmente, che ad esempio le città oggi hanno una struttura particolare ed un’urbanistica nuove, che le forme di lavoro, di produzione e di contratto salariato si esprimono in forme diverse e variegate.
Ma a fronte di ciò non c’è da parte di alcuni partiti che si dicono ancora “comunisti” una rielaborazione marxista dell’idea stessa di partito, che possa condurre la sua battaglia nella metropoli, che organizzi i precari, che tenti di fare egemonia culturale combattendo la falsa moralità che la cultura dominante afferma ogni secondo, senza buttare a mare il proprio ricco bagaglio culturale e politico.
Di fronte a quanto si verifica in Italia e in tutto l’occidente, dove abbiamo lo smantellamento dello stato sociale, i diritti civili ristretti o negati a fasce crescenti della popolazione, un’industrializzazione inquinante, socialmente irresponsabile e troppo spesso deleteria, con la guerra che distrugge popoli interi esportata in tutto il globo, dove vengono poste in essere politiche economiche neoliberiste che affamano e saccheggiano il terzo mondo, e impoveriscono poco a poco anche le classi lavoratrici qui da noi, non basta un piccolo partito, che intenda per attività politica solo gli accordi governativi al ribasso e la sottomissione delle minoranze interne, proponendo ogni tanto nelle lontane federazioni periferiche qualche volantino di protesta, spesso con una venatura di populismo.
Davanti a questo quadro sommariamente descritto riteniamo sia ancora attuale un Partito Comunista che organizzi nella lotta tutti quei soggetti che rivendicano i propri diritti e i diritti dei più deboli, dei diseredati, di chi vive nei ghetti delle metropoli, affinché la loro condizione possa mutare.
Un partito comunista che costruisca saldi legami internazionali a tutto tondo ed includenti(non come certi recenti “esperimenti”) affinché la battaglia anti-imperialista, per i diritti sociali e per la pace sia portata avanti “globalmente”.
Un partito comunista che nasca da una elaborazione teorica, ma che si traduca in una vera propria idea pratica di un modello di sviluppo diverso, sia per le singole persone, sia per gli interi gruppi etnici e nazionali che vogliono preservare la loro cultura e vivere con dignità uscendo dalla subordinazione all’imperialismo, come Cuba e il Venezuela, come la Bolivia e l’Argentina.
Un partito comunista che faccia davvero gli interessi dei soggetti esclusi dalla cittadinanza, uscendo da ogni fantasticheria radical chic, che inizi veramente a lottare per un mondo migliore, che non è un qual cosa di astratto e metafisico, ma è il Socialismo.

frame ©Lavoro Politico-Linea Rossa


vai all' index di Lavoro Politico nr.16 /06   vai all'home Linea Rossa      scrivi alla redazione       webmaster